• Non ci sono risultati.

Accanto al dio Horus gli antichi egizi veneravano altre divinità bambine. Tra esse una che acquista col tempo sempre più importanza è il piccolo Ihy. Il significato preciso del nome è ancora incerto: secondo alcuni studiosi il nome si traduce “suonatore di sistro”420 e

si riferisce alla funzione principale del dio esercitata durante i cortei al seguito della dea Hathor; per altri si tratterebbe invece di un nomignolo collegato al termine geroglifico iH (“vitello”)421, che allude, pertanto, alla sua relazione familiare con la dea vacca Hathor di

cui è spesso detto essere figlio422.

Del piccolo Ihy sono conosciute solitamente le rappresentazioni che lo vedono come un bambino stante nudo che tiene un sistro in mano oppure quelle dove è raffigurato, nella tipica posa caratteristica dell’infanzia, in atto di portare un dito alla bocca. Probabilmente a queste raffigurazioni canoniche andrebbero aggiunte quelle, meno note, sicuramente poco numerose e verosimilmente in voga soltanto fino alla fine dell’Antico Regno, dove il dio era pensato e quindi raffigurato come un piccolo vitello maschio423.

Questo giovane dio, inoltre, sembra aver goduto di grande popolarità tra la gente. Ciò è mostrato non solo attraverso rappresentazioni e iscrizioni ma anche attraverso l’onomastica che mostra, fin dall’Antico Regno, un ampio uso di nomi teoforici formati appunto a partire dal suo nome424.

Le prime attestazioni del dio risalgono all’Antico Regno.

La più antica è riportata sulla cosiddetta pietra di Palermo, un frammento di un’iscrizione che in maniera annalistica riportava gli eventi più importanti della storia dell’Antico Egitto e le imprese degne di nota compiute dai faraoni appartenenti alle dinastie che vanno dalla I alla V. Più specificamente, nella parte relativa al re Neferirkara, terzo faraone della V dinastia, troviamo un chiaro riferimento al suddetto dio: il faraone racconta , infatti, di aver presentato, nel suo primo anno di regno, una statua d’oro di Ihy alla dea Hathor di Menfi425.

Un’altra attestazione proviene dalla raffigurazione dipinta nella mastaba di Kagemni a Saqqara, risalente all’inizio della VI dinastia: sono illustrati dei pastori che guidano una

420 Wb. I, 121 (9 – 10) 421 Wb I, 119 (15) 422 JUNKER 1943 p. 192 423 HOENES 1980, p. 125

424 ALTENMÜLLER 1991a, pp. 23-24; ALLAM 1963, p.133; RANKE 1935, pp.44-45 425 SETHE 1933, p. I 247, (15-16)

mandria, di nove bovini, verso una sorgente d’acqua. Proprio sopra la scena sono riportate tre iscrizioni i cui contenuti possono essere suddivisi nel seguente modo:

- La prima iscrizione mette in guardia i pastori da un coccodrillo che probabilmente si trova in acqua;

- La seconda consiste in un discorso tra un’entità sconosciuta, che esorta a concedere i bovini al dio Ihy, e uno dei pastori che sembra accettare l’ordine;

- Infine la terza sembra essere un’esclamazione o una preghiera di un pastore rivolta al dio Ihy: “IHy n iHw”426.

Un’indagine filologica delle suddette iscrizioni è stata condotta da H. Altenmüller. Lo studioso si interroga in particolare sulla valenza della preposizione “n” nella locuzione “IHy n iHw”, che si ripete sia nella seconda che nella terza iscrizione. Nella seconda iscrizione la preposizione ha chiaramente valore di dativo; nella terza iscrizione, secondo H. Altenmüller, si tratterebbe di un genitivo. In quest’ultimo caso lo studioso intende la preposizione come una circonlocuzione verbale e dovrebbe essere tradotta “Ihy (dà protezione) alle bestie” oppure “Ihy (viene) per le bestie” 427. Considerando che per gli egiziani era molto più importante l’assonanza tra le due parole, anche questa terza iscrizione potrebbe essere tradotta con un dativo, “Ihy per le bestie”. In definitiva sia traducendo, come suggerito da H. Altenmüller, con un genitivo che con un dativo il senso finale della frase rimane invariato. Verosimilmente si tratta di una preghiera recitata dal pastore per invocare il dio al fine di salvaguardare il suo bestiame dal coccodrillo poco lontano.

Inoltre è interessante notare che quest’ultima espressione, tradotta “Ihy delle bestie”428,

è posta nelle vicinanze, probabilmente non a caso, di un vitello. Infatti le sembianze dell’animale, congiuntamente alla presenza del nome Ihy seguito dal determinativo divino, potrebbero suggerire una identificazione, del vitello con il dio bambino, figlio della dea vacca Hathor. Dunque nonostante possa apparire inusuale incontrare rappresentazioni zoomorfe di Ihy è comunque da presumere che Ihy non sarebbe altro che un diminutivo della parola egiziana iH che significa appunto vitello429.

426 L’espressione si traduce letteralmente “Ihy delle bestie” 427 ALTENMÜLLER 1991a, pp. 17-18

428 ALLAM 1963, p.6; GUGLIELMI 1973, p. 103; ALTENMÜLLER 1991a, p. 18 429 JUNKER 1943, p. 192

Le ultime tre attestazioni iconografiche, degne di nota, riguardanti il piccolo Ihy risalgono apparentemente alla fine dell’Antico Regno, più precisamente al regno del faraone Pepi I, e provengono dal sito di Dendera. La prima e la seconda, poste simmetricamente, rispettivamente nel terzo registro della parete est430 e della parete ovest431 della stanza J all’interno del santuario del tempo, raffigurano un individuo inginocchiato, identificabile dal cartiglio posto sopra la sua testa con il sovrano Pepi. Quest’ultimo è ritratto, in entrambe, nell’atto di offrire alla dea Hathor, tra le altre cose, anche, alcune statuette alte un cubito, in oro, raffiguranti il giovane dio. Ihy qui è raffigurato stante con la gamba destra portata in avanti, completamente nudo e con indosso semplicemente una collana. Egli tiene il braccio destro allungato in avanti con il quale impugna un sistro hathorico, il braccio sinistro è disteso lungo il fianco e in mano tiene un semplice sistro o più probabilmente la collana menat. La figura del dio è acconciata con il tipico ricciolo dell’infanzia. Sopra la testa è disegnato il simbolo geroglifico dell’oro che indicava il materiale con cui era stata forgiata la statua432. La terza immagine, raffigurata

sulla parete nord della camera E della cripta sud 1, mostra la stessa immagine descritta sopra: il sovrano che offre una statua di Ihy a delle divinità. In questa manca il simbolo dell’oro sulla testa del dio, ma un’iscrizione scolpita sotto il braccio portato in avanti riporta l’altezza (1 cubito) e il materiale (oro) 433. Queste raffigurazioni però risalgono al

periodo tolemaico, ovvero, quando venne edificato il tempio. Le due immagini quindi sono state scolpite nel periodo tardo secondo canoni e credenze di quel periodo. I sovrani tolemaici solevano far risalire i culti in voga durante il loro regno ai periodi più antichi, fingendosi così continuatori delle tradizioni religiose, e allo stesso tempo legittimare alcune pratiche da loro introdotte. Pepi I ha contribuito enormemente alla diffusione del culto di Hathor a Dendera, a tal punto da essere adorato e raffigurato anche sulle mura del tempio di età tolemaica-romana434. Forse egli ha realmente consacrato delle statue del piccolo Ihy nel tempio della dea Hathor di Dendera e il ricordo di questa offerta è rimasto scolpito nella memoria fino al periodo greco-romano. Tuttavia in mancanza di altre fonti, che supportino questa teoria, non è possibile affermarlo con certezza. Tale pratica era probabilmente in uso nel periodo tolemaico quando fu edificato il tempio, e si potrebbe

430 CHASSINAT 1935, p. 73, tavv. 180, 189 431 CHASSINAT p. 85 tavv. 190, 197; 432 FISCHER 1968, pp. 42-44

433 PORTER, MOSS 1939, p. 71 (198-199); CHASSINAT 1947, tav. 448; 1952, pp. 159-160 434 FISCHER 1968, p. 40

quindi ipotizzare che l’azione compiuta dal sovrano – dedicare alla dea una statuetta raffigurante Ihy – possa essere stata frutto della fantasia dell’artista.

L’identificazione del sovrano dedicatore delle statuette però non è per nulla semplice435.

Sopra le due raffigurazioni all’interno del cartiglio, contenente il nome del sovrano offerente, infatti non si legge il nome intero ma compare il solo “Py”. Alcuni studiosi come J. Dümichen, F. Daumas, H. G. Fischer, D. Kurth concordano nel ritenere che sia proprio il faraone Pepi I quello rappresentato in queste raffigurazioni: proprio tale faraone è stato infatti il primo sovrano ad inserire l’epiteto di “figlio di Hathor signora di Dendera” nel proprio cartiglio436. Inoltre tale tesi può essere sostenuta anche dal ritrovamento, in un

deposito di fondazione, di una statua recante il nome del sovrano437, la quale era ancora

conservata e probabilmente persino utilizzata durante la celebrazione dei riti religiosi, nel periodo greco-romano438. 435 DAUMAS 1973, pp. 228-230 436 FISCHER 1968, p. 37 437 DAUMAS 1953, pp. 163-172;1969, pp. 1-2; 53; 61; 1974, pp. 7-20 438 KURTH 1987, pp. 1-5