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Riuscire a comprendere questo secondo probabile aspetto di Horus è più difficoltoso. L’espressione letteralmente si traduce “lo spirito akh che è dentro la barca Dndrw”. La barca Djenederu195 citata in questa formula era di quelle che venivano trasportate in processione probabilmente trainate da una slitta196. La stessa si ritrova anche in altre

191 KÁKOSY 1984, pp. 1110 – 1117 192 BEAUX 1994, pp. 61 – 72 193 FORGEAU 2010, p. 46

194 Gli egiziani si riferivano alla levata eliaca di Sirio con il termine “pr.t spd.t”. L’uso della t del femminile

ha fatto propendere gli studiosi a favore della natura femminile di tale stella. Alcuni documenti si riferiscono invece a Sirio utilizzando il maschile. Ciò ha fatto suppore, a studiosi come N. Beaux (BEAUX 2003, pp. 51- 62) e R. Krauss (KRAUSS 1997, pp. 294-297), per citarne alcuni, ad una evoluzione progressiva del nome di Sirio. All’origine spd e spd.t corrispondevano uno alla stella Sirio e l’altra alla costellazione “Canis Major”. Successivamente, forse grazie ad una maggiore importanza sul piano mitico della dea Iside/Sopedet si è cominciato a riferirsi alla stella con il nome spd.ty (“quello di Sopedet”). Infine per metonimia, o per un gioco di parole, si è utilizzata una unica formula spd.t sia in riferimento della costellazione sia per la stella.

195 Wb V, 579 (9-12)

formule dei Testi delle Piramidi197, ma il contesto sembra essere differente. Nella formula TP 366 § 631 b lo stesso attributo è associato al re morto Osiride “esse (Iside e Nefti) si uniscono a te, per timore che tu possa essere arrabbiato, nel tuo nome di barca Dndrw

198; nella formula TP 508 § 1117 d “egli (il re Osiride) è venuto alla barca DndDndr199200.

La barca Dndrw nelle altre formule sembra non avere alcun rapporto con il dio Horus, ma piuttosto essa sembra essere messa in correlazione con il termine Dnd, “essere arrabbiato”201, vocabolo con il quale condivide la stessa radice e con il quale doveva esistere un gioco di parole il cui significato oggi ci sfugge.

Credenze religiose ritenevano che un morto che conservava integro il suo corpo tramite la mummificazione, che riceveva i corretti riti funerari da parte della famiglia e al quale non mancavano mai le offerte giornaliere, poteva assurgere a spirito akh: un essere benevolo e luminoso che aveva il privilegio di vivere insieme agli dei. Visto che sia la barca Dndrw, considerata come la raffigurazione del defunto, sia lo spirito akh, essenza nella quale il defunto si deve trasfigurare per poter continuare a vivere nell’aldilà, sono due concetti entrambi legati al mondo dei morti, si può forse sostenere che l’epiteto akh-imy- Djenederw non era inizialmente attribuito al dio Horus ma al defunto Osiride202, cosicché quest’ultimo, anche nella sua condizione di morto, potesse far discendere la sua benedizione su suo figlio e potesse tutelare il suo regno e il suo operato. Oppure potrebbe trattarsi di una condizione in cui doveva trovarsi Horus, o il nuovo sovrano in quanto trasfigurazione di Horus, per poter ricevere la benedizione di Osiride al fine di governare il paese.

La barca, in quanto mezzo di trasporto più usato per muoversi in lungo il Nilo, potrebbe, quindi, indicare in maniera del tutto simbolica il viaggio che ogni individuo doveva affrontare per essere accettato come erede legittimo.

Restiamo comunque nel campo delle sole ipotesi.

197 TP 366 § 631 b; TP 508 § 1117 d 198 FAULKNER 1969, p. 120 199 Variante della barca Dndrw 200 FAULKNER 1969, p. 183 201 Wb V, 579 (1-7)

Hr sA nD it f

Letteralmente “Horus il figlio che si prende cura di suo padre”, ma il termine “nD” ha diversi significati: “tritare”203, “chiedere”204, “conferire”205, “punire”206, “proteggere”207.

Il vocabolo la cui più antica attestazione compare per la prima volta nella piramide di Pepi I208, inizialmente è stato tradotto con il significato di “vendicare” in riferimento alla parte

del mito in cui il vincente Horus, contrapposto allo zio Seth, riprende possesso del regno cancellando così i torti subiti da suo padre Osiride.

Recentemente J. G. Griffths ha proposto una nuova lettura, attribuendo al termine il significato di “prendersi cura” 209.

È vero che Horus cresciuto sconfigge Seth vendicando il padre, ma a mio parere, questa nuova proposta di lettura sembra essere più congeniale alla funzione dei Testi delle Piramidi. Le formule infatti sono incentrate sul culto funerario del faraone, in modo da permettergli di continuare a vivere oltre la morte terrena nella Duat insieme agli dei.

La formula TP 606 §1683b-1685 a dei Testi delle Piramidi ci esplicita la condotta che Horus doveva avere nei confronti del padre e descrive le funzioni che doveva svolgere in quanto Harendotes: “Io sono tuo figlio, io sono Horus. È per lavarti, per purificarti, per farti vivere, per assemblare per te le tue ossa, per raggiungere per te le tue parti molli, per assemblare le tue membra smembrate che io sono venuto verso di te o padre mio, il re N perché io sono Horus che si prende cura di suo padre.”210.

Il figlio Horus, spesso identificato col sovrano, cura gli interessi del padre morto, praticando un corretto culto funerario, necessario per garantirgli la sopravvivenza nell’aldilà e per poterne ricevere in cambio l’eredità. Il figlio, quindi, è considerato come un mezzo attraverso il quale il padre defunto può continuare a vivere nell’aldilà. Sicuramente il desiderio di sconfiggere la morte ed essere così “eterni” nella memoria e nel culto, come sua espressione rituale, è una spinta alla procreazione. La potenza di Horus, in quanto Harendotes, è paragonata a quella del “Capo dell’Enneade” 211: egli è nato allo

scopo di prendersi cura del padre e di governare sul suo regno mantenendo la Maat, cioè 203 Wb II, 369 (11) – 370 (7) 204 Wb II, 370 (19) – 371 (4) 205 Wb II, 373 (21) 206 Wb II, 374 (2-3) 207 Wb II, 374 (4) – 376 (11) 208 TP 606 § 1685; TP 611 § 1728 209 GRIFFITHS 1951, pp. 32 – 37 210 FAULKNER 1969, p. 250 211 TP 734 § 2262 c

l’ordine cosmico e sociale, Per far ciò il dio trasmette le sue qualità al re che rinasce come divinità autonoma212. Il ruolo di Horus si rivolge quindi in due direzioni, da un lato è responsabile della sopravvivenza materiale del re e del suo trionfo, dall’altro è garante della continuità monarchica213. La successione al trono è assicurata anche da un altro appellativo, tra i più antichi tra quelli di Horus, che si ritrova nella piramide di Unas214. L’epiteto “figlio di Osiride” è utilizzato anche dai sovrani, in modo da garantire la conservazione del loro stato reale, annullare la discontinuità introdotta dalla successione di persone fisiche sul trono d’Egitto e affermare una monarchia ciclica in quanto re defunto e successore condividono un’identità comune.215 Harendotes incarna l’ideale di

rigenerazione, rinascita, ciclicità del tempo, ma soprattutto continuità dinastica poiché egli raccoglie l’eredità del padre Osiride, per continuare la sua opera. Quando esplicita queste funzioni, Horus è sicuramente configurato come divinità già cresciuta, nata come costruzione teologica che, in ragione della sua filiazione dalla coppia formata da Iside e Osiride, beneficia di un diritto naturale allo status di divinità216.

Riassumendo possiamo supporre che i tre epiteti attribuiti ad Horus lo definiscono in alcuni momenti significativi della sua vita: dalla nascita in chiave astrale, che lo connota come legittima divinità, fino all’età adulta, quando assume la funzione primaria di garante della continuità dinastica e dell’eredità legittima.

212 FORGEAU, A., 2010, p. 27 213 FORGEAU, A., 2010, p. 27 214 TP 303 § 466 a 215 FORGEAU, A., 2010, p. 27 216 FORGEAU, A., 2010, p. 5