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Tra le molteplici divinità afferenti al pantheon egizio Horus è tra le più antiche e le più importanti. Egli è conosciuto principalmente attraverso una serie di racconti mitologici che lo vedono contrapposto, in alcuni scontri, allo zio Seth per il possesso del regno133. Al contempo, egli è anche l’unica divinità egizia della quale si conoscono alcuni aspetti concernenti il concepimento, la nascita e momenti legati alla prima infanzia.

Horus è rappresentato, solitamente in forma antropomorfa, con il corpo di uomo e la testa di falco, ma non sono rare le raffigurazioni dove assumetotalmente le sembianze di falco: animale che lo incarna, oltre ad essere il simbolo geroglifico che lo identifica. Il significato del suo nome ha origini ignote, e le interpretazioni sono diverse. Secondo alcuni studiosi significa “il Lontano134”, per altri “Colui che sta in alto”135. Entrambi i termini sottolineano il suo aspetto di dio celeste e si possono riferire alla sua natura di volatile che domina il cielo. Le attestazioni che lo vedono protagonista sono innumerevoli. Una delle più antiche, risalente al periodo protodinastico, è la tavoletta di Narmer. Su un lato di questa, è raffigurato un falco - possibile incarnazione del dio Horus di Nekhen – appollaiato su una serie di fiori di papiro136 e tramite un arpione, tenuto tra gli artigli, egli

infilza per il naso la testa di un uomo, probabilmente un nemico. Una possibile interpretazione di questa raffigurazione vede Horus come la divinità dinastica che consegna al faraone i nemici, che permette la conquista del nord del paese e la successiva unificazione del regno.

Una delle versioni più complete e più conosciute del mito ci è stata tramandata dallo storico greco Plutarco nella sua opera “”137.

Egli ci racconta di Tifone, identificato con il malvagio Seth, che ordisce una congiura ai danni del fratello Osiride governatore dell’Egitto. Con un inganno Tifone riesce a far entrare Osiride dentro un’arca e subito questa viene chiusa, sigillata e gettata nel Nilo.

133 Vedi papiro Lahoun VI, 12; papiro Chester Beatty I

134 OSING 1976, p. 185; BONNET 1952, p. 309; JUNKER 1934, p. 51 135 BUONGARZONE 2007, p. 62

136 Simbolo che identifica il Basso Egitto

Iside, sorella e sposa di Osiride, parte alla disperata ricerca della bara che intanto era giunta a Biblo. Iside, recuperata la bara, la riporta in Egitto e la nasconde nei pressi della città di Buto, dove veniva allevato il figlio Horus. Il cadavere di Osiride viene trovato casualmente dal fratello Tifone, il quale decide di smembrarlo e di disperdere per il paese i vari pezzi. Iside allora intraprende la ricerca delle varie parti, riuscendo infine a ricomporre il corpo dell’amato, salvo il fallo, che mangiato da alcuni pesci del Nilo, viene sostituito con una sua riproduzione. Osiride torna dall’oltretomba per istruire il figlio Horus e per esercitarlo alla battaglia al fine di rivendicare le ingiustizie subite. Horus ormai pronto a sostenere lo scontro, sconfigge Tifone ma Iside decide di risparmiarlo e lo lascia andar via. Tifone, allora, intenta inutilmente un processo di delegittimazione nei confronti del nipote Horus. Il racconto si conclude con Osiride che ingravida Iside, la quale partorisce un figlio, Arpocrate138, nato prematuro e debole agli arti inferiori139.

Plutarco nella sua storia presenta due diversi personaggi, entrambi figli della coppia divina formata da Iside e dal fratello Osiride: Horus, “il primogenito”, nato nel terzo giorno epagomeno, del quale sono raccontate scene legate all’infanzia; e Arpocrate, il secondogenito, nato da un rapporto postumo, del quale sono riportati il concepimento e la nascita.

Le due divinità, figlie di Osiride e Iside, di cui ci parla Plutarco, portano entrambe il nome Horus: una è appena nata, debole e bisognosa di protezione; l’altra, inizialmente con velate caratteristiche fanciullesche, matura grazie ad un addestramento a tal punto da divenire una divinità formata e adulta.

Come vediamo, lo storico greco prende in considerazione due entità separate di Horus: ci si potrebbe chiedere, dunque, se gli abitanti delle due terre concepivano effettivamente due divinità distinte, o se, al contrario, esiste un unico Horus, scisso per ricordare due diversi momenti della sua vita.

Il mito tramandatoci da Plutarco trae sicuramente ispirazione da una lunga e antica tradizione, costituitosi in epoca protodinastica, o forse in un periodo ancora precedente. Il periodo in cui si è formato il mito è caratterizzato dall’assenza di fonti documentarie scritte e ciò rende difficile se non impossibile avere un’idea delle concezioni teologiche di quel tempo. Le credenze religiose, tramandate inizialmente per via orale, per generazioni, devono aver subito una profonda evoluzione, come qualsiasi pensiero religioso che di volta

138 Forma grecizzata dall’egiziano “Hr pA Xrd”, letteralmente “Horus il bambino” 139 PLUTARCO, De Iside et Osiride, § 12-19; CILENTO 1962, pp. 27-39

in volta si adatta alle circostanze, soprattutto se in forma non scritta140. In principio è possibile che esistesse un’unica divinità chiamata Horus e che successivamente la tradizione abbia scisso in diverse essenze le varie caratteristiche che inizialmente gli si attribuivano.141 Solo a partire dal regno di Unas, ultimo sovrano della V dinastia, una parte di queste credenze religiose e del pensiero antico egiziano comincia ad essere fissato per la prima volta sulle pareti delle piramidi.

I Testi delle Piramidi purtroppo non riportano la versione completa dei miti, ma solo alcuni accenni all’esistenza degli stessi, poiché queste formule non sono state scritte per raccontare una storia lineare, ma con l’intento ben determinato di garantire la sopravvivenza del faraone nell’aldilà e la continuità dinastica142. Essi quindi rappresentano

soltanto un piccolo aspetto (cultuale-funerario) delle complesse ed elaborate credenze religiose dell’uomo antico egiziano.

In questo immenso corpus religioso vi sono diverse formule, che di seguito analizzeremo dettagliatamente, concernenti il piccolo Horus. Esse descrivono il concepimento in chiave astrale, la nascita sull’isola di Chemmis tra le paludi del Delta, l’allattamento al seno della madre Iside e diversi episodi legati all’infanzia.

140 FORGEAU 2010, pp. 19-21

141 Secondo H. Kees invece la frammentazione territoriale e culturale iniziale avrebbe dato vita a tante figure

divine e culti differenti che sarebbero solo successivamente confluiti in Horus come suoi aspetti. Vedi: H. Kees, “Der Götterglaube im alten Aegypten” Leipzig, 1941

Il concepimento

Le formule dei Testi delle Piramidi che fanno riferimento al momento del concepimento e alla successiva nascita del dio bambino Horus in chiave astrale sono due: TP 366 § 632 a – 633 b e TP 593 § 1635 b – 1637 b. Quest’ultima sentenza è una versione più recente della prima; infatti le due formule, molto simili nella sostanza, differiscono solo per alcune particolarità.

Formula TP 366

Il testo seguente proviene dalla Piramide di Teti. La formula è anche presente nelle piramidi di Pepi I, Merenra e Pepi II143.

632 a: 632 b: 632 c: 632 d: 633 a: 633 b:

Traslitterazione

ii n-k sn.t

144

-k (A)st Haat

145

n mrwt

146

-k

d.n-k s tp Hms-k

pr mtwt

147

-k im-s spd.t

148

m spd.t

149

Hr spd pr im-k m Hr imy

150

spd.t

151

Ax

152

n-k im-f m rn-f

153

n Ax

154

imy

155

Dndrw

156 143 SETHE 1908, pp. 341-343

144 Nella versione proveniente dalla piramide di Pepi II non compare il complemento fonetico “n” 145 Nella versione proveniente dalla piramide di Pepi I al termine è associato il determinativo di “braccia

alzate in cielo”; nella versione proveniente dalla piramide di Pepi II compare una “i” a inizio parola

146 Nella versione proveniente dalla piramide di Merenra il geroglifico “t” precede la “w”

147 Il determinativo non è presente sulle versioni delle piramidi di Pepi I e di Merenra, inoltre in quest’ultima

il geroglifico “t” precede la “w”

148 Nelle versioni provenienti dalle piramidi di Pepi I e di Merenra il complemento fonetico “p” è omesso 149 Nella versione proveniente dalla piramide di Pepi I i complementi fonetici “s”, “p” e “d” sono omessi;

nella versione proveniente dalla piramide di Merenra è omesso soltanto il complemento fonetico “p”

150 Nella versione della piramide di Pepi II non compare il trilittero “imy”, al suo posto è riportato il

geroglifico monolittero “m”

151 Nelle versioni delle piramidi di Pepi I e di Merenra il complemento fonetico “p” è omesso; in quella di

Pepi II è omesso anche il complemento fonetico “d”

152 Nella versione della piramide di Pepi II compare anche il complemento fonetico “x”

153 Nella versione della piramide di Pepi I compare il pronome suffisso di seconda persona maschile “k”

lasciando intendere che l’epiteto sia riferito ad Osiride e non ad Horus.

154Nelle versioni delle piramide di Pepi I, Merenra e Pepi II il tratto che precede il geroglifico “Ax” non è

inD

157

-f Tw m rn-f n Hr sA nD

158

it

159

-f

Traduzione

Tua sorella, Iside, viene per te, mentre gioisce per il tuo amore. Tu hai posto lei sopra il tuo pene,

il tuo seme entra in lei, efficace dentro Spdt

È Horus-Spd che esce da te, come Horus che sta dentro Spdt

Tu fosti benevolo verso lui, nel suo nome di spirito akh che sta dentro la barca Djenederw

egli ha cura di te nel suo nome di Horus il figlio che protegge suo padre.

155 Nella versione della piramide di Pepi II non compare il trilittero “imy”, al suo posto è riportato il

geroglifico monolittero “m”

156 Nelle versioni delle piramidi di Pepi I, Merenra e Pepi II non compare il determinativo del falco sul

trespolo ma sono presenti tre diversi determinativi di barca

157 Nella versione della piramide di Merenra il bilittero “nD” precede i relativi complementi fonetici; nella

versione della piramide di Pepi II i complementi fonetici sono omessi

158 Nella versione della piramide di Pepi I il complemento fonetico “D” è omesso; nelle versioni delle

piramidi di Merenra e di Pepi II oltre al complemento fonetico “D” è omesso anche il complemento fonetico “n”

Formula TP 593

Il testo seguente proviene dalla Piramide di Merenra. Il testo è presente anche sulla piramide di Pepi II160. Questa formula è quasi identica a quella precedente e si nota soltanto una piccola variante: scompaiono l’epiteto di sorella attribuito ad Iside e il verso

d.n-k s tp Hms-k.

1635 b: 1636 a: 1636 b: 1637 a: 1637 b:

Traslitterazione

ii n-k (A)st Haat

161

n mr.wt-k

pr m mtwt

162

-k im-s spd.t

163

m spd.t

164

Hr spd

165

pr im-k m rn-f n Hr imy spd.t

Ax

166

-k

167

im-f m rn-f n Ax

168

im Dndr

169

nD

170

n

171

-Tw Hr m rn-f n Hr sA

172

nD

173

it f

160 SETHE 1910, p. 365

161 Nella versione della piramide di Pepi II compaiono una “i” ad inizio parola e il determinativo di uomo con

le mani alzate

162 Nella versione della piramide di Pepi II la “w” precede la “t”

163 Nella versione della piramide di Pepi II non sono presenti i complementi fonetici “p” e “d” 164 Nella versione della piramide di Pepi II è omesso il complemento fonetico “s”

165 Nella versione della piramide di Pepi II compare anche il complemento fonetico “p” 166 Nella versione della piramide di Pepi II compare anche il complemento fonetico “x” 167 Nella versione della piramide di Pepi II il pronome è preceduto dalla preposizione “n” 168 Nella versione della piramide di Pepi II il geroglifico “Ax” è preceduto da un tratto

169 Nella versione della piramide di Pepi II è presente la “w”; il determinativo da me è usato nel testo

geroglifico è quello di barca generica, nelle versioni delle piramidi di Merenra e di Pepi II sono raffigurate barche differenti

170 Nella versione della piramide di Pepi II è omesso il complemento fonetico “D” 171 Questa preposizione non compare nella versione della piramide di Pepi II 172 Nella versione della piramide di Pepi II è omesso il complemento fonetico “s” 173 Nella versione della piramide di Pepi II sono omessi i complementi fonetici “n” e “D”

Traduzione

Iside viene a te, mentre gioisce per il tuo amore, il tuo seme entra in lei, efficace dentro Spdt.

È Horus-Spd che esce da te, nel suo nome di Horus che sta dentro Spdt.

La tua benedizione (è) in lui, nel suo nome di spirito akh dentro la barca Djeneder(u). Horus si prende cura di te nel suo nome di Horus il figlio che si prende cura di suo padre.

Interpretazione

Entrambe le formule raccontano di Iside – definita con l’attributo di “sorella” nella versione più dettagliata e antica – che piena di amore si presenta ad Osiride. Le due divinità si uniscono in un rapporto dal quale nascerà il piccolo Horus. I genitori sono ben identificati e il racconto del concepimento, unico nel suo genere, è narrato secondo leggi biologiche naturali. Al contrario i diversi rapporti di filiazione attribuiti alle altre divinità del pantheon egizio ignorano il meccanismo del concepimento sessuale e nascono al solo scopo di garantire un ordine teologico174.

La tradizione successiva racconta di un’unione postuma, tra Iside e il defunto fratello Osiride, per il concepimento di un figlio, ma queste due formule dei Testi delle Piramidi non ne fanno alcun accenno specifico, al contrario dalla formula più antica, si può evincere che Osiride abbia addirittura avuto una parte attiva durante il rapporto. È legittimo quindi supporre che Osiride, secondo le concezioni teologiche più antiche, fosse ancora in vita quando insemina il ventre dell’amata sorella. Ugualmente la formula TP 518 § 1199 c dei Testi delle Piramidi, nella quale il defunto si rivolge ad Osiride dicendo: “come tu hai affidato Horus ad Iside il giorno in cui tu l’hai ingravidata”175, accennando al momento dell’ingravidamento, non solo non fa riferimento ad un concepimento postumo ma confermerebbe le supposizioni che ritengono Osiride ancora in vita durante l’atto.

J. G. Griffiths al contrario, forse condizionato dal pensiero di K. Sethe e probabilmente anche dalle numerose fonti posteriori, ritiene quest’ultimo già deceduto. J. G. Griffiths infatti, considerando l’hapax Hms, parola alla quale generalmente è attribuito il significato di fallo, come una grafia difettiva del vocabolo Hmt, e attribuendo a quest’ultimo il

174 FORGEAU 2010, p. 5 175 FAULKNER 1969, p. 191

significato di vulva, traduce “ella (Iside) piazza per te il tuo fallo nella sua vulva” 176, attribuendo, in questo modo, ad Iside un ruolo di primo piano come colei che ha parte attiva durante il rapporto.

Il ruolo di madre di Horus è stato attribuito, da alcuni studiosi come K. Sethe, A. J. Arkel o S. Allam, alla dea Hathor in quanto il suo nome “casa di Horus”, rappresentato in geroglifico con il simbolo del falco all’interno di un santuario, sottolineerebbe il legame madre-figlio e potrebbe inoltre indicare in senso fisico l’esistenza prenatale del bambino all’interno del ventre materno177. Altri egittologi al contrario, sempre sulla base del nome,

hanno ipotizzato la dea come una compagna di Horus178.

In particolare K. Sethe ritiene l’esistenza di una versione primitiva del mito in cui Hathor era la vera madre di Horus, e che in epoca successiva, in seguito alla fusione di più miti, il ruolo di dea madre sarebbe stato assegnato ad Iside. Per chiarire il rapporto di filiazione bisognerebbe interpretare le raffigurazioni sulla tavoletta di Narmer. Il motivo a testa di mucca, oltre ad essere riprodotto sul perizoma indossato dal sovrano, sormonta entrambi i lati della tavoletta indicando il ruolo della divinità come dea del cielo. A. J. Arkel si sofferma su una somiglianza tra le corna di una vacca e l’immagine della luna nuova,179 che avrebbe spinto gli egiziani a creare un collegamento tra la vacca e il cielo, e a creare la credenza secondo la quale la dea Hathor darebbe alla luce la luna, tutte le stelle e anche il dio sole-falco180.

Un passo dei Testi delle Piramidi (TP 303 § 466 a) sembrerebbe confermare queste ipotesi. Al sovrano, infatti, durante la sua ascensione al cielo, a garanzia di essere ammesso al cospetto degli dei e del suo diritto ad iniziare la sua nuova vita insieme ad essi, viene chiesto se sia “Horus figlio di Osiride” e successivamente se sia il “dio grande, figlio di Hathor”. In questa seconda domanda il soggetto sembra essere espresso chiaramente solo nel testo proveniente dalla piramide di Unas181, nel quale appare come determinativo di dio il simbolo geroglifico di Horus. L’appellativo di figlio di Osiride conferirebbe al sovrano

176 GRIFFITHS 1980, pp. 12-14 177 ALLAM 1963, pp. 99-102 178 VANDIER 1949, p.69

179 In realtà la fase lunare chiamata luna nuova avviene quando la luna non risulta visibile, poiché

completamente in ombra. L’autore probabilmente voleva indicare la fase precedente “luna calante” e quella seguente “luna crescente”

180 ARKELL 1955, p. 126

181 La formula TP 303 § 466 si ritrova anche sulle pareti della piramide di Pepi II. Si può sempre intendere il

la legittimità in quanto erede del dio, mentre l’appellativo di figlio di Hathor lo consacrerebbe come una divinità celeste.

Nella seconda parte di entrambe le formule, ad Horus sono conferite tre diverse “qualifiche” Hr imy spd.t, Ax im Dndr, e infine Hr sA nD it-f.

Si tratta di semplici epiteti intercambiabili o corrispondono a diversi modi di percezione del dio?

Forgeau, riferendosi ad altri appellativi di Horus182, afferma che questi costituiscono delle unità indivisibili, dei marcatori di identità che permettono di giocare sulla variabilità della sua personalità183.

Analizziamo dunque in dettaglio questi diversi aspetti di Horus.