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Statuette raffiguranti immagini tipiche di infanti nudi, accovacciati e nel caratteristico gesto di portare la mano alla bocca, sono state rinvenute anche all’interno di un corredo funerario nel complesso cimiteriale di Helwan.

Helwan

Helwan è un sito del Basso Egitto posto lungo la riva est del fiume Nilo, pochi chilometri a nord di Saqqara. Durante la V campagna di scavo117 effettuata dalla “Royal

Excavations”, nella zona cimiteriale è stata rinvenuta intatta una sepoltura rettangolare tagliata nella ghiaia. La tomba catalogata “597 H5” era orientata in direzione Nord-Sud, per una lunghezza di 140 centimetri, con una larghezza di 90 centimetri e una profondità di 80 centimetri. Il bambino ivi deposto era disteso sul fianco sinistro in posizione semi- contratta all’interno di una bara in legno della quale rimangono soltanto poche tracce, e volgeva lo sguardo verso occidente. Attorno al corpo erano disposti gli oggetti che componevano il corredo funerario. Questi hanno permesso di datare la sepoltura intorno alla fine della I dinastia.118

Tra la suppellettile, nell’angolo nordorientale della bara, erano deposte due figurine di infanti119.

Giovane nudo e accovacciato, porta la mano destra alla bocca e tiene la sinistra poggiata sul ginocchio sinistro. La testa è molto rovinata con delle grandi orecchie sporgenti, i dettagli del volto sono appena visibili. La figura è in avorio120.

Giovane accovacciato, porta la mano destra alla bocca e tiene poggiata la sinistra sul ginocchio sinistro. La figurina, molto frammentata e di dimensioni ridotte, è anch’essa in avorio121.

117 Svoltasi dall’11 Novembre 1946 al 31 Maggio 1947, sotto la direzione di Z. Y. Saad, 118 BAUMGARTEL 1968 p. 10

119 SAAD 1951, pp. 34-36

120 SAAD 1951, tavv. XLI D; XLII a fig. B; XLII b fig. B 121 SAAD 1951, tav. XLI C

Conclusioni

Analizzando le diverse attestazioni sopra riportate alcuni interrogativi e svariate considerazioni sorgono spontanee.

Esiste una relazione tra il “Main Deposit” di Hierakonpolis, la “Camera M69” di Abido, la giara di Tell el-Farkha, la favissa di Elefantina e la sepoltura di Helwan?

Il ritrovamento di Helwan è l’unico esempio, finora conosciuto, di statuette raffiguranti bambini ritrovate tra la suppellettile di un corredo funerario. Sebbene una sepoltura abbia un valore completamente diverso rispetto alla concezione e ai valori che gli egiziani attribuivano ad un tempio, è tuttavia possibile, notare che le statuette ritrovate all’interno della sepoltura sono tipologicamente uguali a quelle ritrovate nelle diverse favisse. Infatti anche se non esiste una relazione diretta, si può notare che i vari depositi, sebbene completamente diversi tra loro da un punto di vista tipologico (un deposito, una stanza, una giara, una fossa di fondazione) in realtà hanno la medesima destinazione d’uso: tutti sono stati concepiti per conservare manufatti, destinati al tempio, ormai desueti o che avevano semplicemente adempiuto lo scopo per il quale erano stati creati. Si potrebbe ritenere che presso gli antichi egizi, in questo periodo, era diffusa la tradizione religiosa di collocare piccoli oggetti in quei luoghi che erano ritenuti sacri, come santuari locali, templi o anche sepolture. Distinzioni stilistiche e iconografiche confermano l’esistenza di varianti locali, e probabilmente gli oggetti ritrovati, nonostante le somiglianze visibili per stile e soggetti raffigurati, sono stati prodotti da differenti scuole artigiane sparse per tutto l’Egitto nei pressi dei luoghi di culto122.

L’offerta di oggetti votivi al tempio e dunque alla divinità è una pratica propria dell’uomo egiziano. Questa usanza si sviluppò per un arco di tempo di diversi secoli per poi non essere più attestata a partire dall’Antico Regno, quando emerge una nuova teologia statale ufficiale secondo la quale le offerte potevano essere concesse nominalmente soltanto dal faraone123. Ma essa continua, in alcuni contesti localizzati al di fuori dalla Valle del Nilo – ad esempio presso il santuario di Hathor a Gebel Zeit, sulla costa del Mar Rosso –, ad essere ancora praticata da parte del popolo egizio, durante il Medio Regno e il Secondo Periodo Intermedio, per dimostrare la loro dedizione alla dea tramite l’usanza di

122 CIAŁOWICZ 2009, p. 97

donare oggetti votivi come figurine femminili nude che simboleggiano la fertilità o amuleti124. Anche J. B. Kemp ha osservato che i diversi oggetti recuperati dai vari depositi sembrano appartenere ad uno stato di credenze e di pratiche religiose che non rispecchia l’ortodossia dell’Egitto faraonico, ma che piuttosto ne illustrano un aspetto diverso, molto vicino al concetto di “pietas”, di credenza personale o di cultura popolare. Infatti, egli ritiene che queste offerte riflettano un costume tipico della tradizione locale o di credenze popolari (indipendenti dalla religione di stato ufficiale), messe in atto come consuetudine solamente da una parte della popolazione. Questa tipologia di credenze, generalmente, non ha spazio alcuno nei testi teologici ufficiali. Non disponiamo, infatti, di altre fonti che descrivono l’usanza di pratiche simili. Le stesse comunque hanno lasciato evidenti tracce, tali da permettere di svelare e rendere evidenti alcuni aspetti della dimensione della vita quotidiana individuale o della società dell’Antico Egitto che altrimenti rimarrebbero celati125.

Per quale motivo questi manufatti appartenevano al tempio e quale funzione avevano le statuette di bambini ritrovate in questi depositi?

Probabilmente le figurine scoperte nei depositi come anche quelle trovate all’interno dell’area templare avevano la medesima funzione originaria. La figura del bambino per il quale si richiedeva l’intervento divino veniva posizionata all’interno della casa del dio in modo che la divinità si ricordasse più facilmente di intercedere in suo favore.

Tutti gli studiosi, con più o meno sicurezza, sono concordi nell’attribuire a queste statuette un valore votivo, G. Pinch ed E. A. Waraksa precisano che il termine votivo deriva dal latino “votum” e significa “promessa”. Le due studiose aggiungono inoltre che in riferimento alle pratiche religiose egiziane esso, piuttosto che dono in adempimento di un voto dopo una preghiera esaudita, sembra indicare un omaggio fatto alla divinità, in anticipo, per ottenere in cambio la sua benedizione o per placarla126.

E. Feucht127, H. W. Müller128, W. Needler129 non precisano se le offerte fossero donate al dio in previsione di una richiesta o dopo l’esaudimento della stessa. Secondo loro la

124 BLOXAM 2006, p. 296 125 KEMP 2006, pp. 111-128 126 PINCH, WARAKSA 2009, p. 2 127 FEUCHT 1980, p. 424 128 MÜLLER 1964, p. 33 129 NEEDLER 1984, pp. 347-348

funzione delle statuette era quella di ricevere dal dio protezione, assistenza e benedizione. W. Needler include, inoltre, tra le possibili funzioni la richiesta della buona riuscita di una gravidanza.

Secondo G. Dreyer, invece, le figurine sono, probabilmente, sempre associate a richieste di assistenza o a ringraziamenti, ma esse venivano offerte solamente dopo la nascita del neonato; inoltre suppone che la frequenza di ritrovamenti di esemplari maschili e femminili sia dovuta soltanto a scoperte casuali: sembra, infatti, non esistere una sostanziale differenza né ideologica né formale sul fatto che esse siano state prodotte per la nascita di una fanciulla o di un bambino130.

In ogni caso, le motivazioni proposte dagli studiosi sopra citati non sono le uniche possibili. Molto affascinante è la tesi di J. B. Kemp, che considerando l’alta mortalità infantile, suppone che tali statuette potrebbero essere state offerte dalla futura madre per richiedere un parto felice131. Un’altra ipotesi è che siano state donate al dio, da una coppia

con lo scopo di richiedere la nascita di un figlio, garanzia della continuità familiare. La differenza di sesso potrebbe riflettere un desiderio dei genitori. Nel caso in cui esse venissero donate dopo la nascita per una richiesta di intervento in favore di un bambino, si potrebbe ritenere che il sesso della statuetta corrisponda al sesso del fanciullo in questione.

Evitando affermazioni assolutistiche, possiamo, quindi, considerare queste statuine come delle offerte donate da individui privati, nella casa del dio, alla divinità che ivi risiedeva, al fine di stabilire un rapporto personale e duraturo con la divinità stessa, per riceverne in cambio favori, o come ringraziamento per una grazia già concessa.

Al di là delle differenti funzioni, queste statuette, che riproducevano le fattezze di infanti di entrambi i sessi, possono essere considerate come ritratti aventi caratteristiche fisiognomiche precise, o si tratta di immagini simboliche?

Tentare di rispondere ad una domanda del genere non è semplice, forse quasi impossibile. Il concetto di ritrattistica, per come la intendiamo noi oggi, probabilmente non era estraneo al pensiero egizio. Quindi, se le suddette sculture venivano consacrate con l’intento di assistere, curare, proteggere un determinato bambino, si potrebbe ritiene che fossero scolpite – per quanto schematiche o modellate in maniera rozza – con l’intento di riprodurre il più possibile le fattezze di quel determinato fanciullo. Personalmente ritengo

130 DREYER 1986, p. 66 131 KEMP 2000, p. 77

che gli egizi davano più valore al simbolo, e quindi ogni oggetto aveva, per questo motivo, un significato intrinseco profondo e misterioso. Ritenendo che le statuette venivano offerte per richiedere un figlio o una figlia in buona salute o per augurarsi il buon esito del parto – ipotesi a mio parere molto plausibile – esse potrebbero simboleggiare, molto verosimilmente, la mera idea stessa del bambino.

Se tali figurine, dunque, erano rappresentazioni simboliche del concetto generico di bambino, perché non prendere in considerazione l’ipotesi che tra le divinità egizie ci possa essere anche una divinità bambina?

J. B. Kemp osserva che le prime offerte votive non avevano alcuna relazione iconografica con la divinità principale del tempio in cui sono state trovate, anche perché è difficoltoso comprendere, allo stato attuale degli studi, quali erano le divinità che si veneravano in molte delle aree sacre più antiche132.

Accanto alle figurine votive che riproducono le fattezze degli esseri umani se ne ritrovano altre che riproducono immagini di creature fantastiche o di animali realmente esistenti. Le rappresentazioni di ricci, scorpioni e ippopotami, si ritrovano soltanto in particolari contesti, mentre le statuette con sembianze di babbuino sono state ritrovate un po’ ovunque. In quanto offerte votive, tutte le figurine avevano un significato particolare, che ancora oggi ci sfugge; inoltre esse erano associate a richieste ben determinate, tipiche e molto probabilmente anche esclusive. L’atto di offrire l’immagine di un babbuino o di un qualsiasi altro animale – realmente esistente in natura o frutto della fantasia umana – può essere concepito solo se si considera l’idea che gli antichi egizi avevano di tali animali, e di conseguenza anche delle statuette che li raffiguravano; animali che erano ritenuti, infatti, come possessori di particolari poteri magici, se non addirittura divini, tali da riuscire ad esaudire le varie richieste dei fedeli o del popolo.

Il culto degli animali sacri è proprio delle credenze religiose popolari primitive. In Egitto la zoolatria si è diffusa fin da tempi antichissimi. Durante l’epoca predinastica gli animali, che manifestavano, per un qualche motivo naturale, capacità uniche, furono considerati degni di assurgere allo stato di vere e proprie divinità, sia tutelari che cittadine.

Queste stesse divinità primordiali continueranno ad essere ritenute tali anche durante le epoche successive, poiché la tradizione egiziana preferiva conservare inalterate le forme e

mutare le identificazioni e le interpretazioni in base alle esigenze che di volta in volta si riproponevano. Ad esempio, il babbuino, la cui immagine è più diffusa, è stato successivamente assimilato ad una delle forme del dio Thot; l’ippopotamo alla dea Tauret; lo scorpione alla dea Serqet. Allo stesso modo dunque la raffigurazione del bambino accovacciato che porta l’indice della mano destra alla bocca, nel corso dei secoli, è stata spesso assimilata a divinità differenti.

In conclusione, soprattutto per la mancanza di fonti documentarie scritte, difficilmente si riesce a percepire la concezione religiosa che è dietro queste pratiche e a seguirne l’evoluzione, almeno, per le sue fasi iniziali. Il pensiero predinastico e protodinasico può aver subito nel corso del tempo radicali cambiamenti, e i vari simboli, che si sono conservati, possono aver mutato nel tempo il significato originale.

Personalmente suppongo sia possibile ritenere che queste statuette votive, fin dagli albori della civiltà, siano immagini volte a rappresentare le divinità, le uniche in grado di soddisfare i desideri delle popolazioni locali. Inoltre, l’accentramento di figure divine nelle zone templari è indice del fatto che i luoghi di culto cittadini giocavano un ruolo centrale nelle credenze della popolazione.

CAPITOLO 2

L’ANTICO REGNO