Il credito è andato assumendo nell'economia italiana una posizione di preminenza da quando le imprese non hanno più potuto autofinanziarsi (per diminuzione di redditi netti) e si è anemiz-zato il mercato azionario. Però non è da credere che le banche possano da sole modificare la si-tuazione economica del Paese che invece si riper-cuote immancabilmente sul credito. Ad esempio la recessione italiana durante il 1975 ha avuto un riflesso evidente sull'attività bancaria; infatti l'incremento dei depositi è stato del 2 5 , 2 % , men-tre gli impieghi nello stesso anno sono cresciuti soltanto del 13,3%; il rapporto impieghi — de-positi è sceso dal 64,9% nel dicembre 1974 al 59,6% nel dicembre 1975.
Gli alti e bassi dell'andamento economico si ripercuotono decisamente sull'attività bancaria. Infatti a periodi in cui non è possibile accogliere una parte notevole della domanda seguono pe-riodi in cui è impossibile piazzare tutta la dispo-nibilità (il ben noto cavallo che non beve).
In una più lunga prospettiva il terreno favore-vole per l'attività creditizia è dato dal gran biso-gno di capitali manifestato dalle imprese e dagli enti pubblici. Conseguentemente l'obiettivo prin-cipale delle banche deve essere proprio il soddi-sfacimento del fabbisogno di capitale specialmen-te a breve specialmen-termine, ad inspecialmen-tegrazione (e non in so-stituzione) del mercato finanziario che è chiama-to a fornire il capitale per investimenti a medio e a lungo termine.
In Italia una parte cospicua del risparmio ban-cario va a finanziare enti pubblici (comuni, pro-vince, ospedali) e ad assorbire titoli di reddito fisso; per questo motivo il risparmio bancario di-sponibile per le imprese diventa nettamente in-sufficiente. La causa di tale situazione è evidente. L'inflazione rende inadeguate le entrate pubbliche e gli stanziamenti per le spese pubbliche in
cre-scita; di qui il maggiore ricorso al credito da par-te degli enti pubblici. A loro volta le crescenti spese pubbliche alimentano l'inflazione. È questo il primo circolo vizioso che, unito a quello prezzi-salari, causa la permanente inflazione ad alto grado.
Tassi d'interesse.
Gli alti tassi d'interesse sono ormai un dato che minaccia di diventare permanente nell'eco-nomia italiana. Ricordiamo che al primo aprile
1975 i tassi attivi erano scesi dal 18,25% al 17,25% nell'ambito del cosi detto prime rate; nei mesi successivi si è passati al 16,50% poi 1 5 % , quindi al 14,25%. Purtroppo da anni si compiono piccoli passi in discesa e grossi passi in salita. In-fatti il 1976 ha visto i tassi attivi aumentare e giungere sino al 19,50% per la migliore clientela.
Gli alti tassi possono essere uno strumento di freno transitorio all'inflazione, ma non vanno ac-colti definitivamente come una caratteristica strut-turale, se si vuole conseguire un certo sviluppo economico. Anche se il costo del lavoro, soprat-tutto per gli oneri sociali, incide sulla vita delle imprese, ancora più del costo del capitale, non è da trascurare quest'ultimo.
Naturalmente la riduzione dei tassi attivi va accompagnata dalla moderazione dei tassi dei buoni del tesoro che quando sono alti distolgono una parte del risparmio dai depositi bancari. A loro volta i tassi dei buoni del tesoro dipendono dall'intensità del fabbisogno finanziario pubblico non coperto dalle imposte.
I tassi passivi sono molto elevati soltanto per i medi e grossi depositi che vengono negoziati dagli interessati. La grande massa dei piccoli de-positi (che è poi quella globalmente più stabile e sovente in crescita) ha dei compensi moderati,
anche se superiori a quelli praticati in molti altri paesi che però sono meno colpiti dall'inflazione. Un paese che ha bisogno di attirare capitali dall'estero deve tenere i tassi più alti del livello medio mondiale, ma la differenza tra questo li-vello e quello italiano è ormai troppo forte. Un avvicinamento ai tassi praticati dalla maggior parte dei paesi esteri si stava gradualmente ope-rando negli ultimi mesi del 1975. Purtroppo la crisi della lira del 1976 ha bruscamente interrotto una tendenza appena iniziata. Il ribasso durevole dei tassi si avrà quando si riuscirà a fronteggiare l'inflazione con altri strumenti (ad esempio misu-re fiscali e controllo dei pmisu-rezzi e dei salari).
Rapporti tra il credito e la produzione.
È stato rilevato che il settore creditizio è par-ticolarmente prospero come è dimostrato dai pro-fitti in aumento, mentre sono in crisi molti set-tori produttivi. Da ciò si arguisce che il settore creditizio si trova in una situazione privilegiata rispetto al resto dell'economia. Il grande bisogno di capitali spiega la prosperità delle banche le quali operano su una speciale materia prima par-ticolarmente desiderata. Occorre anche rilevare che le banche sono gestite secondo rigorosi ca-noni aziendali che portano a risultati positivi. In linea generale il credito più che insufficiente glo-balmente risulta troppo oneroso per le imprese. Certe imprese hanno potuto attingere largamente al credito, sino al punto da superare ampiamente i limiti ritenuti invalicabili (il 5 0 % del capitale investito).
Gli squilibri del credito non si risolvono senza creare per le imprese una più larga base aziona-ria. Comunque l'orientamento fondamentale del credito a fini di interesse generale non può es-sere che quello di sostenere l'imprenditorialità e cioè le iniziative che portano al sorgere di nuo-ve imprese o allo sviluppo delle imprese esistenti. E ciò anche se implica per le banche correre qual-che maggiore rischio coperto però dalle loro co-spicue riserve. Sempre in questo ambito può es-sere opportuno stabilire (sia pure con una certa elasticità) una proporzione tra le concessioni di credito alle piccole, alle medie ed alle grandi im-prese; ciò è necessario perché, data la prevalenza delle grandi banche è naturale che sia dato più ampio campo alle grosse operazioni, mentre lo svi-luppo economico richiede adeguata attenzione pure alle piccole e alle medie imprese.
Infine una qualche cura andrà trovata per la situazione debitoria delle imprese. Notiamo che tale situazione si presenterà meno grave con il ri-torno all'espansione produttiva. Sia per l'ampiez-za dell'indebitamento che per l'altezl'ampiez-za dei tassi d'interesse, molte imprese, se dovesse ritardare troppo un ritorno all'espansione produttiva ver-rebbero a trovarsi in situazioni insopportabili. Evidentemente l'espansione in ultima analisi si identifica con più sostanziosi utili delle imprese, messe cosi in grado di sopportare gli alti oneri finanziari.
Sempre per il problema dell'indebitamento al-l'inizio del 1975 il governatore (di allora) della Banca d'Italia aveva proposto in un articolo sul « Corriere della Sera » (2 gennaio) il passaggio agli istituti finanziari di una parte dei crediti delle banche verso le imprese; a loro volta gli istituti finanziari avrebbero convertito tali crediti in azio-ni delle imprese. Tale operazione indubbiamente consentirebbe di alleggerire sia gli interessi fissi delle imprese e sia la posizione creditrice delle banche; naturalmente si crea un problema di più larga partecipazione degli istituti finanziari nelle imprese.
Innovazioni delicate.
Sovente appaiono proposte per cambiamenti nella condotta del credito. Il campo del credito è tra quelli in cui le innovazioni risultano piut-tosto difficili. Comunque eventuali innovazioni nell'attività creditizia vanno considerate a patto che non vengano a snaturare le caratteristiche di una sana gestione delle aziende del credito.
Negli Stati Uniti d'America qualche banca che ha dato espansione alla propria attività sulla ba-se di prestiti passivi a breve termine e prestiti at-tivi a lungo termine, è venuta a trovarsi in crisi di liquidità e di esigibilità. Si confermano cosi i risultati sovente negativi del cosi detto credito misto, come si era già rilevato in Europa durante il secolo scorso e nei primi decenni del secolo at-tuale.
Non è compito delle banche ordinarie quello di partecipare al capitale delle imprese; infatti nei vari paesi ed anche in Italia l'esperienza ha portato a questa regola. Fermo restando questo principio occorre che la massima quota di rispar-mio giunga agli investimenti; ma ciò non può avvenire senza la presenza vitale degli istituti
fi-nanziari, delle società finanziarie e delle borse valori. Le banche non possono sostituire gli altri organismi del mercato finanziario.
Criticare globalmente la gestione delle banche costituisce una generalizzazione discutibile; infat-ti ogni banca ha una sua autonomia di gesinfat-tione e funziona con dei costi più o meno elevati. Cer-tamente la posizione delle banche è più fortunata di quella delle imprese industriali e agricole, per-ché riescono più facilmente a caricare sui clienti gli accresciuti oneri.
Sempre in merito alle innovazioni è certamente concepibile un credito almeno parzialmente di-verso per ciò che riguarda le garanzie. Tradizio-nalmente il credito trova le più sicure garanzie nei terreni e nei fabbricati. Un credito diverso è quello poggiato prevalentemente sulla redditività delle imprese con esigue garanzie reali. Le im-prese che dimostrano una capacità di reddito non momentanea, meritano di ricevere credito. Cer-tamente le concessioni di credito prevalentemente poggiate sulla redditività sono più rischiose, per-ché le situazioni aziendali mutano nel tempo per molti motivi. Però il credito finalizzato allo svi-luppo, specialmente nelle nuove imprese aventi
limitato p a t r i m o n i deve, almeno in parte essere garantito dalle prospettive di redditività.
Triplice processo.
11 credito in Italia abbisogna di un triplice pro-cesso che possiamo indicare con questi termini: normalizzazione, evoluzione, programmazione.
La normalizzazione significa contenimento del-l'inflazione e ritorno di abbondante risparmio con possibilità di tassi passivi e attivi più mode-rati. L'evoluzione significa maggiore varietà nella gamma nelle vie creditizie secondo quanto avvie-ne avvie-nei paesi economicamente più avanzati; ad esempio in Italia mancano le cosi dette banche d'affari. La programmazione indica gli indirizzi dello sviluppo che il credito deve assecondare; cosi, ad esempio possono essere stabilite delle priorità per l'agricoltura e per l'esportazione, sen-za però giungere ad un irrigidimento di tutte le destinazioni del credito. A questo proposito il mo-dello da seguire non può essere che quello dei paesi (principalmente Germania, Olanda e Sviz-zera) i quali hanno saputo conseguire congiunta-mente la stabilità monetaria e lo sviluppo eco-nomico.