Negli ultimi anni l'agricoltura in generale ed il settore zootecni-co in partizootecni-colare sono stati zootecni- coin-volti in avvenimenti che hanno modificato notevolmente i rap-porti costo-prezzo dei diversi fat-tori di produzione. Tra i più si-gnificativi possiamo ricordare: la crisi energetica, cui conseguiro-no un sensibile aumento del prez-zo del gasolio e le concomitanti ripercussioni sui prezzi delle macchine, dei concimi, dei diser-banti, degli antiparassitari; la crescente richiesta degli alimenti proteici, a livello mondiale, con il relativo aumento del prezzo dei cereali d'importazione.
Per quanto riguarda
quest'ul-timo aspetto è bene sottolineare che, nello scorso decennio, la maggiore innovazione agronomi-ca e tecniagronomi-ca nel settore della pro-duzione di alimenti zootecnici è stata l'utilizzazione dei cereali foraggeri e del mais in particola-re. Questa tecnica — che ha tro-vato vasta e vantaggiosa applica-zione nell'allevamento del bovi-no da carne — è stata estesa, in molti casi, anche ai bovini da lat-te: in tal modo, i ruminanti, es-senzialmente preposti (dal pun-to di vista fisiologico) ad utiliz-zare le produzioni vegetali ric-che di fibra, sono entrati in con-correnza diretta con i monoga-strici (cioè i suini e il pollame)
per i quali appunto i cereali so-no preminentemente necessari. È proprio siffatta sfasatura concor-renziale che impone, per il futu-ro, una rivalutazione del ruolo preponderante dei foraggi nella alimentazione dei bovini.
Il problema riguarda sia le modalità di utilizzazione delle erbe da foraggio, sia le forme di sfruttamento dei comprensori ab-bandonati e non recuperabili ad una moderna agricoltura intensi-va a motivo della intrinseca col-locazione topografica ed econo-mica (c.d. aree marginali e ter-re abbandonate).
Per quanto concerne le moda-lità di utilizzazione del foraggio si può sottolineare che, anche nel nostro Paese, la tecnica del pa-scolo razionale rappresenta or-mai una valida forma di valoriz-zazione zootecnica dei terreni a prato. Dai dati raccolti dal « Centro ricerche produzioni ani-mali » di Reggio Emilia emerge una precisa graduatoria dei co-sti di produzione, riferiti all'uni-tà foraggera, relativi ai vari tipi di coltura e di ambiente. Al pri-mo posto compaiono i foraggi af-fienati, con costi di produzione che oscillano tra le 138, 112 e 108 lire/U. F. a seconda che
pro-Questo studio riprende e sviluppa una relazione presentata dall'Autore alla Tavola rotonda sulle « Prospettive del-l'allevamento animale nel quadro dello sviluppo della società » tenutasi a Savi-gliano il 25 giugno 1976.
vengano da prati-pascoli monta-ni, da medicai o da prati stabi-li irrigui di pianura. Successiva-mente troviamo il silomais, con costi di produzione sulle 63 li-r e / U . F.; si passa poi dalle 61 lire/U. F. alle 54 lire/U.F., ri-spettivamente, per il foraggio di medica e quello di prato stabile irriguo sfalciato e utilizzato al-lo stato fresco. Si scende infine, rispettivamente, alle 49 e alle 46 lire/U. F. quando il foraggio ver-de di prato-pascolo montano o di prato stabile irriguo di pia-nura viene pascolato.
La tecnica del pascolo razio-nale oltre a fornire produzioni competitive con le altre foragge-re, mais compreso, presenta an-cora altri vantaggi notevoli: ri-duce il lavoro per gli addetti al-l'allevamento e migliora lo sta-to di salute degli animali, in-crementando perciò la qualità e l'economicità delle produzioni.
Passando ai problemi legati al-lo sfruttamento dei comprenso-ri abbandonati, è necessacomprenso-rio di-stinguere — nell'ambito della marginalità — almeno due zone, con diverso grado di recuperabi-lità del territorio: l'una può pre-starsi ad un allevamento bovino di carattere estensivo, in quanto consente in certe sue parti una minima attività agricola; questa, infatti, è necessaria ad es. per la costituzione di prati-pascoli uti-li alla formazione di scorte inver-nali di fieno. Le altre zone inve-ce, a carattere più marginale, non possono essere altrimenti sfruttate che con l'allevamento, più o meno estensivo, di ovini e caprini: cioè impiegando specie adatte a comprensori realmente diffìcili e preclusi ad una forma sufficientemente economica di al-levamento bovino.
Da una recente indagine,
svol-Bovine Charollaises all'aperto.
ta dall'Assessorato all'agricoltu-ra ed alle foreste della Regione Piemonte, è emerso che i pascoli montani meritevoli di essere re-cuperati sono circa 500 per una superficie complessiva di oltre 80.000 ettari; in questi compren-sori potrebbero trovare favorevo-li condizioni, compatibifavorevo-li con un tipo di economia silvo-pastorale, gli allevamenti bovini semibradi imperniati sulla linea vacca-vitel-lo: tale indirizzo produttivo, tra l'altro, potrebbe rappresentare un mezzo per ovviare, almeno in parte, alle difficoltà attuali di
re-perimento e di costo dei vitelli d'importazione da destinare al ri-stallo in pianura.
Un contributo sulle possibili-tà di realizzazione di questo ti-po di allevamento bovino può derivare dalle prove « di cam-po » avviate dall'Istituto delle piante da legno delle Cartiere Ikirgo, al quale l'Istituto di zoo-tecnica speciale della Facoltà di agraria di Torino si è affiancato per studiarne analiticamente gli aspetti zoo-economici; in questa sede, molto sinteticamente ne ri-feriamo le prime risultanze.
L'allevamento, caratterizzato dalla presenza di circa un centi-naio di capi adulti, utilizza bo-vine di razza Charollaise, che vengono incrociate con tori Aberdeen Angus: la scelta di ta-li due razze è stata motivata dal-le notevoli doti di rusticità che presentano questi soggetti, unita-mente all'ottima attitudine al pa-scolamento.
Gli elementi di maggior risal-to, dal punto di vista tecnico, sono:
— il pascolamento assolve in pieno la funzione alimentare per circa 8 mesi all'anno;
— durante il periodo inver-nale l'alimentazione è tratta, ov-viamente, solo dalle scorte pro-dotte in azienda.
I ricoveri, costituiti da rudi-mentali tettoie, sono utilizzati solo nel periodo invernale.
La manodopera è ridotta al minimo: infatti, una delle carat-teristiche più interessanti di
que-sto tipo di allevamento è, appun-to, la capacità di autogoverno degli animali al pascolo; per cui l'intervento dell'uomo si riduce al controllo degli spostamenti della mandria nel periodo estivo e alla foraggiata nel periodo in-vernale.
Per il parto, in generale, non occorre alcun aiuto, anche nella stagione fredda; in qualche caso le nascite avvengono su terreno innevato. Il peso dei neonati oscilla attorno ai 30 kg e la ca-pacità di accrescimento, legata alla produzione lattifera della ri-spettiva madre, è buona: nei pri-mi 6 - 7 mesi di vita sono stati registrati accrescimenti medi mensili di circa 25 kg, per cui alla fine di tale periodo i vitelli raggiunsero il peso di 200 kg.
Tra i 200 e i 4 0 0 / 4 3 0 kg — peso al quale i soggetti si pos-sono considerare maturi per la macellazione — si sono ottenu-ti incremenottenu-ti di peso tra i 7 0 0 / 800 e i 1 2 0 0 / 1 3 0 0 grammi
gior-VitellonQ Aberdeen Angus-Charollais pronto per la macellazione.
Tfialieri, a seconda del regime ali-mentare adottato: questo, infat-ti, per un gruppo di vitelli era basato sull'impiego di foraggio aziendale, completato da mode-ste quantità di farine di mais e di orzo; per l'altro gruppo in osservazione era previsto, inve-ce, l'impiego progressivamente crescente di miscele di mangimi composti integrati, formulate in modo da soddisfare le esigenze di questi soggetti, ai quali i fo-raggi d'azienda vennero sommi-nistrati in dosi pressoché dimez-zate rispetto ai primi.
I risultati circa le rese di ma-cellazione sono pure da ritenersi soddisfacenti: infatti, dalle pri-me prove è epri-mersa una resa in carcassa oscillante attorno al
60%.
Sebbene i dati raccolti non siano ancora sufficienti per for-mulare considerazioni di carat-tere completo e definitivo, cre-diamo che questo tipo di alleva-mento — caratterizzato dall'im-piego di razze particolarmente rustiche, da limitati investimenti di capitali fissi, da un minimo in-tervento di manodopera e da più brevi cicli di produzione nei sog-getti a regime integrato — pos-sa contribuire a risolvere valida-mente i problemi legati alla eco-nomica utilizzazione delle risor-se naturali là dove oggi non esi-tono condizioni favorevoli per forme di sfruttamento tradizio-nali.
Per concludere il discorso sul-le aree marginali — facendo ri-ferimento a quelle di più diffi-cile recupero, anche in conside-razione della necessità di dare maggior spazio alle cosiddette « carni alternative » — è neces-sario insistere sul contributo che può derivare dall'allevamento ovino. L'interesse e la
convenien-za derivanti da tale attività zoo-tecnica sono connessi innanzi tutto al costo inferiore dell'U.F.; questi animali, infatti, si alimen-tano per un lungo periodo, nel-l'arco dell'anno, con il pascolo di aree non altrimenti sfruttabili dalla specie bovina, o addirittu-ra già utilizzate da questa spe-cie. Inoltre, assai modesti sono i
capitali di esercizio necessari, cui si contrappongono più ravvicina-te occasioni di vendita.
Il successo di questo alleva-mento è anch'esso legato alle scelte di indirizzi produttivi: scelte condizionate dalle possibi-lità tipiche dell'ambiente nel quale si opera; comunque, le considerazioni relative
all'alleva-mento ovino, oltre a valutazioni strettamente economiche, non do-vrebbero trascurare i contributi che esso è in grado di fornire per risolvere il problema della conservazione, sia naturale che sociale, dei territori collinari e montani poco o punto utilizzati, ed in via di crescente e preoccu-pante depauperamento ecologico.