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Antropologia applicata e salute pubblica: critiche etnografiche e biopolitiche

Emerso da movimenti popolari di promozione della salute e teorizzato da Ashton e

Seymour nel 1988, l’approccio incentrato sulla salute pubblica1 è un campo eterogeneo e

interdisciplinare che comprende elementi che spaziano dal biologico al politico, quali la modernità, le forme di governo e di pensiero politico neoliberale, la preoccupazione per i fattori che minacciano la salute e i concetti di auto-controllo, auto-regolazione e responsabilità per il proprio stile di vita. In questo modello, gli stati di salute e malattia sono analizzati a partire dalle interrelazioni tra fattori ambientali e scelte personali e l’attenzione slitta dalla “natura” dell’individuo – le sue caratteristiche di tipo genetico, biologico o psicologico – a fattori causali che risiedono, primariamente, nelle abitudini e nel contesto sociale. L’approccio incentrato sulla salute pubblica si fa quindi promotore di un discorso che non si limita al piano medico-scientifico della questione, ma diventa vettore di un messaggio di tipo morale, sul modo giusto di vivere e di comportarsi per condurre una vita sana. L’obiettivo principale del movimento non è quindi accrescere le conoscenze sulle singole malattie, ma modificare i comportamenti malsani degli individui, le azioni che favoriscono i contagi, e le abitudini che penalizzano il raggiungimento di un pieno stato di salute individuale. La ricerca si accompagna quindi a campagne di promozione, prevenzione ed educazione alla salute.

I ricercatori impegnati nel campo dell’alcol e delle droghe cominciano a contribuire alla letteratura sulla salute pubblica dalla fine degli anni Settanta, attraverso il loro coinvolgimento in indagini di tipo epidemiologico sulla diffusione delle sostanze d’abuso e sulla propagazione del virus dell’HIV. Il contributo degli antropologi al settore concerne la ricerca qualitativa finalizzata a esplorare la dimensione locale del consumo. Data la valorizzazione di uno stile di vita sano, questo approccio considera indiscriminatamente

                                                                                                                1 Hunt e Barker 2001, p. 176-177.

l’alcol e soprattutto le droghe illegali come sostanze intrinsecamente dannose che, a meno di non essere rigorosamente controllate da politiche sociali illuminate, generano problemi e comportano costi sociali e materiali agli individui e alla società intesa come totalità1.

Data questa concezione delle sostanze, il fine della ricerca è ridurre le conseguenze dannose che derivano da uso e abuso, attraverso la comprensione dei meccanismi fisiologici e psicologici che rendono schiavi gli individui, l’analisi delle condizioni ambientali che spingono le persone all’uso continuativo di sostanze, il miglioramento dei servizi e dei trattamenti, la pianificazione di nuove strategie di prevenzione e l’ideazione di nuove politiche di controllo sociale che scoraggino gli individui dediti ai consumi di sostanze stupefacenti. Siamo esattamente agli antipodi rispetto al modello socio-culturale, che esplorava le funzioni positive che alcune sostanze possono assolvere entro contesti locali particolari, senza ridurre l’esoticità di questi mondi ai valori dominanti della nostra società.

Entro il paradigma della salute pubblica, anche le pratiche etnografiche assumono una piega educativa, volta a insegnare e promuovere il modo sicuro di agire in situazioni di alto rischio. Nell’approccio incentrato sulla salute pubblica, «gli etnografi diventano dei difensori

della salute che incorporano e trasmettono nuove norme sociali»2, trasferendo agli individui la

responsabilità nella produzione della loro stessa malattia, attraverso le scelte che compiono e le abitudini che adottano. Ponendo un’enfasi eccessiva sull’individuo e sulle sue scelte di vita, il paradigma della salute si fa inconsapevole promotore dell’ideologia politica neoliberale. In tal senso, l’approccio incentrato sulla salute pubblica, pur facendosi promotore di pratiche di riduzione del danno, è in realtà in conflitto con la filosofia che queste pratiche sottendono, se concepiamo con Singer la riduzione del danno come

un orientamento che sostiene che le pratiche di salute dovrebbero essere promosse senza condannare il comportamento delle persone o alterare radicalmente le loro vite. Nel caso dell’iniezione di droga, ciò significa assistere coloro che si iniettano sostanze per evitare che si infettino con agenti patogeni trasmessi attraverso le siringe, senza insistere affinché smettano di utilizzare le droghe come parte dell’intervento di salute pubblica3.

Come scrivono Campbell e Shaw, la storia della drug ethnography mostra come un discorso critico, via via che viene inglobato nelle politiche statali e in interventi orientati alla                                                                                                                

1 Hunt e Barker 2001, p. 176. 2 Campbell e Shaw 2008, p. 698. 3 Singer 2001, p. 201.

salute pubblica, «possa essere assorbito dallo stato e rimodellato in un regime di sorveglianza

governativo»1.

Studiando il rapporto tra le pratiche in uso tra i tossicodipendenti e la propagazione del virus dell’HIV, Bourgois et al. muovono all’approccio incentrato sulla salute pubblica due

critiche tra loro intrecciate2. La prima è di natura metodologica e riguarda l’uso, da parte degli

enti di salute pubblica, di un’etnografia dimezzata, che non si dilunga in osservazioni partecipate approfondite, ma si districa tra cifre e sondaggi, questionari a crocette, interviste disimpegnate, ritrovandosi asservita e inglobata in progetti di ricerca di tipo epidemiologico e quantitativo.

L’analisi quantitativa predomina nella substance abuse research; non vi è stato praticamente alcun dialogo tra ricercatori qualitativi e quantitativi. Le pratiche private delle popolazioni vulnerabili raramente sono state documentate con rigore entro contesti indigeni naturali e mediante l’osservazione partecipante. Sebbene dozzine di studi qualitativi epidemiologici, basati su sondaggi, incorporino componenti etnografiche, nessuna delle maggiori iniziative di ricerca raccoglie sistematicamente dati tratti dall’osservazione partecipante. La versione antropologica dell’etnografia fondata sull’osservazione partecipante, richiedendo immersioni organiche e sul lungo periodo, non è contemplata dalle pubblicazioni incentrate sulla salute pubblica. Anche le versioni compromesse dell’etnografia ridotta alle interviste qualitative sono invariabilmente subordinate all’obiettivo primario di raccogliere dati statistici entro strutture a campionamento probabilistico3.

L’impiego dell’etnografia entro progetti di salute pubblica, oltre a essere marginale, è stato quindi sempre subordinato agli standard di scientificità imposti dai metodi quantitativi ed epidemiologici.

La seconda critica è di ispirazione biopolitica. Attraverso la diffusione di slogan come “non utilizzate siringe usate” o “disinfettale con la candeggina”, l’approccio incentrato sulla salute pubblica combina alla ricerca un’azione volta ad educare gli individui affinché adottino pratiche sicure, riducendo il comportamento individuale a motivi di scelta personale; così facendo, si mistificano il contesto sociale che condiziona l’adozione di pratiche ad alto rischio di contagio.

L’instaurarsi di pratiche pericolose, secondo la prospettiva biopolitica, non dipende tanto dalla scelta personale degli individui, quanto da vincoli strutturali che riguardano sia la                                                                                                                

1 Campbell e Shaw 2008, p. 691. 2 Cfr. Bourgois et al. 1997.

dimensione della micro-economia sotterranea che regola la convivenza dei tossici di strada secondo norme solidali e gerarchie sociali imprescindibili, sia la dimensione dei processi macro-sociali, che riguardano l’iniqua distribuzione delle risorse, le forme di controllo sociale, le politiche sanzionatorie e la condanna morale di certe forme di piacere. Un esempio, a livello macro-sociale, del modo in cui la politica può influenzare la traiettoria epidemiologica dell’HIV riguarda il reato di essere trovati dalla polizia con una siringa addosso, evenienza che porta i tossici a gettare via la propria siringa dopo ogni uso e a cercarne freneticamente un’altra all’occorrenza, spesso accontentandosi di aghi già utilizzati,

magari appena buttati via da un altro tossicodipendente1. Un secondo esempio, di natura

economica, è dato dai prezzi alti della droga, che obbligano i consumatori a comprarne una quota in comune e a cucinarla assieme, per dividerla una volta disciolta nell’acqua, con un

alto rischio di contagio2. Un esempio micro-sociale riguarda invece la relazione che sussiste

tra l’esposizione al rischio e la posizione occupata nella gerarchia dei tossicomani, dal momento che la successione con cui avviene il passaggio della siringa, o l’assunzione della dose messa in comune, ripercorre la scala sociale, e sono i più disperati ad accedere per ultimi o a ricorrere con una certa frequenza a pratiche particolarmente rischiose, come i cotton shot; ma riguarda anche la solidarietà con cui i membri della rete condividono le dosi con coloro

che ne hanno bisogno, rispettando una complessa economia basata sul dono reciproco3. Il

cotton shot consiste nel procurarsi una dose strizzando i batuffoli di cotone (o a volte i filtri di

sigarette) zuppi di sangue ed eroina usati in una sessione di iniezioni per filtrare la sostanza:

non tutti i membri effettuano cotton shot ad alto rischio con la stessa frequenza. Solo i membri con poco prestigio e privi di successo economico elemosinano i cotton shot con regolarità. I membri che attuano strategie di successo per accaparrarsi dei profitti affermano di non aver mai “strizzato il cotone” e spesso umiliano quelli che sono ridotti a “farsi il cotone” regolarmente4.

Come scrivono gli autori, in relazione al campo etnografico pluridecennale presso una comunità di eroinomani senzatetto che ha occupato un parco pubblico nella periferia di San Francisco:                                                                                                                 1 Cfr. Bourgois et al. 1997, p. 167. 2 Bourgois et al. 1997, p. 159. 3 Bourgois et al. 1997, p. 159. 4 Bourgois et al. 1997, p. 162.

le pericolose pratiche di condivisione delle siringhe sono parte integrante delle micro-strategie che i tossici di strada adottano per evitare di diventare dope sick, per minimizzare il rischio di essere arrestati e per costruire una rete sociale sostenibile […] le micro-determinanti delle pratiche quotidiane ad alto rischio non sono auto-sussistenti. Riflettono una complessa panoplia di macro-dinamiche di potere. Le politiche delle siringhe illegali e la precarietà delle strategie di produzione di introiti nell’economia sotterranea influenzano l’adozione quotidiana di pratiche ad alto rischio1.

Queste relazioni sociali che stanno alla base dell’adozione di pratiche non sicure non emergono nelle correlazioni epidemiologiche, né nelle ricerche etnografiche di superficie, per cui l’approccio incentrato sulla salute pubblica può imputare queste pratiche solo alla scelta consapevole degli individui.

Sulla strada, i messaggi sociali convenzionali della salute pubblica del tipo “lavalo con la candeggina” o “non condividere mai acqua, cooker2, aghi o cotone” sono un insulto per i tossicodipendenti che, se non condividono l’attrezzatura secondaria molte volte al giorno, non possono mantenere la loro identità da dope fiend3 e “stare bene” (fisicamente ed emotivamente). Questi messaggi sociali ipersanitari esemplificano il modo in cui l’istituzione medica umilia i tossici di strada promuovendo slogan irrealistici carichi di violenza simbolica, che relegano i tossici di strada alla categoria di “altri auto-distruttivi”4.

Adottando un atteggiamento che, anche se animato dalle migliori intenzioni, finisce per perpetuare le stigmatizzazioni dei tossicodipendenti, l’approccio incentrato sulla salute pubblica rischia di farsi veicolo di un altro tipo di violenza che passa per lo più inosservata e che Bourgois analizza in un trittico della violenza – strutturale, simbolica e normalizzata.

                                                                                                                1 Bourgois et al. 1997, p. 160.

2 Il coocker é l’oggetto usato per disciogliere l’eroina nell’acqua: può essere un cucchiaio, il fondo di un barattolo di latta, la cima di una bottiglia di metallo.

3 Espressione gergale statunitense usata per indicare i tossicomani, che letteralmente potrebbe essere resa con “invasato dalla sostanza”.

4 Bourgois et al. 1997, p. 160: «Imponendo alle scienze del comportamento di imitare il paradigma delle scienze naturali, i protocolli epidemiologici spesso cancellano le relazioni di potere e offuscano i parametri più significativi dei processi sociali. Gli interrogativi che si pone la ricerca si focalizzano attorno a variabili discrete che sono alla meglio tecnocratiche e alla peggio completamente arbitrarie. Nonostante l’ideologia della neutralità scientifica, queste tecniche analitiche reinforzano il focus sugli individui e sulla patologia. Ciò si esprime più concretamente nel mandato della salute pubblica applicata di “cambiare il comportamento degli individui».