Magistratura
– Marciamo rapidamente verso l’integrazione europea. Il processo è molto più rapido di quanto si potesse immaginare. Ci stiamo anche rendendo conto che “integrazione europea” non significa soltanto integrazione monetaria e nel mondo degli affari, ma significa anche integrazione a livello giuridico, perché si tratta di processi tra loro strettamente collegati e interdipendenti.
L’integrazione, poi, passa attraverso alcune scelte di fondo neces-sarie e che ancora non sono state compiute. Gli Stati dovranno darsi una Carta fondamentale comune, eventualmente partendo da quella sottoscritta a Nizza il 7 dicembre 2000. Bisognerà, poi, procedere ad una non facile opera di omologazione dei diritti sostanziali dei singo-li Stati, che non significa unificazione del diritto – operazione forse impossibile e neppure auspicabile –, ma condivisione di un nucleo di principi o di dati fondanti che siano a base delle singole discipline e dei singoli istituti. Sarà, inoltre, necessario uniformare nella misura maggiore possibile le procedure e, soprattutto, creare una cultura giu-ridica comune, che è il presupposto indispensabile perché questo enorme sforzo di omologazione possa essere tradotto in una corretta azione concreta.
Tutto passa, insomma, per la formazione del giurista europeo. Il C.S.M. si sta occupando, nei limiti delle sue competenze, della forma-zione del giudice europeo, ma, approfittando della presenza di profes-sori universitari, avvocati e notai, colgo l’occasione per esortarli a porre sul tappeto il problema di una formazione giuridica di base che sia una formazione culturale europea.
In questo contesto si inserisce l’iniziativa, che ci è stata suggerita dal Ministero della giustizia, di organizzare una giornata di studi sul proget-to concernente il tiproget-tolo esecutivo europeo e sulle problematiche di coor-dinamento con la normativa processuale civile interna e con il diritto processuale civile internazionale, con la partecipazione non solo di magi-strati e di studiosi delle discipline interessate, ma anche di avvocati, di notai e di rappresentanti dei Ministeri che si occupano del problema.
– Non resisto alla tentazione di aprire la discussione con talune considerazioni tecniche che sono inevitabilmente superficiali in quan-to frutquan-to di una lettura affrettata e incompleta del progetquan-to.
Comincio da un aspetto che mi sta particolarmente a cuore: quel-lo del linguaggio. Parquel-lo con l’abituale franchezza anche a costo di esse-re sgarbato con chi è qui pesse-resente e che, forse, ha concorso alla stesu-ra del testo. Il problema non riguarda soltanto questo documento; è un problema più generale che riguarda tutti i testi normativi dell’UE, i quali sono redatti in un linguaggio burocratico, quale si ritrova, di solito, nelle nostre circolari ministeriali. E’ in uso una sorta di “buro-cratese”, che traduce per iscritto la maniera di pensare e una “forma mentis” che sono molto lontane dalla nostra cultura. Vengono fuori formulazioni sovrabbondanti, spesso lacunose nei punti essenziali e minuziose nei dettagli e tali da non lasciare comprendere quale è la regola-base e quale è la disciplina attuativa; peggio ancora, tale da indurre a pensare che la disciplina di dettaglio sovrapponendosi alla regola-base finisca con il condizionarla.
Cerco di spiegarmi con riferimento ai soli titoli giudiziali, non avendo avuto modo di valutare la disciplina dei titoli stragiudiziali. Se lo scopo della disciplina è quello di rendere del tutto agevole la circo-lazione dei titoli esecutivi formatisi in uno Stato negli altri Stati del-l’Unione, il primo punto da stabilire è se si deve trattare di decisioni giudiziarie non più impugnabili o se si possa dare libera circolazione anche a decisioni che nei singoli Stati sono ancora “provvisoriamente esecutive”. La scelta del progetto è prudente e non voglio discuterla.
Si tratta di una scelta coerente con le disposizioni che escludono rimedi contro il provvedimento che forma il titolo esecutivo europeo (art. 8) e che riducono la possibilità di rimedi oppositivi nel processo esecutivo iniziato in base a tale titolo (art. 19, comma 2°). Ma se que-sta è la scelta, non è facile comprendere perché il titolo in questione debba avere per oggetto crediti non contestati, potendo essere suffi-ciente che si tratti di crediti oggetto di una decisione non più impu-gnabile (qualunque sia stata la ragione per la quale la decisione è stata emessa).
In questo modo, ho tuttavia superato un altro rilievo che ho fatto istintivamente leggendo l’art. 3. A una prima affrettata lettura avevo avuto l’impressione che ci fosse un’antinomia tra l’art. 3, secondo il quale per ottenere il titolo esecutivo europeo è necessario essere in possesso di una sentenza esecutiva, e il precedente art. 2 e soprattutto il successivo art. 4 che invece parlano di sentenza passata in giudica-to. Il coordinamento delle varie disposizioni e una lettura del testo in lingua inglese consentono di risolvere l’antinomia nel senso che pre-supposto per ottenere il rilascio del nostro titolo è una qualsiasi deci-sione di condanna, normalmente emessa in un processo a
contraddit-torio pieno, contro la quale nel paese di origine non siano più eserci-tabili rimedi impugnatori.
Se così è, appare evidente che – come ho anticipato – non ha senso parlare sull’art. 2 di non contestazione e dei requisiti della non conte-stazione, così come finisce con l’essere fuorviante elencare nel 2°
comma, lett. a) la transazione approvata (?) dal giudice o nella lettera b) l’espressa accettazione di un atto redatto secondo le forme prescrit-te e registrato come auprescrit-tentico. Sono, quesprescrit-te ultime due, ipoprescrit-tesi che si collegano evidentemente ai titoli esecutivi stragiudiziali.
– Va notato, benché il rilievo finisca con l’essere assorbito dalla mia pregiudiziale osservazione, che noi italiani dobbiamo porci il pro-blema della compatibilità con il nostro ordinamento degli artt. 2 e 10 che danno valore di ammissione alla contumacia. Delle due l’una: o non possiamo accettare il regolamento ovvero dobbiamo uniformarci alla disciplina europea e ammettere che il giudice possa condannare la parte per la sola circostanza che è rimasta contumace.
Aggiungo che l’art. 11 prevede una disciplina della notificazione non totalmente sovrapponibile alla nostra per cui bisogna anche qui fare un attento controllo di conformità tra le due discipline, dovendo a mio avviso renderle uniformi.
Ho letto più volte gli artt. 12 e 13; non li riesco a coordinare com-pletamente e mi sembra che soffrano di quel “burocratese giudiziario”
di cui vi ho parlato all’inizio.
Infine sul piano sostanziale, l’art. 2 mi pone un po’ di dubbi. Il primo: se noi parliamo di crediti pecuniari, che senso ha parlare di proprietà, come leggo nell’art. 2? Il secondo: per quanto riguarda le procedure concorsuali, a me sembra che il problema non è tanto quel-lo di un titoquel-lo esecutivo non rilasciabile se sono in corso delle proce-dure concorsuali, quanto il fatto che il titolo esecutivo europeo non è spendibile nel paese nel quale è in corso una procedura concorsuale.
La differenza non è di poco conto, se si pensa all’ipotesi in cui venga emesso un titolo esecutivo europeo e successivamente in uno degli Stati membri sopravvenga una procedura concorsuale: questo titolo esecutivo è spendibile o non è spendibile? Appare, se si pensa a questa ipotesi, che il problema appunto non è quello della rilasciabilità del titolo, ma quello della sua utilizzabilità nei paesi in cui è in corso una procedura esecutiva concorsuale che dovrebbe avere carattere per così dire assorbente.
Infine, e qui è un problema di uniformità tra la disciplina europea e la disciplina italiana, si esclude “tout court” la possibilità di rilascio di un titolo esecutivo europeo nel caso di arbitrati. La formulazione
della norma è del tutto generale. Si parla di arbitrato. Non si tiene conto del fatto che nel nostro sistema il lodo rituale ormai ha un’effi-cacia che è equiparata al giudicato, per cui, forse, sarebbe il caso in questo settore di far presente in sede europea la particolarità della nostra disciplina.