Prof. Giuseppe TARZIA, professore ordinario di diritto processuale civile presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano
1. Mi pare necessario considerare la proposta di Regolamento 12 settembre 2001 almeno sotto un triplice angolo visuale:
1) il suo inserimento nel dibattito formatosi sulle precedenti pro-poste relative all’introduzione di un Titolo Esecutivo Europeo (usual-mente abbreviato in TEE);
2) la collocazione del Regolamento proposto nel sistema delle fonti e particolarmente il suo rapporto col Regolamento n. 44/2001, sostitutivo della Convenzione di Bruxelles I, con la Convenzione stes-sa e con la Direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali;
3) l’interpretazione dei presupposti del TEE e la congruità “inter-na” della normativa proposta.
Nei limiti nei quali il nuovo strumento possa essere approvato, sia pure con i necessari emendamenti, mi sembra invece prematuro chiedersi quali saranno le sue “ricadute” sull’ordinamento italiano:
anche se è evidente che un legislatore, sollecito di agevolare la con-versione dei suoi provvedimenti in T.E.E., non potrà non introdurre nell’ordinamento nazionale le modifiche richieste per fruire di questo regime, come suggerito, in particolare, dalle “norme minime” (capo III, art. 10 ss.).
2. Vorrei ricordare che l’istituto, il cui nome è ripreso nella propo-sta di Regolamento, trova la sua origine in una iniziativa “privata”, o meglio corporativa, per un nuovo strumento di tutela: quello, appun-to, di un titolo esecutivo europeo elaborato dall’Union Internationale des Huissiers de Justice e discusso prima, nelle sue linee generali, in un Colloquio a Parigi del giugno 1993 su Les professionels du droit au sein du nouvel espace judiciaire européen (1) e poi ripreso in Convegni
pro-(1) Ricordo, per l’Italia, la relazione di Capponi, Una prospettiva di armonizzazio-ne: il titolo esecutivo europeo, in Documenti giustizia 1993, p. 1389 ss.
mossi sempre dall’Union, con la partecipazione di delegati del Gover-no italiaGover-no, il 20 ottobre 1995 e il 15 e il 16 ottobre 1998 (2).
E’ inutile tuttavia soffermarsi sulle dispute che questi documenti hanno suscitato e sull’alternativa, tuttora non sciolta, tra la proposta di una “procedura stragiudiziale”, iniziata con la messa in mora da parte dell’Ufficiale giudiziario e seguita dalla procedura giudiziaria solo in caso di contestazione del debitore, e quella di far capo al modello della tutela monitoria: ancor qui con due versioni, proponen-dosi da una parte (come anche nel “progetto Storme”) di introdurre una procedura di ingiunzione europea uniforme e dall’altra di armo-nizzare le procedure di ingiunzione di pagamento esistenti attraverso una Direttiva che ne stabilisca soltanto alcune basi comuni.
3. La proposta di regolamento che siamo chiamati ad esaminare si è mossa in un’altra direzione: quella, cioè, di un trattamento preferen-ziale – sul piano dell’esecutività in Europa – dei provvedimenti relativi ai crediti non contestati. Si può dire che essa trovi la sua origine in un seminario, organizzato dal Ministero della Giustizia francese e svolto-si a Parigi nel luglio 2000 (3) (all’inizio della presvolto-sidenza francese del-l’Unione): nel quale si discusse, tra l’altro, se una nuova procedura, sot-tratta all’exequatur, dovesse essere introdotta anche per i crediti non contestati o, secondo altra versione, incontestabili o ancora che non sono seriamente contestabili (termini, evidentemente, non sinonimi).
Il “progetto di programma di misure relative all’attuazione del prin-cipio del riconoscimento reciproco delle decisioni in materia civile e commerciale”, approvato a Nizza il 20 novembre 2000 e pubblicato nella G.U.C.E. del 15 gennaio 2001, ritenendo di dovere, prudente-mente, procedere per gradi, ha stabilito che “la soppressione dell’exe-quatur per i crediti non contestati deve figurare tra le priorità della Comunità”, rinviando agli strumenti di applicazione la definizione del
“contenuto del concetto di crediti non contestati”, ma osservando che
“attualmente tale concetto abbraccia in generale le situazioni in cui un creditore, tenuto conto della mancanza accertata di contestazione da parte del debitore in ordine alla natura o alla portata del debito, ha otte-nuto un titolo esecutivo contro tale debitore”.
(2) Dal titolo, quest’ultimo, L’Europe judiciaire: Quelle procédure accélérée de recou-vrement des créances pour favoriser une efficacité accrue des mesures d’exécution?. Gli atti di questo convegno, come di quello del 1995, sono, salvo errore, inediti.
(3) Gli Atti di tale seminario, introdotto da una relazione del Prof. Jacques Nor-mand e chiuso da una relazione di sintesi di chi scrive, risultano tuttora inediti.
Si è aggiunto che “il fatto che una procedura d’exequatur possa ritardare l’esecuzione di decisioni relative a crediti non contestati è di per sé contraddittorio. E’ del tutto giustificato pertanto che questa materia sia una delle prime in cui si preveda di sopprimere la procedura di exe-quatur. La rapida riscossione dei crediti è una necessità assoluta per il commercio e rappresenta una preoccupazione costante dei settori eco-nomici interessati al buon funzionamento del mercato interno”.
4. La proposta di Regolamento costituisce attuazione di questo punto del programma.
Essa segna dunque una prima realizzazione della soppressione dell’exequatur, attuata, in modo originale, mediante una autonoma
“conversione” di una serie di provvedimenti, fondati sulla “non conte-stazione” del credito, in TEE (v. art. 2, “definizioni”, art. 3, “soppres-sione dell’exequatur”, art. 4, “condizioni”, art. 6, “contenuto del TEE”).
Meritevoli di particolare attenzione mi paiono le nozioni comuni-tarie autonome di “sentenza”, di credito “non contestato”, di sentenza
“passata in giudicato”.
a) Quanto al primo punto, si può osservare che la nozione corri-sponde sostanzialmente a quelle che troviamo nella C.B. (art. 25) nel Reg. 44/2001 (art. 32) e nella Direttiva 35/2000 (art. 5). Non è apprez-zabile però l’uso di una espressione diversa (“sentenza” anziché
“decisione”) (art. 2 punto 1) che esclude di conseguenza dalla esem-plificazione proprio quel provvedimento che prende il nome di “sen-tenza” nell’ordinamento interno: che pure può essere emesso, alme-no in alcuni ordinamenti, sulla base del ricoalme-noscimento della doman-da (cfr. § 313 ZPO tedesca) o sull’accordo delle parti (judgement by consent).
Qui si impone peraltro un primo rilievo, che formulo a titolo esemplificativo, giacché potrebbe essere ripetuto numerose altre volte:
e cioè quello della deprecabile divergenza tra il testo italiano e – a seconda dei casi – quelli inglese e francese. Ed infatti nel testo inglese, si parla sì di judgement, ma nell’esemplificazione, tra l’altro, di deci-sion, in luogo della nostra ordinanza. Nel testo francese, al contrario, si riprende la nozione comunitaria di décision, e tra gli esempi si ritro-vano arrêt, jugement, ordonnance.
L’armonizzazione dei testi, sotto il profilo dell’impiego di termini corrispondenti nelle varie lingue dell’Unione (sia per la nozione comu-ne che per il richiamo alle denominazioni intercomu-ne) costituisce, a mio parere, il primo compito che la Commissione deve affrontare.
Ricordata l’ampia nozione di decisum, fornita dagli artt. 32 e 38
del Regolamento 44/2001 (4) occorre confrontare la nozione che risul-ta dai testi regolamenrisul-tari e dalla proposrisul-ta de qua con quella darisul-ta dal-l’art. 2.5 della Direttiva 2000/35/CE, che definisce ivi come “titolo ese-cutivo” “ogni decisione, sentenza o ordine di pagamento, sia immediato che rateale, pronunciati da un tribunale o da altra autorità competente, che consenta al creditore di ottenere, mediante esecuzione forzata, il sod-disfacimento della propria pretesa nei confronti del debitore” e precisa che “esso comprende le decisioni, le sentenze o ordini di pagamento provvisori che restano esecutivi anche se il debitore abbia proposto impugnazione”.
Mi sembra che questa definizione più minuziosa si spieghi in rela-zione al fine della Direttiva, indicato all’art. 5, di assicurare la forma-zione rapida di un titolo esecutivo per il “recupero di crediti non con-testati”. Sarebbe tuttavia opportuno impiegare nel nuovo Regolamen-to una definizione corrispondente con quella data dall’art. 32 del Regolamento 44/2001, con la menzione esplicita dell’ingiunzione di pagamento e con l’ovvia omissione della determinazione delle spese giudiziali ad opera del cancelliere, che non ha rapporti con la non-con-testazione.
b) Quanto al credito “non contestato”, ricordo, per il raccordo con la nuova proposta, quanto voluto dall’art. 5 della Direttiva e cioè “che un titolo esecutivo possa essere ottenuto, indipendentemente dall’impor-to del debidall’impor-to, di norma entro 90 giorni di calendario dalla data in cui il creditore ha presentato il ricorso o ha proposto una domanda dinanzi al giudice o altra autorità competente, ove non siano contestati il debito o gli aspetti procedurali”; tenuto conto che “il periodo di 90 giorni di calendario ... non include i periodi necessari per le notificazioni né qual-siasi ritardo imputabile al creditore, come i termini necessari per regola-rizzare il ricorso o la domanda”.
Vi è ora una ben più larga apertura alla “non contestazione”, v. art.
(4) E precisamente “a prescindere dalla denominazione usata, qualsiasi decisione emessa da un giudice di uno Stato membro, quale ad esempio decreto, sentenza, ordi-nanza o mandato di esecuzione, nonché la determinazione delle spese giudiziali da parte del cancelliere”. Su questa nozione cfr. di recente Bariatti, What are judgments under the 1968 Brussels Convention? in Riv. dir. int. priv. e proc. 2001, p. 19 ss. Le norme citate fanno riferimento quindi alla forza di titolo esecutivo data alla decisione nello Stato d’origine, disponendo che “le decisioni emesse in uno Stato membro e ivi esecutive sono eseguite in un altro Stato membro dopo essere state ivi dichiarate esecutive su istanza della parte interessata”.
2. Occorre peraltro segnalare le incertezze interpretative legate alle fattispecie dell’art. 2, n. 3, lett. b) e c): il debitore “non l’ha contestato nel corso del giudizio” appare “non è comparso o non si è fatto rappre-sentare in giudizio in un’udienza relativa a tale credito”.
Qui due vie sono, in astratto, aperte:
– considerare queste come fattispecie comunitarie autonome, indipendenti dal regime interno: così ad es. per il tempo della non-contestazione e per il tempo della comparizione, dando rilievo a que-sti comportamenti, attivi od omissivi, quale che sia il momento in cui si sono verificati;
– ovvero cogliervi un rinvio ai diritti nazionali al riguardo, ad es.
sulla non contestazione o la non opposizione all’ingiunzione di paga-mento e, laddove esista, alla sentenza contumaciale.
Non mi sembra che la proposta normativa comunitaria sia idonea a sovrapporsi a quelle nazionali, che fissano tempi e modi per la non-conte-stazione e la comparizione (o meglio, per noi, la costituzione) in giudizio.
Questo compito, d’altronde, richiederebbe una normativa ben più specifi-ca; richiederebbe, precisamente, una “costruzione” europea uniforme della struttura del processo, per stabilire come e quando possano ravvisarvisi gli eventi che permettono di considerare “non contestato” il credito.
La nozione di “credito non contestato” deve forgiarsi dunque sulla base delle norme interne, come lasciano intendere le lettere a) e d) del punto 3 dell’art. 2, riferite rispettivamente ad una “transazione appro-vata dal giudice” e alla accettazione “in un atto redatto secondo le forme prescritte”. Alla medesima conclusione conduce l’interpretazione del capo III sulle “norme minime” (art. 10 ss.), che devono rinvenirsi o introdursi nei diritti interni “per i procedimenti relativi a crediti non contestati”. Altro è fissare le condizioni alle quali il procedimento interno può dar luogo alla non-contestazione, nella prospettiva della piena tutela del diritto di difesa del debitore, altro sarebbe immagina-re che queste “norme minime”, integrate con l’art. 2, disegnino un modo o un procedimento autonomo per la formazione della “non con-testazione”, del tutto svincolato dal diritto interno.
La mancata contestazione o la mancata comparizione – secondo questa interpretazione – acquistano dunque rilevanza, sul piano del Regolamento proposto, se e nei limiti nei quali sono già ad altri fini definite e rilevanti nel diritto interno, purché il procedimento osservi le “garanzie” volute dagli artt. 11 ss.
E’ tuttavia opportuno eliminare ogni dubbio al riguardo, comple-tando i punti b) “non l’ha contestato nel corso del giudizio” e c) “non è comparso” con la precisazione “nei termini fissati dalla legge del foro”.
c) Il rinvio al diritto interno è poi inconfutabile per quanto con-cerne il “passaggio in giudicato”: nel senso che solo alla stregua di quel diritto si può stabilire se “non è possibile proporre alcuna impugnazio-ne ordinaria” contro la “sentenza” ovvero “il termiimpugnazio-ne per proporre un’impugnazione ordinaria contro di essa è scaduto e l’impugnazione ordinaria non è stata proposta” (art. 2, punto 4, a) e b). La normativa è pienamente applicabile alla nostra “ingiunzione di pagamento”, che passa in giudicato se non è proposta l’opposizione al decreto (ex art.
645 c.p.c.) e se non ha luogo la costituzione del contumace ingiunto con ordinanza (ex art. 186-ter, 5° comma, c.p.c.).
5. La valutazione della congruità interna della disciplina proposta è poi particolarmente importante, poiché la sentenza di cui discorria-mo, se esecutiva nello Stato membro, “è riconosciuta e resa esecutiva negli altri Stati membri senza che sia necessaria alcuna procedura spe-ciale nello Stato membro in cui deve avvenire l’esecuzione”, se “è stata trasformata in un T.E.E. nello Stato membro in cui è stata resa” (art. 3) e “la decisione relativa ad una richiesta di TEE non è soggetta ad alcu-na impugalcu-nazione” (art. 8). Il procedimento è esteso (art. 9) anche alla formazione del Titolo Cautelare Europeo, definito “T.E.E. per misure cautelari”: che tuttavia non autorizza una misura di contenuto deter-minato in sede europea (secondo la proposta ad es. di una “saisie con-servatoire européenne”) ma “dà diritto a porre in essere [evidentemente, senza alcuna autorizzazione del giudice dello Stato richiesto] “tutte le misure cautelari previste dalla legislazione dello Stato membro dell’ese-cuzione”, chiaramente strumentali per la tutela del credito di denaro portato dal TEE. Qui emerge la distinzione – non risolta nella propo-sta – tra misure conservative e misure anticipatorie. Più prudenti e restrittivi sembrano i testi inglese e francese: protective measures, mesures de protection. Il punto dovrebbe essere chiarito, ad evitare applicazioni discordanti del Regolamento nei vari Paesi europei.
Qualche riflessione meritano anche le condizioni per ottenere un T.E.E. fissate all’art. 4.
Mi riferisco alla riserva “se applicabile”, apposta alla condizione sub b – la conformità, cioè, del procedimento svoltosi nello Stato d’ori-gine ai “requisiti procedurali” stabiliti al Capo III – e alla condizione sub c – concernente la conformità della notificazione dei documenti all’art. 29, che stabilisce peraltro il raccordo col Reg. n. 1348/2000 e alcuni casi in cui le sentenze non possono trasformarsi in T.E.E. La riserva non è di facile comprensione, sembrando limitare – in termini non chiari – il “principio delle norme minime” ossia della necessità della
loro osservanza nel procedimento che ha messo capo alla sentenza per-ché questa possa “trasformarsi” in T.E.E. (art. 10). Occorrerebbe dire che quelle norme minime debbono applicarsi solo alla procedura ordi-naria di cognizione, nella quale si verifica la “non contestazione” e non all’ingiunzione di pagamento (se questa è stata l’intenzione dei redat-tori). Ma resta dubbia l’opportunità di questa limitazione.
Attiene invece alla competenza il richiamo (art. 4) al rispetto delle competenze in materia di assicurazioni, di quelle in materia di con-tratti conclusi da consumatori e di quelle esclusive (sezioni 3, 4 e 6, Capo II del Reg. n. 44/2001), corrispondentemente già richiamate nel-l’art. 28, 1° comma CB e nelnel-l’art. 35, 1° comma Reg. 44/2001.
Ci si può chiedere perché non si esiga – per la trasformazione della
“sentenza” in T.E.E. – anche il rispetto della competenza ordinaria (sezione 1) e delle competenze speciali (sezione 2) fissati nello stesso Cap. II del Reg. 44/2001. Ma è questa una scelta di fondo, limitativa del controllo della competenza del giudice a quo, che non potrebbe essere rovesciata in questo Regolamento senza una contemporanea modifica dell’art. 28 CB e dell’art. 35 Reg. 44/2001.
Non mi pare dia luogo a critiche la norma agevolativa (art. 5) sul titolo esecutivo europeo parziale (ricordo la esecutività parziale già pre-vista dall’art. 42 CB e dall’art. 48 Reg. 44/2001) né quella (art. 6) sul contenuto del titolo esecutivo europeo, salvo per la parte in cui ripro-duce le condizioni sopra criticamente esaminate. Ma l’art. 6 punto 3 è lacunoso, laddove non chiarisce almeno espressamente – come non lo chiarisce l’art. 4 punto 2 – se il procedimento per la conversione della sentenza in T.E.E. sia un procedimento ex parte ovvero in contraddit-torio. Sembra tuttavia che la proposta sia nel primo senso, ciò che si raccorda anche col difetto di ogni impugnazione contro la decisione (art. 8). La scelta di un procedimento inaudita altera parte, nello Stato d’origine, già chiaramente compiuta per il procedimento di exequatur nell’art. 34 CB e nell’art. 41 Reg. 44/2001, non merita di essere rimes-sa in discussione e dovrebbe essere esplicitata, come è avvenuto nei testi ora richiamati. E tuttavia qui si delinea una grave e inaccettabile lesione del contraddittorio, poiché esso è escluso anche ex post: il giu-dice dello Stato dell’esecuzione non può essere adito per contestare la sussistenza delle condizioni per il rilascio del T.E.E. (art. 19).
Si potrebbe pensare che ovvii a questa lacuna di tutela l’art. 16, sanatoria delle irregolarità procedurali: ma così non è, giacché quella norma si riferisce ai vizi del procedimento che ha messo capo alla sen-tenza convertita in T.E.E., non ai vizi del procedimento e del provve-dimento di conversione.
Si va dunque oltre quella logica di inversione del contenzioso, che dovrebbe controbilanciare l’esecutività della “sentenza” senza neces-sità di exequatur, e si crea una lacuna totale di tutela giurisdizionale che deve essere colmata, introducendo la possibilità del controllo giu-risdizionale nello Stato dell’esecuzione sulla validità del provvedimen-to di rilascio del T.E.E. (ciò che potrebbe farsi completando l’art. 19).
6. Separato e articolato discorso deve svolgersi riguardo alle norme minime per i procedimenti relativi a crediti non contestati, fissa-te al capo III (art. 10 ss.).
La congruità della normativa proposta deve essere anzitutto negata di fronte alla genericità della previsione dei “tentativi ragionevoli” di notifica personale al debitore, che condiziona il passaggio alle forme subordinate di notifica previste all’art. 11, punto 3) e più ancora di fron-te all’ampiezza delle forme di notificazione della domanda introduttiva del procedimento, che ha messo capo alla sentenza da “convertire” in TEE, ammesse da questo punto 3, spec. alle lettere c) (“deposito del documento nella cassetta delle lettere del debitore”) e d) (“deposito del documento in un ufficio postale o presso un’autorità pubblica competen-te e avviso scritto di tale deposito nella cassetta delle letcompeten-tere del debitore”).
Ma anche il rinvio (punto 1.a) alla “legislazione dello Stato in cui è avvenuta la notificazione” dovrebbe essere soppresso.
Di fronte alla deroga, che la proposta di Regolamento introduce rispetto al regime comune – ancora in vigore – della Convenzione di Bruxelles I e poi del Regolamento 44/2001, la dispensa dall’exequatur, e dunque la libera circolazione della “sentenza” come titolo esecutivo in tutto il territorio dell’Unione Europea, deve trovare il suo contrap-peso in una piena certezza della tempestiva instaurazione del con-traddittorio. Di qui l’esigenza di una notifica “a mani proprie” (o “à personne”). Le forme suppletive – se proprio le si vuole ammettere – dovrebbero dunque essere particolarmente garantistiche.
Suggerirei quindi la soppressione del punto 1.a) e dell’intero punto 3 dell’art. 11.
7. Può suscitare sconcerto, tra noi, la brevità del “termine minimo per rispondere” o, altrimenti detto, del “tempo utile per approntare la propria difesa”, concesso al debitore dall’art. 12 perché il procedimen-to possa condurre ad una sentenza “convertibile” in T.E.E.: 2 o 4 setti-mane, a seconda che il domicilio del debitore sia nello Stato di origi-ne o in uno Stato diverso. Ma occorre considerare che la brevità dei termini corrisponde sostanzialmente a quella di altri ordinamenti europei, come ad es., il francese, il tedesco, il belga (v. art. 837 n. c.p.c.
francese, per il quale “l’assignation doit être délivrée quinze jours au moins avant la date de l’audience”; § 274, Abs.3 ZPO tedesca, per il quale “tra la notifica dell’atto di citazione e l’udienza per la trattazio-ne orale deve scorrere un lasso di tempo di almeno due settimatrattazio-ne”
(Einlassungsfrist); l’art. 707 del code judiciaire belga, che fissa 8 giorni – la huitaine – per la notifica della citazione in Belgio, aumentata a 15 giorni per la notifica in un Paese limitrofo o nel Regno Unito e a 30 gg.
la notifica in un altro Paese europeo, art. 55).
Gli artt. 12 e 13 non impediscono però al legislatore nazionale di stabilire termini a difesa più lunghi, in relazione alla conformazione della fase introduttiva del procedimento, che esso ha ritenuto di stabi-lire, e in particolare alla cadenza delle preclusioni.
La fattispecie prevista dall’art. 13 (“notificazione della citazione a
La fattispecie prevista dall’art. 13 (“notificazione della citazione a