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Osservazioni sul progetto preliminare di Regolamento in tema di titolo esecutivo europeo

Avv. Ugo OPERAMOLLA, componente del Consiglio Nazionale Forense

Le osservazioni, svolte nella specifica prospettiva del difensore, manifestano le perplessità che suscitano talune parti della normativa proposta riguardo al trattamento processuale delle parti con riferi-mento alle norme fondamentali dell’ordinariferi-mento italiano.

In particolare vanno riguardate con attenzione le disposizioni del-l’art. 6.3 e deldel-l’art. 21.2, che attengono ai poteri processuali della parte per la formazione del titolo e per il successivo procedimento esecuti-vo.

L’art. 6.3 dispone che “il procedimento volto a concedere un titolo esecutivo europeo nello Stato membro d’origine non richiede la rap-presentanza legale” e l’art. 21.2 dispone che “il soggetto che richiede l’esecuzione non può essere tenuto…. ad avere un legale rappresen-tante durante il procedimento di esecuzione”.

Il lessico approssimativo della versione italiana del testo del pro-getto può suscitare incertezze sul contenuto di queste norme in ordi-ne alla facoltà di agire senza il ministero di un difensore; però le incer-tezze cadono quando si verifica l’inequivoco significato del testo in lin-gua inglese.

La prima norma è così formulata: “the court proceedings of giving a European Enforcement Order in the Member State of origin shall not require representation by a lawyer” e la seconda recita testual-mente: “the applicant for enforcement shall not… to have a legal representative in the enforcement proceedings”.

Nelle norme così formulate si legge che non solo il procedimento per il rilascio del titolo esecutivo europeo può svolgersi senza il mini-stero del difensore dell’istante, ma altresì il conseguente processo ese-cutivo potrebbe essere avviato e proseguito in assenza di difensore.

Se le norme del regolamento permanessero nell’attuale formula-zione si potrebbe verificare nell’ordinamento processuale italiano una significativa disarmonia.

Infatti nel nostro processo civile vige il principio generale che

“salvo i casi in cui la legge dispone altrimenti, davanti al Tribunale ed alla Corte di appello le parti debbono stare in giudizio col ministero di un procuratore legalmente esercente” (art. 82, III comma, cod. proc.

civ.), ed il processo esecutivo mobiliare (anche presso terzi) ed

immo-biliare si svolge davanti al Tribunale, cosicché per porre in esecuzione un titolo giudiziario o negoziale è necessaria la rappresentanza di un avvocato.

E’ vero che il procedimento previsto dal regolamento potrebbe rientrare nelle eccezioni previste dalla legge, tuttavia deve rilevarsi che, mentre l’eccezione potrebbe essere giustificata per il procedi-mento di rilascio del titolo esecutivo europeo, stante la sua peculiarità e la sostanziale semplicità, uguale conclusione non può trarsi per il procedimento di esecuzione forzata.

In tal caso si potrebbe delineare una disparità di trattamento per i portatori di un titolo esecutivo diverso da quello in questione.

Infatti i portatori di un titolo esecutivo costituito da un provvedi-mento giudiziario italiano, ovvero da un atto pubblico idoneo, hanno necessità di munirsi di un procuratore legalmente esercente (avvoca-to) per poter mettere in esecuzione il titolo; uguale necessità hanno i portatori di una sentenza, di un provvedimento o di un atto straniero riconosciuti in Italia in base alla legge 218/95. Se la lettura delle norme del Regolamento è quella innanzi offerta, tale necessità non sussiste-rebbe per l’esecuzione forzata, in tutte le forme, del titolo esecutivo europeo.

E’ evidente l’anomalia della situazione che si determinerebbe e che non potrebbe essere giustificata dal solo carattere di esecuzione forzata di un credito non contestato. Per altro verso il formalismo e la complessità del processo esecutivo italiano rende inopportuno il rico-noscimento alla parte della capacità di stare in giudizio personalmen-te. Bisognerebbe poi conciliare l’esercizio di tale potere con la legitti-mazione a provocare i plurimi procedimenti connessi: opposizione all’esecuzione, opposizione agli atti esecutivi, controversie sulla distri-buzione, contestazioni sul rendiconto dell’amministrazione giudizia-ria; la natura e la disciplina di essi è difficilmente compatibile con la capacità di stare in giudizio personalmente.

Conseguentemente risulta necessario riservare al legislatore nazionale la disciplina della capacità di stare in giudizio per l’esecu-zione del titolo.

Va anche riguardato con attenzione il disposto dell’art. 19.2 nella versione italiana così formulato: “in nessun caso è possibile il riesame del merito del titolo esecutivo europeo o della sentenza su cui si fonda nello stato dell’esecuzione” e che nel testo inglese si legge “under no circumstances may the European Enforcement Order or the underlying Judgment be reviewed as their substance in the Member State of enforcement”.

Il testo italiano può lasciare spazio interpretativo alla tesi che sia preclusa ogni valutazione sia di merito che di rito sul titolo munito di esecutività europea, mentre il testo inglese indica con precisione che il titolo esecutivo o la sottostante decisione non possono essere riesa-minati relativamente agli aspetti sostanziali, lasciando aperto il con-trollo sul procedimento di rilascio.

Secondo tale lettura il giudice dello Stato in cui si attua l’esecu-zione forzata potrebbe verificare la ritualità del procedimento di rila-scio del titolo esecutivo europeo, traendo le dovute conseguenze sul piano della regolarità formale.

Poiché “la decisione relativa ad una richiesta di titolo esecutivo europeo non è soggetta ad alcun mezzo di impugnazione” (art. 8), è necessario consentire al giudice dell’esecuzione il controllo della rego-larità formale del titolo sulla base delle norme dello stesso Regola-mento, legge uniforme e dello Stato in cui si è formato il titolo e dello Stato in cui si procede esecutivamente.

Intervento del dott. Catello D’AURIA, notaio in Napoli

D’AURIA: Ho esperienza in materia esecutiva, perché mi occupo specificamente anche di esecuzioni immobiliari.

Il mio intervento, ovviamente, è riferito alla attività del Notaio nel-l’ambito di questo progetto.

Ho due osservazioni da fare con riferimento all’art. 24, la norma che riguarda anche i Notai. In particolare il comma 4, lettera b), che prevede la firma di quella famosa clausola da parte del debitore per poter dare accesso al creditore alla utilizzazione del titolo nella forma europea.

Mi sembra che questa norma ignori completamente il profondo dibattito che si è sviluppato in materia di clausole vessatorie, sia in relazione alle “condizioni generali di contratto” che in relazione ai

“contratti del consumatore”, allorché tali contratti siano stipulati per atto pubblico.

Orbene, con riferimento a tali problematiche, dopo varie oscilla-zioni giurisprudenziali, sembra ormai abbastanza acquisita questa conclusione: gli artt. 1341 e 1342 del codice civile, che richiedono, ai fini dell’efficacia di tali clausole, la necessità di un’apposita approva-zione per iscritto del cosiddetto “contraente debole”, non trovano applicazione quando il contratto è ricevuto da Notaio, in quanto sarebbe approvata specificamente e voluta non soltanto la cosiddetta

“clausola vessatoria” ma l’intero contenuto contrattuale.

Similmente ha avuto una sua soluzione l’analogo problema in tema di “contratti del consumatore”.

E ciò nel senso che se la clausola vessatoria è ai sensi dell’art. 1469 bis e seguenti del codice civile, a nulla varrebbe una espressa appro-vazione per iscritto e un’apposita sottoscrizione, perché le nuove norme introdotte recependo la legislazione comunitaria, non danno alcun valore al dato puramente formale della sottoscrizione, ma uni-camente al dato sostanziale. Ciò nel senso che la clausola vessatoria resta tale anche se accettata e sottoscritta, essendo necessario qualco-sa di diverso per renderlo immune, e cioè che esqualco-sa sia il frutto di una trattativa individuale (vera, provata e non solamente apparente).

Sottolineo inoltre che la rigida indicazione della citata lettera b) di questo articolo “deve essere firmata dal debitore”, potrebbe impedirne l’applicazione agli atti nei quali il debitore non apponga la sua firma o perché analfabeta o perché impedito.

Per quanto riguarda poi il riferimento alla professione notarile non mi sembra di poter condividere l’opinione espressa dal Professor Olivieri in ordine alla non opportunità di affidare al Notaio stesso, ma piuttosto al Giudice la competenza a rilasciare il “titolo esecutivo europeo”, ovviamente con riferimento agli atti che possono usufruire di tale vantaggio. Ciò per due ordini di ragioni: la prima, più sempli-ce, perché mi sembrerebbe eccessivamente riduttivo per il Giudice accertare la sussistenza dei requisiti sufficienti ad ottenere la dichia-razione di “titolo esecutivo europeo”, che, nella specie, consisterebbe-ro nel semplice esame che trattasi di un atto notarile contenente il cre-dito pecuniario e la prevista informazione del debitore dell’eventualità che il documento sia esecutivo da un punto di vista europeo. Senza contare, poi, che la esecutività del titolo, sia pure a fini nazionali, è già rilasciata dal Notaio che ha ricevuto l’atto. E quale Giudice dovrebbe essere allora competente? Qualsiasi Giudice? Quello territorialmente competente rispetto al Pubblico Ufficiale? Quello rispetto al contrat-to? Quello rispetto al creditore? O addirittura quello eletto in sede con-trattuale con un’apposita clausola, di indubbio contenuto vessatorio, ai sensi della richiamata normativa degli artt. 1469 bis e seguenti del codice civile (che sicuramente attribuisce carattere vessatorio alla clausola di deroga della competenza dell’Autorità Giudiziaria)?

Credo, invece, che dovrebbe essere riconosciuta la competenza al Giudice, salvo a precisare quale Giudice nelle ipotesi in cui il Notaio che ha redatto l’atto pubblico è cessato o per morte o per pensiona-mento o per trasferipensiona-mento ad altro distretto notarile.

Da tale ultima precisazione credo si potrebbe abbastanza facil-mente passare all’attribuzione della facoltà di rendere europeo il tito-lo esecutivo cosiddetto nazionale ad altro Notaio, altito-lorché queltito-lo che ha redatto l’atto pubblico sia cessato dalla sua attività.

Intervento del prof. Federico CARPI, professore ordina-rio di diritto processuale civile presso la Facoltà di Giu-risprudenza dell’Università di Bologna

1. – Ho apprezzato l’entusiasmo e l’ottimismo con i quali il dott.

Andreas Stein ha presentato il progetto che stiamo discutendo.

In realtà mi sembra che la prospettiva di una vera armonizzazio-ne del diritto processuale civile in Europa sia adottata da una parte della dottrina più consapevole, più che da una scelta politica della Commissione e degli Stati membri.

Questo è emerso con chiarezza anche nel recente colloquio tenu-tosi a Bruxelles nei giorni 26 e 27 ottobre scorsi per iniziativa dell’As-sociazione internazionale di diritto processuale e del Centro interuni-versitario belga di diritto processuale, ove si è discusso del tema gene-rale “The Coming Together of Procedural Laws in Europe”, prenden-do le mosse dal progetto per l’armonizzazione, sottoposto alla Com-missione nel 1993 e noto come progetto Storme. Nella terza seduta di lavoro, presieduta da lord Latham ed intitolata incisivamente “How?”

– dopo che le prime due si erano occupate di “Why?” e di “What?” – le colte ed interessanti relazioni di studiosi e di alti funzionari del servi-zio giuridico della Commissione hanno continuato ad inseguire una prospettiva introduttiva generale, senza potere indicare proposte con-crete. Nel corso del serrato dibattito, che ne è seguito, in particolare i funzionari “europei” hanno dovuto ammettere la mancanza di una volontà politica attuale di dare impulso alla difficile armonizzazione.

Altra cosa è, evidentemente, la cooperazione giudiziaria prevista dall’art. 65 del Trattato, come modificato dal Trattato di Amsterdam, e ribadita dal Consiglio europeo di Tampere del 1999, cooperazione che nel campo civile si è concretizzata nei ben noti regolamenti del 2000 – 2001, in materia di assunzione di prove, di notificazioni, di procedure d’insolvenza, di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale, e di riconoscimento ed esecuzione delle deci-sioni in materia civile e commerciale. Tali regolamenti sono certo importanti, ma non poi così innovativi, essendo riconducibili in gran parte a precedenti convenzioni, come quella dell’Aja e quella di Bruxelles del 1968. Ed altra cosa è ancora quella sorta di armonizza-zione concreta, per così dire “dal basso”, che in questi anni è derivata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, in particolare in sede di interpretazione della convenzione di

Bruxel-les. Attività importantissima ed apprezzabile che è svolta dalla Corte di Lussemburgo con quella sorta di attivismo giudiziario che è stata ed è di impulso per l’unificazione europea, quando malcelati desideri di supremazia nazionale sembrano prevalere. Ma si tratta pur sempre di attività circoscritta e limitata.

Ben vengano progetti, come il nostro odierno sul titolo esecutivo europeo, se possono arrecare un contributo alla prospettiva ora men-zionata.

2. – A titolo di esempio, certo non secondario, si pensi all’art. 2, comma 3, lett. c) del progetto che considera non contestato il credito se il debitore non è comparso o non si è fatto rappresentare in giudi-zio: è l’ipotesi del processo contumaciale, in cui la mancata costitu-zione della parte è valutata agli effetti dell’immediato accoglimento della domanda, ipotesi estranea alla nostra disciplina processuale ed invece presente in altri ordinamenti, come quello tedesco o quello austriaco. Penso, evidentemente, alla contumacia volontaria e non a quella che sia dipesa da difetti di notificazione o da mancanza di suf-ficiente informazione – di cui pure si occupa il progetto come cause ostative al rilascio del titolo esecutivo europeo, agli artt. 10, lett. b); 11;

12; 14; 16 ed altri, con la rimessione in termine dell’art. 17 – perché in caso contrario si cadrebbe in una palese violazione dell’art. 6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo e del nostro art. 111 Cost., come modificato dalla l. cost. del 1999.

Mi rendo conto che non tutti saranno d’accordo con questa pro-spettiva armonizzatrice. Credo, peraltro, che un atteggiamento iper-protettivo del contumace volontario – come quello che è emerso dal-l’interpretazione burocratica dell’art. 180 c.p.c. che porta, com’è noto, alcuni giudici ad assegnare un valore vincolante all’espressione “in ogni caso”, con la concessione di un termine a difesa anche di colui che non vuole difendersi – possa essere un contributo all’allungamen-to del “délai raisonnable”, ora sanzionaall’allungamen-to nel diritall’allungamen-to interno della legge Pinto, (che aggraverà in maniera consistente il lavoro delle nostre Corti d’appello, senza risolvere il problema).

3. – Ciò detto, non posso nascondere un senso di disagio alla let-tura, non certo approfondita e meditata come meriterebbe, del pro-getto, che appare assai complesso e ricco di appesantimenti burocra-tici. Non vi è dubbio che la creazione di un titolo esecutivo europeo e soprattutto del passo successivo rappresentato dall’ingiunzione di pagamento “uniforme”, senza necessità di exequatur, sarebbero un contributo rilevante alla creazione di uno “spazio giudiziario europeo”

ed in via indiretta all’abolizione di quelle barriere economiche che indubbiamente derivano da sistemi processuali ad efficienza difforme e variabile.

Tuttavia è necessario, affinché tale contributo sia effettivo, che la disciplina immaginata sia semplice e flessibile, altrimenti lo strumen-to regolamentare finirebbe per cadere in concreta disapplicazione.

Così per il titolo giudiziale le rigide prescrizioni di contenuto – forma dell’art. 14 per l’atto introduttivo o le forme specifiche di notifi-cazione dell’art. 11 (e sono certo condivisibili le critiche da molti avanzate all’art. 11, comma 30, lett. c) sulla validità della notifica con deposito del documento nella cassetta delle lettere del debitore al suo domicilio o presso il suo luogo di lavoro; nell’Università si potrebbe pensare ai cassetti dove viene collocata la posta per i docenti!), posso-no indurre a ricorrere al regolamento n. 44/2001, per il ricoposso-noscimen- riconoscimen-to e l’esecuriconoscimen-torietà delle decisioni, o al regolamenriconoscimen-to n. 1348/2000, per le notificazioni, pur fatti salvi dagli artt. 28 e 29, piuttosto che al proget-to stesso.

4. – Per il resto debbo limitarmi ad alcuni brevi flashes. In primo luogo non condivido le critiche da alcuni mosse all’art. 19 del proget-to ed in specie al comma 2, che stabilisce che “in nessun caso è possi-bile il riesame del merito del titolo esecutivo europeo o della sentenza (rectius decisione) su cui si fonda nello Stato dell’esecuzione”: si trat-ta di una previsione opportuna e ricorrente anche nelle convenzioni internazionali che disciplinano in maniera compiuta il riconoscimen-to e l’esecuzione di decisioni. Consentire il riesame del meririconoscimen-to (come faceva l’abrogato art. 798 c.p.c.) significherebbe inserire un virus dis-solutore della disciplina convenzionale o regolamentare nel nostro caso.

Diversa è la possibilità del controllo giurisdizionale di cui al comma 1 del medesimo art. 19 oppure, nel nostro Paese, dell’esperi-mento dell’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617 c.p.c.

In secondo luogo noto che l’art. 17 del progetto non si riferisce in realtà ad alcuna forma di risarcimento del danno, sibbene ad ipotesi di rimessione in termini com’è dimostrato dall’art. 20 che parla di sospensione o limitazione dell’esecuzione, il che non avrebbe senso se non fosse collegato proprio alla rimessione in termini. D’altro canto il testo inglese della norma è chiaro ed esclude che vi sia alcun riferi-mento al risarciriferi-mento del danno, dato che si parla di “Relief from the effects of the expiration of time”.

Infine quest’ultimo cenno alla non buona versione del testo

italia-no del progetto induce ad aderire pienamente alle considerazioni del cons. dott.ssa Manuela Romei Pasetti, che ha con vigore richiamato l’attenzione sul fatto che la prospettiva di armonizzazione europea del processo deve passare anche attraverso la uniformazione del linguag-gio in senso ampio, cioè attraverso la formazione di base ed avanzata, anche del “magistrato europeo”.

E qui, purtroppo, il mio pessimismo è accentuato, a causa dell’in-congrua e solo formale riforma delle facoltà giuridiche italiane e del modo con cui si pretende di far entrare in operatività le scuole foren-si, vera, grande, importante novità della riforma, scuole che rischiano di naufragare appena mollati gli ormeggi, per le incertezze dei risulta-ti, dei mezzi, degli uomini che ivi dovrebbero impegnarsi.

Ma questo è un altro discorso.

Intervento del prof. Giorgio COSTANTINO, professore di