Ministro Plenipenitenziario Rocco CANGELOSI, Direttore generale per l’integrazione europea del Ministero degli Affari Esteri e dott. Alfredo RIZZO, esperto giuridico presso la Direzione generale per l’integrazione europea del Ministero degli Affari Esteri
Ringrazio per il cortese invito, al quale la Direzione ha risposto con entusiasmo, nonostante gravino gli intensi preparativi in vista del prossimo Consiglio europeo di Leaken.
Il trattato di Amsterdam ha introdotto nel trattato CE un nuovo titolo IV contenente disposizioni relative alla cooperazione giudiziaria in materia civile (art. 65).
Il Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 ha dichiarato che “il rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle sentenze e il necessario ravvicinamento delle legislazioni faciliterebbero la cooperazione fra le autorità, come pure la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli. E’ stato così approvato il principio del reciproco riconoscimento che rappresenterà “il fonda-mento della cooperazione giudiziaria nell’Unione tanto in materia civile quanto in materia penale”.
In materia civile, il Consiglio di Tampere ha invitato a ridurre ulte-riormente “le procedure intermedie tuttora necessarie per ottenere il rico-noscimento e l’esecuzione delle decisioni o sentenze nello Stato richie-sto”. “Inizialmente, tali procedure intermedie dovrebbero essere abolite per i titoli relativi a cause di modesta entità in materia commerciale o relative ai consumatori e per determinate sentenze nel settore delle con-troversie familiari (prestazioni alimentari e diritto di visita). Dette deci-sioni sarebbero automaticamente riconosciute in tutta l’Unione senza che siano necessarie procedure intermedie o che sussistano motivi per rifiutare l’esecuzione. A ciò potrebbe accompagnarsi la definizione di norme minime su taluni aspetti del diritto di procedura civile” (1).
(1) Per quanto riguarda il diritto materiale, il Consiglio europeo di Tampere, al paragrafo 39 delle relative conclusioni, ha rilevato la necessità di procedere “ad uno studio globale sulla necessità di ravvicinare le legislazioni degli Stati membri in materia civile per eliminare ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili.” Su tali temi la Commissione europea ha recentemente adottato una Comunicazione rivolta a Con-siglio e parlamento europeo sul “diritto contrattuale europeo (11 luglio 2001, COM (2001) 398 def.). Ai fini di illustrare l’acquis comunitario nel settore civile, in un suo allegato la Comunicazione, alla voce “Sistemi di pagamento”, riporta la direttiva 2000/35 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali sulla quale si veda infra, nota 2.
Alla luce di ciò, il Consiglio di Tampere ha invitato Consiglio del-l’UE e Commissione europea ad adottare un programma di misure per l’attuazione del suddetto principio del reciproco riconoscimento, pro-gramma comprensivo dell’avvio dei lavori sul titolo esecutivo europeo.
La Convenzione di Bruxelles in materia di competenza giurisdi-zionale, riconoscimento e esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale fu adottata in base all’ex art. 220 TCE (oggi 294) ed è stata trasfusa nel Regolamento denominato “Bruxelles I”: tale Regola-mento è lo struRegola-mento base che disciplina il riconosciRegola-mento delle deci-sioni nei settori civile e commerciale, escluse quelle in materia di stato e capacità delle persone fisiche, regime patrimoniale fra coniugi, testamenti e successioni, fallimenti, sicurezza sociale e arbitrato. L’at-tuale Regolamento denominato “Bruxelles II” si occupa dei procedi-menti civili relativi al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio, nonché ai procedimenti civili rela-tivi alla potestà sui figli minori, instaurati durante i predetti procedi-menti in materia matrimoniale. Dal campo del Regolamento “Brux.
II”, rimangono così esclusi aspetti del contenzioso su divorzio e sepa-razione, quali le decisioni sulla potestà dei genitori che modificano le decisioni adottate al momento della decisione sul divorzio e la sepa-razione personale dei coniugi. Rimangono altresì esclusi le situazioni familiari nate da relazioni estranee al matrimonio, i regimi patrimo-niali tra coniugi, i testamenti e le successioni.
Le conclusioni di Tampere riguardano in generale tutta la materia civile, e tuttavia rilevano che le procedure intermedie dovrebbero essere abolite per i titoli relativi alle cause di modesta entità in materia com-merciale o relative ai consumatori e per determinate sentenze relative al settore familiare (sentenze sulle prestazioni alimentari o diritto di visita).
Abbiamo quindi iniziative tese a eliminare l’exequatur per le deci-sioni relative al diritto di visita, per quelle in tema di prestazioni ali-mentari e in materia di crediti non contestati e controversie di mode-sta entità. Per quanto riguarda questi ultimi due settori, occorre segnalare che la presenza dell’attuale direttiva 2000/35 relativa alla lotta ai ritardi nei pagamenti rappresenta un notevole passo in avanti verso l’adozione di un criterio quanto più uniforme e “armonizzato” di soddisfazione dei crediti insoluti (2).
(2) Si ricorda che tale direttiva nei “considerando” prevede quanto segue: (12) L'o-biettivo della lotta contro i ritardi di pagamento nel mercato interno non può essere suffi-cientemente realizzato dagli Stati membri separatamente e può pertanto essere meglio
rea-Al riguardo, valga ricordare il famoso caso ED / Italo Fenocchio (3), che vide, da un lato, la Corte di giustizia fermamente attestata (si tratta di una causa instaurata prima dell’entrata in vigore del Trattato
lizzato a livello comunitario. La presente direttiva non va al di là di quanto necessario per raggiungere l'obiettivo auspicato. La presente direttiva è quindi integralmente conforme ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità enunciati all'articolo 5 del trattato. (13) La presente direttiva dovrebbe essere limitata ai pagamenti effettuati a titolo di corrispettivo per una transazione commerciale e non disciplina i contratti con consumatori, gli interes-si relativi ad altri pagamenti, ad esempio pagamenti a norma di legge per assegni o titoli di credito o pagamenti effettuati a titolo risarcimento danni ivi compresi i pagamenti effet-tuati da un assicuratore.(…). (15) La presente direttiva si limita a definire l'espressione
"titolo esecutivo", ma non disciplina le varie procedure per l'esecuzione forzata di un sif-fatto titolo, né le condizioni in presenza delle quali può essere disposta la sospensione del-l'esecuzione ovvero può essere dichiarata l'estinzione del relativo procedimento. (16) I ritar-di ritar-di pagamento costituiscono una violazione contrattuale resa finanziariamente attraen-te per i debitori nella maggior parattraen-te degli Stati membri per i bassi livelli dei tassi degli inattraen-te- inte-ressi di mora e/o dalla lentezza delle procedure di recupero. Occorre modificare decisamen-te questa situazione anche con un risarcimento dei creditori, per invertire tale decisamen-tendenza e per far sì che un ritardo di pagamento abbia conseguenze dissuasive. (…). (18) La presen-te direttiva tiene conto del problema dei lunghi presen-termini contrattuali di pagamento, segna-tamente l'esistenza di talune categorie di contratti per i quali può essere giustificato un periodo più lungo per il pagamento, se ad esso si accompagna una restrizione della libertà contrattuale o un tasso d'interesse più elevato. (19) La presente direttiva dovrebbe proibire l'abuso della libertà contrattuale in danno del creditore. Nel caso in cui un accordo abbia principalmente l'obiettivo di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del credito-re, o nel caso in cui l'appaltatore principale imponga ai propri fornitori o subappaltatori termini di pagamento ingiustificati rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi, si può ritenere che questi elementi configurino un siffatto abuso. La presente direttiva non incide sulle disposizioni nazionali relative alle modalità di conclusione dei contratti o che disciplinano la validità delle clausole contrattuali abusive nei confronti del debitore.
(20) Le conseguenze del pagamento tardivo possono risultare dissuasive soltanto se accompagnate da procedure di recupero rapide ed efficaci per il creditore. Conformemen-te al principio di non discriminazione di cui all'articolo 12 del trattato, tali procedure dovrebbero essere a disposizione di tutti i creditori stabiliti nella Comunità europea.
(21) È auspicabile garantire che i creditori siano in posizione tale da poter esercita-re la riserva di proprietà su base non discriminatoria in tutta la Comunità, se la clausola della riserva di proprietà è valida ai sensi delle disposizioni nazionali applicabili secondo il diritto internazionale privato. (22) La presente direttiva disciplina tutte le transazioni commerciali a prescindere dal fatto che esse siano effettuate tra imprese pubbliche o pri-vate o tra imprese e autorità pubbliche, tenendo conto del fatto che a queste ultime fa capo un volume considerevole di pagamenti alle imprese. Essa pertanto dovrebbe disciplinare anche tutte le transazioni commerciali tra gli appaltatori principali ed i loro fornitori e subappaltatori. (23) L'articolo 5 della presente direttiva prevede che la procedura di recu-pero dei crediti non contestati sia conclusa a breve termine, in conformità delle disposi-zioni legislative nazionali, ma non impone agli Stati membri di adottare una procedura specifica o di apportare specifiche modifiche alle procedure giuridiche in vigore.
(3) La sentenza, del 22 giugno 1999, ma relativa a una causa instaurata nel 1997
di Amsterdam), sull’incompetenza della Comunità europea a interve-nire su temi attinenti alle regole procedurali proprie di ciascuno Stato membro, anche in materia di attuazione di obblighi comunitari; dal-l’altro lato, l’avvocato generale Cosmas, che nelle sue conclusioni svol-ge delle annotazioni assai illuminanti sulle finalità che sono sottese alla definizione di un concetto di esecuzione degli atti giudiziari conforme ai principi comunitari relativi alla creazione del mercato interno (con particolare riferimento al divieto di discriminazione tra nazionalità e al rispetto delle quattro libertà fondamentali del Tratta-to (4) . E’ da sotTratta-tolineare, seppure in via molTratta-to generale, il riferimenTratta-to
dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee, riguarda l’interpretazione del-l’art. 633 del nostro c.p.c. Con essa si è stabilito che l’impossibilità per il creditore resi-dente all’estero di eseguire il suo titolo esecutivo ottenuto in Italia nei confronti di un’impresa debitrice italiana, non fosse contraria alle norme comunitarie sulla libera circolazione delle merci ed a quelle sulla libera circolazione di capitali. In particolare, la massima della sentenza recita come segue: “ L'art. 34 del Trattato (divenuto, in segui-to a modifica, art. 29 CE) non osta ad una normativa nazionale che non ammette il ricor-so al procedimento d'ingiunzione nel caricor-so in cui la notificazione al debitore debba essere effettuata in un altro Stato membro. Infatti, se è vero che una siffatta disposizione nazio-nale porta a sottoporre l'operatore economico ad un regime processuale diverso a secon-da che fornisca merci all'interno dello Stato membro interessato o le esporti verso altri Stati membri, la circostanza che i cittadini nazionali esiterebbero per questo motivo a vendere merci ad acquirenti stabiliti in altri Stati membri è troppo aleatoria e indiretta perché la detta disposizione possa essere considerata atta ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri. Al pari dell'art. 106 del Trattato CEE (divenuto art. 73 H del Trattato CE, abrogato dal Trattato di Amsterdam), l'art. 73 B, n. 2, del Trattato (divenuto art. 56, n. 2, CE) mira a consentire al debitore di una somma di danaro nell'ambito di una prestazio-ne di beni o di servizi di adempiere volontariamente tale obbligazioprestazio-ne contrattuale senza restrizioni indebite e al creditore di ricevere liberamente un pagamento del genere. Tutta-via, tale disposizione non è applicabile alle modalità procedurali alle quali è soggetta l'a-zione di un creditore diretta ad ottenere da un debitore renitente il pagamento di una somma di danaro. Ne consegue che una disposizione procedurale nazionale che non ammette il ricorso al procedimento di ingiunzione nel caso in cui la notificazione al debi-tore debba essere effettuata in un altro Stato membro non costituisce una restrizione libertà dei pagamenti” (sottolineato nostro). In buona sintesi, si tratta di una decisione che ribadisce il carattere preminente delle norme nazionali relative alla definizione di regole procedurali, che sono riconducibili a regole d’ordine pubblico generalmente applicabili (al pari d’altronde delle disposizioni di diritto comunitario aventi carattere direttamente efficace, v. sentenza sentenza 14 dicembre 1995, cause riunite C-430/93 e C-431/93, Van Schijndel e Van Veen confermata, nella sostanza, dalla sentenza del 1°
giugno 1999, Eco Swiss, causa C-126/97, sulla quale, ex multis,, si veda DI MAJO, Fran-cesco Maria: Il Diritto dell'Unione Europea 1997 p.841-844, PUNZI, Carmine: Rivista dell'arbitrato 2000 p.235-247, RIZZO Alfredo: Giudicato interno e ordine pubblico comu-nitario in Europa e diritto privato, 665, 2000.
(4) Si riportano alcuni passaggi delle conclusioni dell’avvocato generale ritenuti essenziali ai fini di interpretare le finalità dell’azione comunitaria nel settore del
dirit-al combinato disposto degli articoli 6 e 13 della Convenzione per la sdirit-al- sal-vaguardia dei diritti dell’uomo, materia relativa alla tutela del ricorso effettivo oggi peraltro trasferita integralmente nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, adottata, seppure non for-malmente, dal Consiglio europeo di Nizza nel dicembre scorso.
Evi-to civile. “Come risulta chiaramente dall'ordinanza di rinvio, il giudice a quo ritiene che la disposizione controversa del c.p.c. sia atta a restringere la libertà di circolazione delle merci e la libertà di movimento dei capitali e dei pagamenti, in quanto le imprese italia-ne potrebbero essere indotte ad instaurare di preferenza rapporti commerciali con altre imprese italiane, escludendo eventualmente clienti che siano cittadini di altri Stati mem-bri, giacché solo nei confronti di altre imprese italiane potrebbero invocare la tutela lega-le offerta dal decreto ingiuntivo. Secondo l'ordinanza di rinvio, ciò potrebbe senza alcun dubbio violare il principio della libertà di circolazione. Così, come risulta dall'interpreta-zione dell'ordinanza di rinvio, ma anche dalle osservazioni svolte dinanzi alla Corte nella presente causa, la più probabile restrizione della libera circolazione delle merci e del libe-ro movimento dei capitali deriva, in linea di massima, dalla restrizione della garanzia di protezione legale nelle controversie che sorgono nell'ambito dell'esercizio di questi diritti fondamentali. Perciò la suddetta possibile limitazione della garanzia di protezione legale ricade nel campo di applicazione di quel principio generale del diritto comunitario che si fonda sulle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è altresì sancito dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali stipulata il 4 novembre 1950, in forza della quale gli Stati membri si impe-gnano ad offrire, quando ne siano richiesti, protezione legale ai diritti che i cittadini comunitari ricavano dal Trattato. Più in concreto, la Corte ha riconosciuto che gli Stati membri hanno l'obbligo di garantire un'efficace tutela legale dei diritti che i cittadini comunitari traggono direttamente da norme del diritto comunitario. E' quindi logico che tale obbligo valga tanto per le pretese sostanziali rivolte contro lo stesso Stato membro quanto per le pretese sollevate nei confronti di privati e che si ricollegano a diritti e libertà attribuite direttamente dal diritto comunitario. In realtà, poiché la possibilità di tutela giurisdizionale in caso di esercizio di una libertà fondamentale prevista dal diritto comu-nitario discende direttamente dalla tutela della libertà stessa, il fatto che il legislatore nazionale non abbia contemplato una tutela giurisdizionale piena, efficace e tempestiva per la risoluzione delle controversie che sorgono fra privati a seguito dell'esercizio di tale libertà toglierebbe qualsiasi effetto utile alla protezione della libertà stessa. D'altra parte, occorre sottolineare che il procedimento di emissione del decreto ingiuntivo si ricollega di fatto alla concessione della tutela giurisdizionale. Se anche si ritenesse che il decreto ingiuntivo non costituisca una pronuncia giudiziaria o non sia equiparabile ad una tale pronuncia, ma rappresenti unicamente un titolo esecutivo, la domanda di ingiunzione costituirebbe comunque un'azione giurisdizionale per la soddisfazione di un credito gra-zie alla garanzia di un titolo esecutivo nei confronti del debitore e costituirebbe quindi, da un punto di vista organico e procedurale, attribuzione di tutela giurisdizionale. Di con-seguenza, è utile e quindi logico interpretare – anche se ciò non viene richiesto dal giudi-ce a quo – alla lugiudi-ce dei fatti della causa principale il principio generale del diritto comu-nitario secondo cui gli Stati membri hanno l'obbligo di garantire, se richiesti, la tutela giu-risdizionale dei diritti che i cittadini comunitari ricavano dal Trattato. In sintesi, ritengo utile che la Corte risolva la questione se occorra interpretare il succitato principio genera-le di diritto comunitario nel senso che si oppone ad una disposizione proceduragenera-le interna
dentemente, l’avvocato generale ha considerato il tema del riconosci-mento di un titolo esecutivo anche nell’ottica di quella consolidata cor-rente giurisprudenziale che, seppure riconosce ai mezzi procedurali nazionali, civilistici o penalistici che siano, carattere di disciplina che vale a comporre l’insieme delle norme e principi di ordine pubblico di uno Stato membro, tuttavia ha stabilito anche che tali mezzi non pos-sono porsi in contrasto con il principio di effettività ed efficacia del diritto comunitario conferente vantaggi ai cittadini comunitari, van-taggi che peraltro gli Stati sono chiamati a garantire mediante l’opera dei propri organi giurisdizionali in attuazione dell’obbligo di leale col-laborazione imposto dall’art. 10 TCE (5). Peraltro, è assai interessante la valutazione del provvedimento di ingiunzione quale pronuncia con
di uno Stato membro che vieta l'emissione di un decreto ingiuntivo nel caso in cui la noti-ficazione debba essere effettuata fuori dallo Stato membro o dai territori soggetti alla sua sovranità.(sottolineato nostro). Sulla sentenza Fenocchio si vedano tra gli altri SCAR-SELLI, G. Foro italiano 2000 IV Col.290-291, CATALDI, Michele: Giustizia civile 2000 I p.1597-1604, AMADEO, Stefano ; MANSI Francesco-Paolo: Il diritto dell'Unione Euro-pea 2000 p.283-305.
(5) Si ricorda che nella sentenza Peterbroeck del 14 dicembre 1995, la Corte di giu-stizia si occupò di eccezioni relative ad aliquote maggiorate imposte ad imprese stabi-lite in Stati diversi da quelli di costituzione (diritto di stabilimento delle imprese), allorché tali eccezioni venissero proposte tardivamente ai sensi delle norme di proce-dura relative al ricorso amministrativo nazionale (codice delle imposte sul reddito). Si riportano le massime di quella sentenza. E' compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall'art. 5 del Trattato, garantire la tutela giurisdi-zionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diret-to. In mancanza di disciplina comunitaria in materia, spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai sin-goli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. Tuttavia, dette moda-lità non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natu-ra interna né rendere pnatu-raticamente impossibile o eccessivamente difficile l' esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario. Una norma di diritto nazionale la quale impedisce l' attivazione del procedimento ex art. 177 del Trattato deve essere per-tanto disapplicata. Ciascun caso in cui si pone la questione se una norma processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l' applicazione del diritto comuni-tario dev'essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell'insieme del proce-dimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdi-zionali nagiurisdi-zionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento. In tal senso, sebbene l’imposizione ai singoli di un termine di sessanta giorni per la presenta-zione di un nuovo motivo di ricorso fondato su una violapresenta-zione del diritto comunitario non sia di per sé censurabile, il diritto comunitario osta tuttavia all'applicazione di una norma processuale nazionale che vieta al giudice nazionale, adito nell'ambito della sua
carattere e provenienza non giudiziari, ma che, avendo tutti i requisi-ti essenziali del vero e proprio requisi-titolo esecurequisi-tivo, è perfettamente idonea – e finalizzata – a rendere effettiva la tutela del diritto ad essa presup-posto.
Tornando al disegno tendente alla definizione del diritto civile comunitario, si è segnalato che la possibilità, tramite le procedure di exequatur, di ritardare l’esecuzione di decisioni relative a crediti non contestati rappresenta una contraddizione in termini. Pertanto, la rapi-da riscossione dei crediti è stata vista come un’assoluta necessità per il commercio, costituendo la stessa la prima preoccupazione proprio per i settori economici attori essenziali del mercato interno europeo.
Tornando al disegno tendente alla definizione del diritto civile comunitario, si è segnalato che la possibilità, tramite le procedure di exequatur, di ritardare l’esecuzione di decisioni relative a crediti non contestati rappresenta una contraddizione in termini. Pertanto, la rapi-da riscossione dei crediti è stata vista come un’assoluta necessità per il commercio, costituendo la stessa la prima preoccupazione proprio per i settori economici attori essenziali del mercato interno europeo.