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Apertura di nuove comunità in Egitto

Nel documento Pie Madri della Nigrizia (pagine 60-64)

“Preghiamo poi a vicenda perché si affretti il giorno in cui possa venire aperta qualche altra casa e si aumenti anche il numero di chi possa lavorare nella mistica vigna”… (Maria Bollezzoli, 4 gennaio 1887).

Dopo la partenza delle ultime Pie Madri per l’Egitto – avvenuta nel dicembre del 1882 per decisione di mons. Sogaro – nessun’altra aveva più lasciato Verona fino al 1885, allorché lo stesso Vicario apostolico era rientrato in Italia per ricevere la consacrazione episcopale.

Quando, il 12 agosto 1885, il nuovo vescovo fece la sua prima visita alla Casa Madre femminile, trovò 6 giovani missionarie in attesa di partire, mentre altre due si stavano preparando alla professione religiosa. Vi erano, inoltre, anche alcune novizie e postulanti.

Queste ultime, in numero di sei, avrebbero potuto essere molto più numerose perché,

“nonostante i disastri toccati alla Missione, atti per sé a rimuovere anziché attirare vocazioni, si presentavano in buon numero altre; ma non tutte si poterono accettare – riferiscono le “Memorie” dell’Istituto – temendo nuovi impedimenti all’opera della rigenerazione dell’Africa … Però gli incoraggiamenti indirettamente venuti non molto dopo da Propaganda Fide coll’innalzare … mons. Francesco Sogaro alla dignità vescovile, indussero a favorire un maggiore sviluppo ed aumento del personale nei due Istituti di Verona”… (pag. 29).

Le misure prese dal nuovo Vescovo

Mons. Sogaro, però, non si mostrò molto soddisfatto della formazione ricevuta dalle giovani in Casa Madre, dove il superiore era il padre Sembianti e la formatrice Maria Bollezzoli. Egli lasciò Verona, infatti, senza autorizzare nessuna partenza.

Una volta ritornato in Egitto, però, inviò in Italia (aprile 1886) due “ambasciatrici”:

Vittoria Paganini e Matilde Lombardi, perché spiegassero meglio come procedere. Un provvedimento molto opportuno, perché c’era veramente bisogno di un dialogo chiarificatore fra la Madre di Verona e la Superiora che si trovava in Cairo, ma che proveniva anche da Khartum.

Di quell’incontro, Maria Bollezzoli si disse soddisfatta, tanto che manifestò la speranza, nella lettera del 4 gennaio 1887 indirizzata a Vittoria Paganini, che fosse vicino il giorno in cui venisse aperta qualche altra casa e si potessero finalmente ricevere tutte le aspiranti che battevano alla porta di Casa Madre.

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Qual giorno, grazie a Dio, non era lontano. Le partenze per l’Africa ricominciarono regolarmente, mentre Costanza Caldara rientrava a Verona, nel maggio 1887, per decisione di mons. Sogaro che voleva lei come formatrice.

L’anno seguente, dopo la professione religiosa dei primi “Figli del S. Cuore”, mons.

Sogaro decideva anche l’apertura di nuove comunità femminili. La prima fu quella della colonia agricola della Gesira (agosto 1888), con Giuseppa Scandola ed Elisa Suppi; la seconda quella della parrocchia di Hélouan (settembre) con Vittoria Paganini e Francesca Dalmasso; una terza, con Matilde Lombardi, Bartolomea Benamati, Ginevra Tormene ed Annunziata Hartman, a servizio dell’ospedale austro-ungarico “Rodolfo” (dicembre).

Riprende vita il progetto di Malbes

Con l’apertura della colonia agricola della Gesira, mons. Sogaro intendeva riprendere il progetto che era stato del suo Predecessore, progetto che la bufera della Mahdia aveva travolto nel suo passaggio rovinoso: mettere cioè a disposizione un terreno agricolo per i giovani e per le famiglie cristiane fuggite dal Sudan. In altre parole, sarebbe sorta in Egitto una “missione dell’Africa Centrale in miniatura”. Nel numero della “Nigrizia” del mese di settembre 1888, infatti, egli stesso spiegava ai lettori:

“La Missione ammaestrata da lunga esperienza aveva nell’ultimo decennio lavorato indefessamente a piantare piccole colonie composte esclusivamente di famiglie dei nostri allievi [ex schiavi], le quali destarono l’ammirazione di quanti ebbero l’occasione di visitarle … Ma sopravvenne l’orribile bufera mahdista che svelse fin dalle radici ed interamente distrusse l’opera di tanti sudori e di tanti patimenti. Minacciati dall’appressarsi della terribile persecuzione riparammo, con un centinaio dei nostri piccoli Neri d’amo i sessi, da Khartum ai confini della Nubia

… .

Incalzati anche colà finalmente ci raccogliemmo in questa Capitale adattandoci alla meglio nei nostri due stabilimenti di acclimatazione, le fanciulle in quello delle suore ed i fanciulli in quello dei missionari … A questi che avevamo condotti da Khartum altri parecchi vennero ad aggiungersi negli ultimi due anni, tolti ai negrieri, sia a Massaua sia a Suakin”… (pp. 129-130).

Accolto favorevolmente, il progetto si concretizzò nell’offerta, da parte del Governo egiziano, di un’area che rispondeva perfettamente allo scopo. “Situato ad una breve ora di cammino dal centro della Capitale, all’estrema punta di un’isola” circondata dal Nilo, quel terreno si presentava fertilissimo e non avrebbe mai sofferto per la mancanza di acqua.

“Non potrei dirvi l’allegrezza con la quale riuscimmo a dar principio a quest’opera – concludeva il vescovo Sogaro nella lettera sopra accennata – che noi abbiamo sempre rimirata come uno dei mezzi più validi per preparare gli elementi alla religiosa e civile rigenerazione della Nigrizia”… (pag. 134).

Le sorelle che per prime si stabilirono nella Gesira il 22 agosto 1888 (Giuseppa Scandola ed Elisa Suppi), furono subito dopo seguite da Fortunata Quascè e da Maria Caprini.

62 Il compito delle missionarie nella Gesira

“Le suore, oltre che attendere all’istruzione religiosa delle Nere e a dar loro qualche insegnamento adatto all’intelligenza di ciascuna, nonché ad addestrarle ai lavori femminili, ed alle faccende domestiche, percorrono i vicini villaggi musulmani per medicare i bambini, specialmente quelli in pericolo di morte … . Nell’Istituto poi prodigano le cure non solamente alle piccole nere, che sopravvengono sempre; ma anche a donne inferme o vecchie, che vi accedono sapendo che le suore accolgono e trattano tutte amorevolmente”….

(“Memorie”, pag. 30).

Con l’apertura della Colonia agricola, il desiderio espresso da Maria Bollezzoli nella lettera del 4 gennaio dell’anno precedente – e cioè che presto si potesse vedere aperta qualche altra comunità femminile – cominciò così a diventare realtà.

Purtroppo, ancora una volta non ci è pervenuta nessuna lettera, da parte delle prime protagoniste, a dirci qualcosa di più. Soltanto Rosa Matilde Corsi, partita per l’Egitto il 13 dicembre di quel 1888 e destinata poi alla Gesira, avrebbe fatto conoscere qualche particolare più tardi, allorché fu richiesta di scrivere quanto ricordava di Maria Caprini e del periodo da questa trascorso nella colonia dopo la sua liberazione.

La scuola di Hélouan

“Nel settembre del 1888 – registrano ancora le “Memorie” -, Mons. Sogaro aprì in Hélouan les Bains una scuola pei ragazzi ed una per le ragazze … .

Nella scuola delle suore vengono insegnate le lingue araba, italiana, francese e inglese, oltre la musica, ogni sorta di femminili lavori, il disegno e tutte le materie richieste in una scuola ben condotta” (“Memorie”, pag. 30).

“L’altro fatto consolante – comunicava ancora mons. Sogaro nel settembre 1888 ai lettori della “Nigrizia” – è l’impianto di una nuova stazione con due stabilimenti: uno di missionari … e uno di suore. La chiesa di cui abbiamo già gettato le fondamenta e che sarà la parrocchiale … è dedicata alla S. Famiglia. Questa cittadella cominciata da 20 anni in un altipiano deserto a 20 km sud di Cairo, poco lontana dalla sponda del Nilo, si popolò come per incanto … Un signore musulmano edificò una moschea, solamente il santo segno della nostra redenzione non era finora apparso pubblicamente. La mancanza del servizio religioso e della cristiana istruzione della gioventù, erano vivamente sentiti”… (pag. 135).

Tre mesi dopo, dicembre 1888, scrivendo al Vescovo di Verona, mons. Sogaro si diceva molto soddisfatto dello sviluppo che andavano prendendo le due opere da poco iniziate. “Soprattutto la scuola delle fanciulle, diretta dalle nostre suore – specificava -, va ogni giorno crescendo di numero e di importanza”… .

Le suore di cui parlava mons. Sogaro erano Vittoria Paganini e Francesca Dalmasso, alla quale abbiamo dedicato il n. 15 di AMN.

63 L’ospedale austro-ungarico “Rodolfo”

“Nel dicembre 1888 – leggiamo nelle “Memorie” dell’Istituto – le Pie Madri entrarono a prestare l’opera loro nell’ospedale Principe Rodolfo, aperto in quell’anno da una società di sudditi austriaci in onore dell’imperatore Francesco Giuseppe. Detto ospedale si trova nella località denominata Abbadie. Attualmente vi sono impegnate nove suore. L’opera loro è tutta di carità verso i poveri infermi, non solo quanto al corpo, ma anche quanto all’anima loro; e più volte ebbero coronate da lieti successi le industrie del loro zelo, benché sia opera assai difficile, a causa della diversità di religione professata dagli infermi, taluni dei quali non ne hanno alcuna”… (pag. 31).

Ad aprire la prima comunità a servizio dell’ospedale “Rodolfo”, furono mandate le sorelle Matilde Lombardi (AMN, n. 21), Bartolomea Benamati, Ginevra Tormene e Annunziata Hartman.

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Nel documento Pie Madri della Nigrizia (pagine 60-64)