La ricerca di un nuovo Rettore
Come è già stato ricordato, Daniele Comboni era rientrato in Italia, nella primavera del 1879, per vedere a chi affidare il compito di rettore nell’Istituto delle Missioni per la Nigrizia, a Verona. Aveva provato, in un primo momento, a lasciare come “reggente” don Paolo Rossi, il suo giovane segretario, ma il tentativo si era rivelato inadeguato.
Alla fine, d’accordo con il Vescovo di Verona, la scelta era caduto sullo stimmatino don Giuseppe Sembianti, il quale assunse ufficialmente l’incarico il 19 marzo 1880. Un sollievo per Daniele Comboni, ma anche l’inizio della pagina più dolorosa della sua vita.
Contrariato per la presenza, nell’Istituto, della ex Suora di S. Giuseppe dell’Apparizione, Virginia Mansur, e di suo fratello, entrambi insegnanti di arabo (cf AMN 21, pp. 163ss), Giuseppe Sembianti aveva posto delle condizioni molto dure, prima di accettare l’incarico (cf S, 5914). Non avendo altra scelta, Daniele Comboni aveva accettato, ma aveva lasciato Verona, per l’ultima volta, molto amareggiato e preoccupato.
Naturalmente, come sempre, non era ripartito da solo. Dal momento che a Verona, nella Casa Madre delle Pie Madri della Nigrizia, si trovavano 8 suore professe, 6 novizie e 8 postulanti, il Padre aveva deciso di prendere con sé almeno 5 nuove missionarie, due delle quali ancora novizie. Le professe erano Faustina Stampais, Bartolomea Benamati e Marietta Casella. Le novizie erano Rosalia Conte (cf AMN 21, pp. 85ss), e Francesca Dalmasso, entrambe piemontesi (a Francesca Dalmasso è stato dedicato il n. 15 di AMN).
Con loro, poi, sarebbe andata anche un’aspirante, Anna Kubitschek, che il Padre andò a prendere a Vienna e poi affidò a suor Faustina per il viaggio.
Per quanto riguardava Virginia Mansur, il Fondatore era così lontano dal prevedere quello che in seguito sarebbe accaduto, che ritenne più vantaggioso, per l’Istituto, lasciarla a Verona come insegnante di arabo e di francese. Egli pensava, infatti, che la prevenzione di don Sembianti nei riguardi di Virginia sarebbe stata superata con una maggiore conoscenza reciproca. In questo senso, egli era stato rassicurato e incoraggiato dalla stessa Maria Bollezzoli e anche da suor Matilde Corsi, che aveva trascorso con Virginia, nella casa di Sestri Levante, tutta l’estate del 1880.
Ritorna il problema delle Regole
“Le Regole di un Istituto che deve formare apostoli per nazioni infedeli, perché siano durevoli, devono passare sopra principi generali. Se fossero molto minute, ben presto … potrebbero riuscire giogo aspro e peso grave per chi le deve osservare” … (Regole del 1871).
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Se, per le Pie Madri della Nigrizia, il problema delle Regole era stato risolto, almeno provvisoriamente, nel 1874, altrettanto non si poteva dire per l’Istituto maschile.
Rifacendo brevemente la storia, la “Positio” ricorda:
“Nel settembre del 1872 il Servo di Dio, dopo essere stato eletto provicario apostolico, dovette partire per la sua missione … e quindi affidò ai responsabili dell’Istituto di Verona la questione delle Regole. Il nuovo schema di Regole … non era ancora pronto nell’aprile del 1874, quando a Roma giungeva padre Carcereri, inviato da mons. Comboni con l’incarico, tra l’altro, di portarne a termine l’approvazione. Allora il Carcereri compose affrettatamente un nuovo testo di regole, che dal dicastero romano furono giudicate sostanzialmente modificate rispetto a quelle del 1872. Per cui vi furono nuovi riesami, interpellanze rivolte a mons. di Canossa, sulle cui osservazioni fu ordinata un’ulteriore revisione del consultore … Ma non risulta che mons. di Canossa abbia redatto o fatto redigere il “nuovo schema”. Infatti quando il Servo di Dio per l’ultima volta ritornò in Italia (1879) …, tutto era ancora da rifare”… (pp. 325-26).
Evidentemente preoccupato, il Fondatore aveva immediatamente contattato il Rettore dell’Istituto, così che il 3 febbraio 1880 poteva assicurare “Propaganda Fide” che, assieme al “padre Giuseppe Sembianti”, egli stesso stava “rivedendo le Regole con tutte quelle modificazioni che la pratica esperienza degli anni scorsi – specificava – mi ha suggerito a introdurvi” … (S, 5913).
Quelle Regole così redatte, frutto cioè della sua lunga e sofferta esperienza africana, stavano talmente a cuore a Daniele Comboni che, il 17 dicembre 1880, appena giunto in Cairo dopo aver lasciato Verona, ricordava fra l’altro al padre Sembianti:
“Così pure… è mio assoluto desiderio che siano al più presto possibile compilate tanto le Regole dell’Istituto maschile quanto del femminile … .
Dunque coraggio e all’opera … È meglio che lei le lavori subito, presto, perché più tardi avrà meno tempo, perché Dio ci manderà molti soggetti d’ambo i sessi”
… (6174-75).
Bisogna “accendere i soggetti”
con la carità di Cristo…
In altre parole, dovevano essere Regole adatte a formare missionarie e missionarie
“santi e capaci”, perché “l’uno senza l’altro vale poco per chi batte la carriera apostolica
… Una missione ardua e laboriosa come la nostra – spiegava ancora il Fondatore – non può vivere di patina, e di soggetti dal collo storto pieni di egoismo e di se stessi … Bisogna accenderli di carità, che abbia la sua sorgente da Dio, e dall’amore di Cristo; e quando si ama davvero Cristo, allora sono dolcezze le privazioni, i patimenti, il martirio”… (S,6655-56).
Purtroppo, il Padre sarebbe morto senza vedere quelle Regole tanto desiderate…
30 Sestri Levante: un tentativo di estendere l’Istituto oltre Verona
Daniele Comboni era da poco rientrato in Italia, nel 1879, quando da Sestri Levante riceveva una lettera che conteneva una proposta di don Angelo Tagliaferro. Dal momento che questi possedeva in Sestri un antico convento disabitato e disponibile, pensava di offrirlo per una eventuale opera pia.
Subito interessato, il Fondatore gli aveva risposto dicendosi interessato a continuare il discorso. Cosa che fece concretamente nell’aprile del 1880, quando si recò nella cittadina ligure per un primo sopralluogo (cf S, 6823). Egli voleva, infatti, verificare se era
“possibile la realizzazione di un istituto di suore a Sestri”… (S, 6824).
Infatti, dopo aver visitato personalmente l’antico convento, Daniele Comboni aveva intravisto la possibilità di farne una casa filiale – maschile e femminile – degli Istituti di Verona, nel senso di aprirvi anche un centro di formazione, oltre che di “vacanza”, cioè di ripresa spirituale e fisica per i veterani e le veterane che, eventualmente, avessero dovuto lasciare temporaneamente la missione per esigenze di salute…
Tutto combinato per una “donazione”
In un caso come quello di Sestri, comunque, Daniele Comboni non intendeva decidere da solo. Per questo tornò a Sestri Levante “col veneratissimo Rettore e colla Superiora di Verona, per decidere sul nuovo stabilimento filiale” che, a Dio piacendo, si sarebbe aperto
“per le Missioni dell’Africa Centrale” (S,6213).
Tale ritorno così previsto, avvenne, di fatto, nel mese di settembre successivo e si concluse con un contratto che avrebbe dovuto essere “in piena regola”.
Soddisfatto, ma con alcuni dubbi, rimase però il Vescovo di Verona, che il 27 settembre 1880 si rivolgeva personalmente al donatore scrivendogli fra l’altro:
“Ella capirà … quanto rimanessi ammirato e contento dell’atto generoso che Ella fece a bene dell’Opera eminentemente umanitaria e religiosa, per la rigenerazione della Nigrizia … Solo che, leggendo quell’atto, mi sorse il pensiero che le sante intenzioni di V. S. sarebbero assai meglio assicurate, se l’atto medesimo vestisse una certa legalità di forme oggi cotanto necessarie … Ella faccia di questa mia osservazione quel conto che nella sua sagace prudenza crede opportuno”… .
Purtroppo, non si trattava di un’ atto “generoso”
Alla luce dei fatti che seguirono, don Angelo Tagliaferro non si rivelò, purtroppo, quel generoso donatore che voleva sembrare all’inizio. Forse, se il Padre avesse potuto seguire il caso personalmente ancore per qualche mese, l’epilogo avrebbe potuto essere diverso, ma il Vescovo del Sudan aveva fretta di ritornare in sede.
Poiché, purtroppo, sono pochissime le lettere di Sembianti a Comboni pervenute fino a noi, non è così facile ricostruire ora fedelmente tutta la vicenda e capire perché, alla fine, un progetto così importante non poté andare in porto. Al contrario, purtroppo,
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sarebbe stato soltanto causa di incomprensioni, anche gravi, fra Daniele Comboni e Luigi di Canossa…
Il commiato del Padre
“Io sono impaziente di volare alla mia destinazione, benché sia molto stanco e affaticato”… (S, 6115).
Rientrato a Verona ai primi di novembre 1880, dopo essere stato anche a Roma, Daniele Comboni si dedicò anima e corpo alla preparazione di quella che sarebbe stata la sua ultima partenza.
Si trattava, prima di tutto, di stabilire chi sarebbe andato con lui. Nella casa di S. Maria in Organo si trovavano, in quel momento, 8 professe, 6 novizie e 8 postulanti, fra le quali Virginia Mansur. Il Fondatore decise di prendere con sé almeno cinque nuove missionarie, due delle quali, però, ancora novizie. Un possibile inconveniente che egli giudicò poter ovviare ammettendo alla prima professione - il 14 novembre – dopo un solo anno di noviziato, le due piemontesi Francesca Dalmasso e Rosalia Conte.
A Trieste, però, dove il 17 novembre sarebbe partito il primo gruppo, egli aggiunse alla comitiva anche una giovane viennese, cioè Anna Kubitschek.
Daniele Comboni, che l’accompagnò personalmente fino al porto, l’aveva conosciuta a Vienna, dove le Orsoline di quella città gliela avevano presentata come una sicura vocazione missionaria.
Per motivi che non sono rimasti documentati, il Fondatore preferì evitare, per lei, il passaggio da Verona. Era meglio farla andare direttamente al Cairo, dove intendeva aprire un terzo noviziato femminile, a carattere internazionale…
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