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L’espansione missionaria in Africa dopo la Mahdia

Nel documento Pie Madri della Nigrizia (pagine 77-80)

AMN, 29: 1898-1932

3.1. Fine della Mahdia e ritorno in Africa Centrale

Costanza Caldara si trovava in Egitto da poco più di un mese quando la notizia, tanto attesa e desiderata, rimbalzava da un giornale all’altro in Egitto e in Europa: l’armata anglo-egiziana, penetrata in territorio sudanese fin dal mese di aprile precedente, si era finalmente impegnata nello scontro decisivo con le truppe mahdiste e le aveva sconfitte.

Il 3 settembre 1898, a Khartum, su quella che era stata la sede della Missione cattolica e che ora veniva occupata dal nuovo Governo locale, si alzava ancora una volta la bandiera britannica.

Era un avvenimento che, anche per le due congregazioni missionarie comboniane, veniva a portare molti cambiamenti. Suor Costanza, dal Cairo, lo avvertì immediatamente. Non si trattava più, ora, di limitarsi a visitare le comunità femminili esistenti in Egitto – che lei fra l’altro conosceva già – ma soprattutto di preparare anche per le Pie Madri il ritorno nelle missioni dell’Africa Centrale.

Saggia e avveduta, ma soprattutto fedele al “Piano” del Padre, suor Costanza aveva subito scritto a mons. Roveggio, residente in Assuan, per avere da lui il permesso di contrattare un maestro di arabo per tutte le sorelle che già si trovavano in Egitto, in attesa di poter riprendere il cammino verso la Missione.

1899: si riapre la porta del Sudan

Anche il Vicario apostolico, da parte sua, non intendeva perdere tempo. Appena ricevuto il permesso di Lord Kitchener, ora Comandante supremo in Sudan, aveva mandato i padri Ohrwalder e Banholzer a Khartum, per una prima ricognizione. Scopo principale del viaggio, evidentemente,

“era la scelta di un terreno per la fondazione di una nuova stazione di missione nella capitale del Sudan, avendo la nostra missione dovuto cedere al governo Anglo-egiziano … tutta la vasta area di terreno, che ivi possedeva dai tempi … di mons. Comboni” (La Nigrizia, ottobre 1899, pag. 161).

L’autorizzazione per tale viaggio non era stata facile da ottenere, perché l’azione militare – a causa della fuga del califfo Abdullahi – non era ancora conclusa. Alla fine, però, il permesso era stato accordato per il secondo semestre 1899.

78 La tomba profanata

Partiti da Scellal verso la fine di settembre, i due missionari erano giunti a Khartum circa una settimana dopo. Lord Kitchener, il “Sirdar” (comandante), li ricevette

“gentilmente” e, udito il motivo del viaggio, disse loro che li avrebbe accompagnati personalmente a Khartum con il suo battello.

Dopo aver visitato i due terreni proposti per la nuova residenza dei missionari cattolici, ed essere ritornati dal “Sirdar” per pregarlo di attendere il parere di mons.

Roveggio prima della scelta definitiva, i due viaggiatori si presero il tempo di tornare a rivedere la “vecchia missione”. E qui, purtroppo, li aspettava un’amara sorpresa:

“Anche al presente, come una volta – si legge nella relazione pubblicata il mese seguente dalla Nigrizia -, si entra pel portone di ferro nel grande giardino della missione. Tutto è in uno stato miserando … Il sepolcro di mons. Comboni non è più riconoscibile se non per un mucchio di mattoni che vi sono sopra. Poco tempo fa esisteva ancora l’obelisco, che gli amici di mons. Comboni in Chartum avevano fatto erigere sulla sua tomba. Questo obelisco ed un’altra tomba di missionari vennero distrutti recentemente. Dopo due giorni di scavi non potemmo trovare che alcuni rimasugli di ossa dell’Eroe africano, che, raccolte con ogni venerazione, portammo con noi ad Assuan”… (pag. 17).

Il prezzo del ritorno

Per molto tempo si pensò - e lo si scrisse anche – che la distruzione delle tombe fosse stata opera dei mahdisti. Invece quella profanazione “recente” si rivelò, alla fine, come il prezzo del ritorno dei missionari cattolici a Khartum. Secondo una testimonianza importante, infatti – quella del padre Robert Brindlor, allora cappellano dei soldati cattolici nell’esercito inglese – all’arrivo degli Inglesi a Khartum nel settembre 1898, la toma del vescovo Comboni era ancora intatta.

Molto probabilmente – come scrisse R. Ballan nelle “Note Mazziane” di aprile-giugno 2007 – chi aveva interesse a impadronirsi di quella che era stata la proprietà della Missione cattolica austro-ungarica, ritenne opportuna quella distruzione per dissuadere gli eredi di Daniele Comboni dall’esigerne la restituzione.

E questo spiegherebbe anche perché, all’arrivo dei padri Ohrwalder e Banholzer, il

“Sirdar” si mostrò così premuroso nell’offrire un nuovo terreno, ma anche nell’esigere una risposta immediata da parte della Missione.

Anche le Pie Madri si preparano a tornare

Fin dal gennaio 1900 – un mese dopo che egli stesso si era stabilito a Omdurman – mons. Roveggio aveva scritto a Maria Bollezzoli per dirle che, al più presto, avrebbe fatto partire anche le suore. Di preferenza, desiderava che fossero due “veterane”, cioè Francesca Dalmasso e Caterina Chincarini. Quest’ultima però, reduce da una prigionia durissima durata quasi dieci anni, aveva fatto capire che non si sentiva ancora pronta a ritornare sul posto. Suor Francesca invece, che non aveva vissuto il trauma della prigionia mahdista, non soltanto era pronta, ma anche impaziente di ritornare sul campo che aveva

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dovuto lasciare dopo la morte del Padre. Con lei, alla fine – non dimentichiamo che Fortunata Quascè e Maria Caprini erano già morte – andò Maria Bonetti.

Secondo il programma previsto, le sorelle avrebbero dovuto partire nella primavera del 1900. Invece, a causa di una imprudente pubblicazione del padre Weiller – non gradita dall’Inghilterra – i permessi richiesti non furono concessi.

Grazie, comunque, anche alla mediazione di Rudolf Slatin, alla fine le autorità competenti acconsentirono che il vescovo Roveggio potesse condurre a Omdurman almeno due maestre cattoliche, laiche, per l’educazione “delle fanciulle cattoliche”.

Ora, a chi poteva rivolgersi, per questo, mons. Roveggio?

1900: si torna in Sudan come maestre “laiche”

Non sappiamo in quali termini il Vescovo, portatosi in Cairo, presentò il problema a Francesca Dalmasso – che attendeva di poter partire per il Sudan – e a Costanza Caldara, delegata della Superiora generale in Egitto. La soluzione, comunque, fu quella di far entrare due suore in Sudan senza l’abito religioso, facendole passare per maestre “laiche”.

A quel punto, non restava che fare i preparativi per la partenza…

Come sappiamo, questa ebbe inizio il 22 ottobre 1900. “Viaggiarono in un carrozzone da bovini, – si legge negli appunti di Ermenegilda Morelli – quindi scoperto e come in una gabbia. Era con loro il padre Tappi ed altri, le suore si tenevano separate dai padri stendendo una coperta su una corda tesa attraverso il carrozzone. Riposavano su piccoli materassi stesi in terra, esposte a tutti i rischi di una insolazione. Il corredo speciale pel viaggio che forniva madre Matilde Lombardi, allora Provinciale, era: un ombrello grigio, occhiali verdi ed un ventaglio per superare il caldo soffocante e trovare respiro”… .

Quasi quarant’anni dopo, suor Maria Bonetti ricordava: “Arrivammo ad Halfaya il 30 [ottobre]; là trovammo il R. P. Ohrwalder con due fratelli meccanici, Giovanni e Clemente … venuti col Redemptor [nuovo vaporetto della missione] per condurci ad Omdurman, ed arrivati che fummo, prendemmo gli asini per recarci alla casa della missione … Quel giorno lo passammo nella casa dei Reverendi, e verso sera andammo nella casa della signora Vittoria [Trampa], la quale si trovava in Cairo col suo marito per un cambiamento d’aria, e ci stemmo fin verso la metà di novembre. Le prime nostre opere apostoliche furono la scuola e gli ammalati, che incominciarono al 1° dicembre. Per nove mesi siamo rimaste noi due sole, dopo venne suor Mary [Erspan]”… .

Prima comunità femminile in Omdurman

Non è stata rinvenuta, purtroppo, la cronaca di quella prima comunità aperta in Omdurman con due sole sorelle. L’abitazione definitiva che le accolse, secondo i

“Ricordi” di Ermenegilda Morelli, consisteva in “una casetta ed una scuola” costruite col fango “ma fornite di un ampio porticato capace di una sessantina di ragazze. Di più vi erano due cortili, uno per le suore, l’altro per le ragazze. L’abitazione era divisa da un alto muro dall’abitazione dei Padri. Per andare in chiesa, una porticina le ammetteva nel cortile dei Padri”… .

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3.2.

Nel documento Pie Madri della Nigrizia (pagine 77-80)