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Apprendere nelle Comunità di pratica

“Oltre l'aula” Metodologie formative e orientative innovative per la formazione continua

2. Apprendere nelle Comunità di pratica

L'idea di formazione nell'organizzazione presuppone una teoria dell'apprendimento come processo sociale che introduce un punto di vista teorico e interpretativo relativamente nuovo: quello di Comunità di pratica. Il costrutto 'Comunità di pratica' nasce alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso nel campo degli studi

257 Montedoro, D. Pepe, F. Serra, “La formazione oggi: ruolo e prospettive”, cit., p. 16 258 Ivi.

259 Cfr. A. Alberici, La possibilità di cambiare. Apprendere ad apprendere come risorsa strategica per la

vita, FrancoAngeli, Milano, 2008.

260 A. Alberici, “Prospettive epistemologiche. Soggetti, apprendimento, competenze”, cit.

261 V. Sarracino, “Progettare la formazione”, in V. Sarracino, M.R. Strollo (a cura di), Ripensare la

sull'apprendimento e costituisce uno degli sviluppi più interessanti delle elaborazioni legate al filone interpretativo che considera le organizzazioni come degli insiemi caratterizzati dalla loro capacità di apprendimento.262

Massimo Tomassini definisce le Comunità di pratica come aggregazioni informali di

limitate dimensioni, all'interno di contesti organizzativi più ampi i cui membri condividono modalità di azione e interpretazione della realtà in cui operano263.

Le grandi organizzazioni, da questo punto di vista, comprendono diverse Comunità di pratica che sono variamente intrecciate tra loro e quindi possono essere considerate come delle comunità o “costellazioni” di comunità di pratica264.

La Comunità di pratica si caratterizza, in primo luogo, per la realizzazione di una intrapresa comune. Come membri di una Comunità di pratica (cosa molto frequente nella nostra vita e nel nostro lavoro) si deve far fronte a obiettivi comuni e si deve negoziare continuamente all'interno le modalità della loro realizzazione265.

I membri di una Comunità di pratica collaborano guidati da un senso di appartenenza frutto della condivisione di una determinata cultura, di un linguaggio, di un vocabolario, di un modo di esprimersi, di una stessa modalità di interpretazione degli eventi che si presentano, quasi fossero un unico “organismo vivente” che si adatta e si evolve seguendo una logica evoluzionistica266. Il risultato è la creazione di nuova conoscenza attraverso un “apprendimento organico” della Comunità di pratica267.

Le Cominità di pratica generano valore per gli individui e per l’organizzazione in diversi modi:

- identificando, migliorando e prospettando nuove aree di sviluppo e nuove strategie d’impresa;

- contribuendo a risolvere velocemente i problemi (ogni membro conosce a chi chiedere aiuto per focalizzare un problema e il modo di risolverlo);

- trasferendo rapidamente le best practices attraverso la rappresentazione di un forum di condivisione e diffusione all’interno dell’impresa, del gruppo e del settore;

- sviluppando e migliorando le competenze professionali di ogni lavoratore tramite il

262 D. Lipari, “Metodi della formazione 'oltre l'aula': apprendere nelle comunità di pratica”, in Isfol, La

riflessività nella formazione: modelli e metodi, cit.

263 M.Tomassini, Comunità di pratica e reti professionali, Presentazione di una metodologia di

autovalutazione dell’apprendimento organizzativo applicata al sistema sanitario dell’Emilia Romagna su www.webquest.it

264 Ivi. 265 Ivi.

266 M. Bianchini, “Le Comunità di Pratica favoriscono il Knowledge Management...”... ovvero

l’innovazione e l’apprendimento individuale ed organizzativo, in www.itconsult.it/knowledge/articoli/

pdf. 267 Ivi.

modello “artigianale”, in cui l’apprendista impara dal suo “maestro di mestiere”. Un efficace e duraturo apprendimento del singolo dipende dalla disponibilità dei colleghi più esperti e dalla loro capacità di agire come coaches268.

Domenico Lipari descrive il costrutto di Comunità di pratica attraverso un ragionamento orientato ad esaminare due concetti fortemente intrecciati tra di loro, grazie ai quali è possibile pervenire ad una definizione di Comunità di pratica: il primo concetto riguarda la dimensione dell'apprendere; il secondo esplora la nozione di pratica.

Etienne Wenger parlava di una “teoria sociale dell'apprendimento” in cui si mette in evidenza la necessità di andare oltre le visioni classiche che descrivono l'apprendimento come strettamente legato alla sfera individuale (oltre che associato a specifiche relazioni di insegnamento del tutto separate dalla pratica): gli attori sociali - con le loro vite e gli innumerevoli mondi che abitano - sono immersi in una realtà preesistente rispetto a loro e che si pone davanti alla loro esperienza con tutte le sue oggettivazioni (il linguaggio, le regole, le norme, le istituzioni, le tradizioni, ecc.)269.

E' la complessa realtà che funge da punto di riferimento orientativo per l'azione di tutti e che impegna l'esperienza dei soggetti conoscenti i quali, per diventare attori sociali, sono chiamati a confrontarsi con essa per appropriarsene270.

L'apprendimento altro non è che il modo in cui l'esperienza soggettiva degli attori entra in relazione con il mondo, caratterizzato non solo dalle oggettivazioni storicamente e culturalmente date, ma anche da altri attori che sono al mondo e del mondo fanno esperienza271. Ma , oltre la dimensione sociale, l'apprendimento ha un “carattere situato” in quanto queste relazioni avvengono in un luogo determinato, ed “esperienziale” e “pratico”. Viene ad emergere un'interpretazione in cui l'apprendimento si configura secondo Wenger come un processo di 'partecipazione sociale' fondato sulla pratica nel quale entrano in gioco272:

- l'acquisizione di competenze (tecniche e relazionali) situate; - la costruzione dell'identità individuale e sociale;

- l'attribuzione di significato dall'esperienza;

- il riconoscimento dell'essere parte di un insieme che, nella pratica - come scrive Lipari

268 Ivi.

269 D. Lipari, “Metodi della formazione 'oltre l'aula': apprendere nelle comunità di pratica”, in Isfol, La

riflessività nella formazione: modelli e metodi, cit.

270 Ivi. 271 Ivi. 272 Ivi.

- condivide saperi, valori, linguaggi e identità.

Il fondamento dell'apprendere risiede dunque nella partecipazione sociale ad una pratica, la quale può essere schematicamente tematizzata come l'insieme delle condotte degli attori sociali impegnati nelle più disparate attività di relazione con il mondo/contesto273. La pratica che può essere definita come un “processo d'azione stabilizzato e al tempo stesso dinamico”274 ha luogo in un contesto storico-sociale determinato e coinvolge individui e gruppi nello svolgimento di attività le cui caratteristiche tecniche, operazionali e di significato si strutturano, nel tempo, consolidandosi in abitudini che a loro volta, nella misura in cui si fissano nella memoria collettiva, diventano tradizioni e quindi anche punto di riferimento per l'azione dei membri del gruppo275.

La pratica coinvolge integralmente i soggetti impegnati in essa in modo che esclude distinzioni e dicotomie tra mente e corpo, tra teoria ed azione. Il concetto di pratica descrive il fare “ma non solo il fare in sé e per sè”276. È il fare in un contesto storico e sociale che dà struttura e significato alla nostra attività. In questo senso, la pratica è – secondo Lipari – sempre pratica sociale, include sia l'esplicito che il tacito. Ossia include ciò che viene detto e ciò che non viene detto, ciò che viene rappresentato e ciò che viene assunto come ipotesi. Include il linguaggio, gli strumenti, i documenti, le immagini, i simboli, i ruoli ben definiti, i criteri specifici, le procedure codificate, le normative interne e i contratti che le varie pratiche rendono espliciti per tutta una serie di finalità. Non solo, “include tutte le relazioni implicite, le convenzioni tacite, le allusioni sottili, le regole empiriche inespresse, le intuizioni riconoscibili, le percezioni specifiche, le sensibilità consolidate, le intese implicite, gli assunti sottostanti e le visioni comuni del mondo”277.

La pratica è il fondamento dei processi di apprendimento, il punto di riferimento costitutivo e strutturante di una comunità sociale e anche la fonte principale della produzione sociale di significato. Secondo Wenger ogni condotta pratica non è riconoscibile alle funzioni meccaniche associate al fare qualcosa, perchè oltre al corpo ed alla mente, coinvolge anche “ciò che dà significato ai movimenti dei corpi e ai meccanismi dei cervelli”278.

273 Ivi. 274 Ivi., p. 361 275 Ivi.. 276 Ivi, p. 361 277 Ivi., pp.361-362

278 E. Wenger, “Communities of practice. Learning. Meaning and Identity, Oxford University Press, Oxford, 1998.

In questo contesto, la Comunità di pratica può essere interpretata come “un'aggregazione informale di attori che, nelle organizzazioni, si costituiscono [...]

attorno a pratiche di lavoro comuni nel cui ambito sviluppano solidarietà organizzativa sui problemi, condividendo scopi, saperi pratici, significato, linguaggi e generando, per questa via, forme di strutturazione dotate di tratti culturali peculiari e distintivi”279. Tale aggregazione dà vita a dei gruppi che nella pratica e attraverso la pratica, elaborano significati comuni, apprendono, costruiscono la loro identità soggettiva e collettiva. Tali gruppi280:

- nascono attorno ad interessi di lavoro condivisi e si costituiscono come esito di forme di negoziazione tra gli attori coinvolti sul senso delle pratiche in cui sono impegnati; - sono legati dalla consapevolezza di partecipare ad un'impresa comune e, quindi, si alimentano di contributi reciproci;

- dispongono di un “set di risorse condivise dalla comunità per enfatizzarne il carattere sperimentato e la disponibilità per un ulteriore coinvolgimento nella pratica [...]: è l'insieme [...] di linguaggi, routine d'azione, storie, valori strumenti ed oggetti specifici che caratterizzano il gruppo come comunità e fissano [...] l'esperienza e la storia stessa della comunità”281;

- attraverso la partecipazione alla pratica definiscono l'identità individuale e collettiva, intesa come esperienza negoziata, come appartenenza alla comunità, come traiettoria di apprendimento, come relazione tra globale e locale.

- Tali gruppi, inoltre, sono tenuti in vita da un presupposto di fondo: l'attenuazione dei vincoli organizzativi di tipo gerarchico;

- durano fino a quando persistono gli interessi comuni.

Un aspetto essenziale dell'interesse per le Comunità di pratica riguarda i fenomeni dell'apprendimento.

Le Comunità di pratica non esistono in natura, sono modelli di interpretazione di realtà sociali che possono contribuire a meglio comprendere e intervenire sulle realtà stesse282. Ciò che si deve mettere a fuoco quando si utilizza il costrutto “Comunità di pratica” è che esso immette su fenomeni di apprendimento, inteso “non in termini di apprendimento individuale o di semplice trasmissione di conoscenze, ma come

279 D. Lipari, “Metodi della formazione 'oltre l'aula': apprendere nelle comunità di pratica”, in Isfol, La

riflessività nella formazione: modelli e metodi, cit, p. 364.

280 Ivi. 281 Ivi, p. 365

apprendimento che fa tutt'uno con la pratica e con il tessuto di relazioni in cui la pratica è inserita generando opportunità di innovazione”283. Tali opportunità vengono colte nei diversi ambienti in cui questi fenomeni hanno luogo.

L'appartenenza ad una comunità è un potente fattore di apprendimento. Il fatto di essere inseriti all'interno del sistema di conoscenza proprio di un contesto organizzativo - in cui funzionano delle routine operative specifiche e si producono soluzioni ai problemi - è il presupposto di forme di apprendimento più o meno estese284. Apprendimento significa infatti dare significato alla realtà, valorizzare l'esperienza, rinforzare l'identità professionale all'interno del proprio contesto.

La Comunità di pratica è caratterizzata dal suo essere spontanea, dal fatto di generare apprendimento organizzativo e dalla comune identificazione dei suoi membri.

L'apprendimento viene qui concepito non come “trasmissione di conoscenze depositate in testi affinchè questi siano letti [...]”285, ma come un “fenomeno socio-culturale e allo stesso tempo emotivo”286. Partecipare alle attività della comunità è il modo per acquisire conoscenza, per cambiare, per apprendere in situazioni in cui il sapere non è separato dal fare287. Come hanno messo in evidenza Brown e Diguid288 apprendere non è un'attività disgiunta dal lavorare e dall'organizzare, l'apprendimento è connaturato al processo lavorativo stesso.

I teorici, che hanno sviluppato l'idea di apprendimento come fenomeno socio-culturale all'interno di una Comunità di pratica, hanno perfezionato un altro costrutto “l'idea di

partecipazione legittima e periferica che descrive i processi di socializzazione al lavoro

dei novizi”289. Tale espressione si riferisce al fatto che il novizio quando è familiarizzato a una Comunità di pratica290:

– prende parte ad attività lavorative svolgendo compiti dapprima molto semplici e via via più complessi che lo portano a confrontarsi con altre persone;

– è consensulamente ammesso alla comunità. La sua presenza non viene messa in discuissione; egli possiede una legittimità sociale;

– partecipa ad un percorso con gradi diversi di intenzionalità o discrezionalità.

283 Ivi, p.3 284 Ivi.

285 C. Picardo, A. Benozzo, “Lo spazio della formazione di pratiche”, in Bertagni B., La Rosa M., Salvetti F., Società della conoscenza e formazione, FrancoAngeli, Milano, 2006, pp. 118-119. 286 Ivi, p. 119.

287 Ivi.

288J .S. Brown, P. Duguid, “Organitazional learning and community-of-practice: toward a unified view of working, learning and innovation”, Organization Science, 2.

289 C. Picardo, A. Benozzo, “Lo spazio della formazione di pratiche”, p. 119. 290 Ivi.

Questo il significato che vuole trasmettere il termine periferico. Il novizio arriva nel tempo e in maniera graduale a ricoprire ruoli centrali e più complessi, a partire da posizioni “periferiche”. Passando così dalla condizione di novizio a quella di esperto;

– viene in contatto con un linguaggio attraverso il quale comprende e apprende come eseguire il lavoro, quali sono i comportamenti ritenuti appropriati e con quale struttura sociale e di potere si deve rapportare.

L'accesso dei nuovi membri non fa che, da una parte, perpetuare le antiche strutture e, dall'altra, immette elementi di innovazione e casualità che modificano e modellano la comunità291. Sembra che il novizio entri in contatto con un curriculum appreso o un

curriculum situato. L'idea di curruculum situato intende rappresentare la fase della

socializzazione organizzativa durante la quale ai novizi vengono offerte opportunità di apprendimento situate, ossia specifiche di quello spazio e di quel tempo292. Nel momento in cui il neo-arrivato è divenuto esperto ma cambierà l'organizzazione, incontrerà un altro curriculum situato e si troverà in una condizione di partecipazione legittima e periferica.