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Approcci empirici e teorici al tema della qualità democratica

1.3 Democrazia e qualità

1.3.1 Approcci empirici e teorici al tema della qualità democratica

Affrontato il tema della definizione di democrazia e di democratizzazione, con la conseguente moltiplicazione degli stati soggetti al fenomeno, si tratta adesso di entrare nel merito di cosa si deve intendere per democrazia di qualità. In altre parole, una volta che una democrazia è giunta a maturazione, ci si chiede sulla base di quali criteri può essere valutato il livello qualitativo raggiunto.

A tal proposito, nel corso del tempo, sono apparsi sulla scena molteplici approcci teorici di studio. A cominciare ad esempio dallo studio sulla qualità democratica portato avanti da Arend Lijphart (2001) in conclusione del suo lavoro di comparazione tra modelli di regime democratico di natura maggioritaria e natura consensuale (di cui si è già detto nel paragrafo 1.1.2). Dalle ricerche condotte dallo studioso di origine olandese, il livello qualitativo delle democrazie consensuali sarebbe superiore rispetto a quello delle democrazie maggioritarie e il tentativo di dimostrare la propria ipotesi passa per l’analisi di quelli che egli ritiene dei buoni indicatori della qualità democratica.

Per primi considera sia i livelli di rappresentanza femminile nel Parlamento e nel Governo sia l’espansione delle politiche per la famiglia, ritenendo così di individuare un criterio valido per misurare la tutela garantita alle minoranze nel processo democratico (Lijphart 2001, 299). Poi l’attenzione viene concentrata su parametri di natura economica per verificare come incide sulla qualità democratica il peso delle disuguaglianze sociali, e quindi prende in esame l’incidenza delle differenze di reddito come rapporto tra ricchezza e povertà (ivi, 301), oltre che un paio di indici dello sviluppo economico (come citati dalla ricerca di Huntington più sopra riportata), il livello di alfabetizzazione e la percentuale di popolazione urbana (ivi, 302). In seguito il politologo si focalizza sulla partecipazione elettorale, sia come strumento di analisi dell’interesse dei cittadini nell’essere rappresentati, sia come strumento di valutazione dell’ineguaglianza politica, sottintendendo una stretta correlazione tra

partecipazione politica e status socio-economico (ivi, 303), prendendo in esame il rapporto tra elettori che si recano alle urne e cittadini in età per esprimere il diritto di voto. Successivamente sposta il focus più direttamente sull’incidenza del modello di democrazia sul livello di soddisfazione dei cittadini per il loro assetto istituzionale - in tal caso servendosi dei sondaggi di opinione in materia (ivi, 305). È quindi la volta di quella che Lijphart definisce la distanza tra elettori e governo, misurando da un lato la distanza tra la posizione del governo e quella dell’elettore mediano, dall’altro la «percentuale di elettori compresi nella distanza che separa la collocazione del governo rispetto a quella del cittadino medio» (ivi, 307). Poi prende in considerazione sia il livello di responsabilità degli esecutivi di fronte all’elettorato (la precisione con la quale le responsabilità dei governanti possono essere identificate dall’elettorato, che presupponga punizioni nel ciclo elettorale successivo per i partiti che hanno posto in essere politiche inadeguate – i processi di accountability democratica di cui si renderà conto più avanti), sia il livello di corruzione - quanto maggiore è la chiarezza di attribuzione delle responsabilità, tanto minore è il margine di manovra per i fenomeni di corruzione (ivi, 308). Infine, partendo dal presupposto che in sistemi maggioritari caratterizzati da sistema elettorale plurality (first past the post, chi ottiene un voto in più dell’avversario vince, in caso di più di due candidature in un collegio, il vincitore potrebbe accaparrarsi il seggio grazie ad una minoranza di elettori che gli hanno dato fiducia), i rappresentanti in parlamento potrebbero dare la fiducia al governo grazie ad un numero di elettori che li ha espressi strettamente minoritario (ivi, 309), perciò Lijphart si incarica di misurare il sostegno popolare al governo come percentuale di elettori che hanno sostenuto i partiti di governo alle elezioni parlamentari o in alternativa, nei sistemi presidenziali, la percentuale di elettori che ha sostenuto il presidente eletto, ponderando queste percentuali in base alla durata del governo rimasto in carica (ivi, 310). Da questi indicatori Lijphart desume la superiorità qualitativa del modello consensuale rispetto al modello maggioritario.

Ben prima di Lijphart, del tema della qualità della democrazia si era occupato Philippe C. Schmitter (1983), il politologo statunitense, in un saggio sulle pratiche neo-corporatiste e la teoria democratica, sottolinea che a suo parere possono essere evidenziate cinque dimensioni di analisi della qualità del governo democratico:

partecipazione, accessibilità, responsabilità (accountability), reattività (responsiveness) e competizione. Schmitter (1983, 387-389), basa le proprie argomentazioni approntando una griglia concettuale che prende in considerazione per un verso le unità di riferimento, per l’altro le modalità di governo. Quanto alle prime il politologo le individua nei cittadini da un lato e nelle autorità pubbliche dall’altro. Quanto alle seconde, ispirandosi al discorso di Gettysburg di Abramo Lincoln (1863), secondo cui la democrazia rappresenta «l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo», Schmitter individua due modalità di governo: «del popolo» e «per il popolo». Dall’incrocio di questi canoni si ottengono le cinque dimensioni di analisi sopra enumerate (tab. 1.8). Più in dettaglio, se il governo è «del popolo» ne segue che la

partecipazione considera il punto di vista dei singoli cittadini, questi ultimi sarebbe

necessario avessero un ruolo attivo e uguale quando le decisioni collettive vengono prese. Di converso, l’accessibilità presuppone che l’ottica delle autorità pubbliche sia orientata a prendere in considerazione le opinioni e le istanze di tutti i cittadini, non differenziando per il grado di organizzazione che essi dimostrano nel momento nel quale si mobilitano per determinate domande soggette a decisioni pubbliche. Ma se il governo è «per il popolo», allora da un lato emerge l’accountability, ossia la molteplicità dei meccanismi di decisione, e prima ancora di consultazione (tra i quali spiccano le elezioni), tramite cui i cittadini sono chiamati a valutare la ‘responsabilità’ dei governanti. Dall’altro è necessario un adeguato grado di responsiveness da parte dei governanti, intesa come ‘reattività’ della classe dirigente tesa a garantire il soddisfacimento delle esigenze provenienti dai cittadini, conseguendo così piena legittimazione nell’esercizio del potere pubblico. Secondo Schmitter infine, la dimensione sottostante alle quattro dimensioni di analisi testè enumerate è la

competitività, proprio perché influenza sia le unità di riferimento sia input e output del

governo (ivi, 389).

Tab. 1.8 Le qualità del governo democratico

Modalità di governo

«del popolo» «per il popolo»

Cittadini Partecipazione Responsabilità

Unità di riferimento Competitività

Autorità pubbliche Accessibilità Reattività

Sul tema della qualità democratica anche Gianfranco Pasquino propone alcune riflessioni, partendo dal convenire con Schmitter sull’approccio adottato da quest’ultimo, che il politologo italiano così sintetizza:

Quando la democrazia, che è sempre governo dal popolo, vale a dire fondata sul libero voto dei cittadini, è governo del popolo, allora pretende che i cittadini partecipino e che le autorità siano accessibili. Quando la democrazia è governo per il popolo, allora pretende che esistano meccanismi attraverso i quali i cittadini vengano messi nella condizione di valutare i governanti e di esigere che le autorità rispondano alle loro preferenze. Al cuore di questi rapporti sta la competitività, che è assicurata dai procedimenti elettorali e che consente ai cittadini di esercitare la loro influenza e alle élite politiche di concorrere fra loro per ottenere il voto e il sostegno dei cittadini elettori (Pasquino 2004, 334).

D’altro canto però Pasquino non condivide il taglio dato da Lijphart (2001) alla trattazione del tema della qualità, basando la sua critica sia sul merito (Pasquino è un assertore del metodo maggioritario), sia sul metodo, non condividendo i parametri scelti dal politologo olandese per la misurazione della qualità. Diversamente Pasquino (2003) ritiene che il punto nodale della qualità di un sistema democratico risieda in quella che egli definisce governabilità, altrimenti detta la capacità di coniugare stabilità politica da una parte ed efficacia decisionale dall’altra. Procedendo all’analisi dei due fattori considerati, Pasquino sostiene che dei buoni indicatori della stabilità politica siano da un lato la durata in carica di persone e autorità (con particolare attenzione al capo del governo), dall’altro dalla persistenza nel sostegno all’esecutivo da parte del medesimo partito o della stessa coalizione (ivi, 146). Contestualmente si sottolinea che l’eventuale instabilità politica, oltre a ripercuotersi negativamente sulla efficacia decisionale, limita sia l’identificabilità da parte dell’elettorato dei governanti (anche solo potenziali) in rapporto ai loro meriti (piuttosto che demeriti), ma al tempo stesso, incide sulla responsabilizzazione proprio dei governanti, e perciò sull’accountability, intesa come la possibilità di chiamare i governanti a rendere conto del proprio operato (ivi, 150). Secondo Pasquino la mera distinzione tra visione maggioritaria e proporzionalistica è insufficiente a definire i contorni della valutazione relativa a identificabilità e accountability, infatti richiamandosi alla teoria di Tsebelis (2002) sui veto player, Pasquino sostiene che ogni sistema di governo è influenzato sia

dal sistema elettorale di elezione dei rappresentanti (ed eventualmente governanti) sia dal numero di attori istituzionali in grado di incidere sulla autonomia di decisione dell’esecutivo, stabilendo così una correlazione inversa tra numero di veto player e grado di governabilità, cioè il grado di governabilità si riduce all’aumentare del numero di veto player. Al tempo stesso la medesima correlazione inversa si stabilisce tra numero di partiti al governo e chiarezza nella definizione della responsabilità delle scelte. Sarebbe quindi impossibile che i governanti rendano conto nel caso di governi coalizione? Non esattamente. Se infatti tra un’elezione e quella successiva non esiste

turn-over di partiti a sostegno della maggioranza di governo e il numero dei partiti a

sostegno della coalizione è ridotto, allora i governanti sono in condizione di rendere conto con chiarezza del proprio operato, specie se si trovano di fronte una coalizione di opposizione anch’essa stabile nella composizione partitica e dal programma politico alternativo a quello del governo. Riassumendo si può dire che l’identificabilità della posta in gioco e la valutazione delle responsabilità dei governanti deve essere valutata in base alle caratteristiche sistemiche: a cominciare dal sistema elettorale - maggioritario oppure proporzionale (Powell 2000), forma di governo (elezioni diretta o indiretta del capo dell’esecutivo), numero di veto player (valutando quindi l’incidenza della accountability interistituzionale sull’operatività del governo, concetto sul quale si tornerà più avanti), sistema partitico (valutandone il grado di competizione e distinguendo tra sistema bipartitico o multipartitico e all’interno di quest’ultima tipologia differenziando nel caso in cui l’aggregazione di partiti in coalizioni di governo sia preventiva o successiva agli esiti delle elezioni) (ivi, 162).

Detto delle posizioni espresse da Lijphart, Schmitter e Pasquino, è il caso di sottolineare che si cimenta nello studio della qualità democratica anche Wolfgang

Merkel (2008), il quale delinea (Merkel e Giebler 2009) una sorta schema ‘a cascata’

delle dimensioni di analisi della qualità democratica, partendo da una differenziazione tra tre tipi di democrazia: elitista, partecipativa e sociale, schemi declinati sulla scorta sia del concetto radice di democrazia legato a ciascuno dei tipi, sia delle differenze derivanti dalle sfaccettature delle tre dimensioni democratiche rinvenute da Lincoln (e sopra citate), sia infine relativamente allo scopo finale che i tre modelli si prefiggono. Al vertice della ‘cascata’ il politologo svizzero pone quelli che egli ritiene i tre principi

fondanti della democrazia, cioè l’uguaglianza (intesa come concessione a tutti i cittadini dei diritti politici marshalliani), la libertà (rimanendo alla tipologia di Marshall, intesa come diritti civili in capo al popolo) e controllo (in questo caso è chiaro il riferimento al sistema costituzionale fondato sulla suddivisione dei poteri e l’opera di sorveglianza dell’uno circa l’operato dell’altro). Ad ogni elemento fondante, Merkel fa corrispondere tre diverse funzioni e per ognuna di queste due diverse componenti. L’uguaglianza è differenziata sulla scorta di tre funzioni: la trasparenza (che ha quali componenti: visibilità del processo politico e assenza di corruzione), la partecipazione (scomponibile in uguaglianza di partecipazione e responsività partecipativa) e infine l’inclusione (composta da suffragio universale e non distorsione delle preferenze) (ivi, 13). La libertà ha tre diverse funzioni: rule of law (riconducibile all’uguaglianza di fronte alla legge e alla qualità del sistema giudiziario), libertà individuale (all’interno della quale convivono sia la protezione proveniente dal governo che il mutuo riconoscimento dei cittadini), opinione (o, per dirla con Merkel, voce) pubblica (nella doppia componente della libertà di associazione e libertà di opinione) (ivi, 14-15). Infine il controllo si dipana attraverso tre funzioni: autonomia governativa (sottoforma di piccole limitazioni del potere costituzionale e risorse di autonomia governativa), accountability orizzontale (freni e contrappesi di statunitense memoria costituzionale ed efficacia dei parametri costituzionali), accountability verticale (in chiave di apertura e contestabilità6) (ivi, 16-17).

6 Questa rappresenta una delle dimensioni di analisi che Stefano Bartolini (1996b, 1999 e 2000) rileva nella studio della competitività, argomento che sarà sviluppato più avanti, nei paragrafi relativi alle dimensioni di analisi della qualità democratica.