Accountability elettorale e struttura della competizione
3.2 Astensionismo e partecipazione elettorale
Dopo la panoramica sulle regole che nel corso degli anni hanno disciplinato le elezioni regionali, è giunto il momento di analizzare la forma di comportamento politico più semplice per gli elettori, vale a dire la possibilità di recarsi a votare o meno. I cittadini maggiorenni regolarmente iscritti alle liste elettorali hanno il diritto di recarsi alle urne per esprimere un voto sulle alternative politiche in competizione, e tutti coloro i quali decidono di non esercitare questo diritto rientrano nella platea degli astensionisti. Nell’ambito dell’astensionismo talvolta si tende ad estendere il concetto anche agli elettori che, pur recandosi al seggio, annullano la scheda o la depositano intonsa nell’urna, parlando così di astensionismo in senso ampio, e con riferimento alla specifica tipologia di aventi diritto così mobilitati (partecipanti alle elezioni, ma non alla decisione sulla composizione delle assemblee), Lancelot (1968) sviluppò la tipologia dell’astensionismo civico. A questo proposito una classificazione degli astensionisti, sfumata a seconda delle varie sfaccettature, la si deve a Nuvoli e Spreafico (1987), i quali accanto all’elettorale integrato (colui che si reca a votare esprimendo un voto valido), collocano l’elettore apatico (ricettivo verso le scelte compiute, ma recalcitrante nel recarsi alle urne), l’elettore protestatario (che si limita a recarsi alle urne per respingere le alternative in campo, con lo strumento della scheda bianca o nulla), l’elettore alienato (che non accetta le alternative in campo e non si reca a votare).
Volendo sintetizzare analiticamente le varie ‘facce’ del fenomeno, Raniolo (2007b) propone tre criteri sottesi alle classiche classificazioni tipologiche: in base al primo la distinzione tra chi partecipa e chi non lo fa più essere ridotta alla dicotomia scelta/necessità, che riguarda il grado di libertà che l’elettore ha di astenersi o recarsi alle urne; il secondo tipo richiama le motivazioni della scelta espressa, ossia se il motivo dell’astensione sia riconducibile all’apatia (quindi al disinteresse) oppure alla protesta (quindi la disapprovazione dei comportamenti mantenuti da istituzioni e personale politico), la quale viene distinta in: a) non voto ideologico, come rifiuto della politica ed opposizione al sistema nella sua interezza, b) non voto strategico di tipo punitivo, dai caratteri congiunturali, rivolto ad un dissenso nei riguardi delle scelte
effettuate dal partito cui ci si sente più vicini, c) non voto da re-identificazione, tappa centrale nel cambio di scelta partitica tra una formazione politica e un’altra; infine l’ultimo criterio attiene all’arco temporale di riferimento, più precisamente alla stabilità che la scelta astensionista assume col passar del tempo, dunque se si tratta di una defezione occasionale che si estrinseca in astensionismo fluttuante, oppure se la scelta è duratura e quindi riveste natura permanente.
Sia che questa decisione (Mannheimer e Sani 1987) dipenda da fattori tecnici (i cosiddetti motivi di forza maggiore che impediscono oggettivamente all’elettore di recarsi a votare), da fattori sociali (il modello che nella letteratura fa riferimento alla perifericità del cittadino dal punto di vista reddituale, lavorativo, residenziale, culturale), da fattori politici (organizzazione dei partiti ed importanza della posta in gioco), in ogni caso può influire in maniera determinante sull’esito della competizione. Nei fatti il meccanismo di accountability sarà tanto più efficiente quanto più stabile sarà il bacino elettorale che tra un’elezione e la successiva decide le sorti della contesa. L’astensionismo, sotto questo profilo, può qualificarsi come uno strumento indiretto di accountability, nel caso in cui si intenda punire i rappresentanti e governanti uscenti, senza per questo voler premiare i concorrenti, ritenuti inadeguati dagli elettori.
Da qui in avanti saranno presi in considerazione i dati relativi al rinnovo dei Consigli regionali di Toscana e Calabria dal 1970 al 2010. Più precisamente, per quanto riguarda l’analisi sull’astensionismo, saranno analizzati gli andamenti di astensionismo in senso stretto, il livello dei voti non validi (schede nulle sommate alle bianche) e il trend relativo alle schede bianche.
Cominciando dalla Toscana, i dati della tabella 3.1 sono piuttosto significativi e consentono di distinguere due diverse fasi nell’estrinsecazione del fenomeno, da un lato il periodo compreso tra il 1970 e il 1990, caratterizzato da una forte stabilità nei tassi di astensionismo, e il periodo successivo, dal 1995 al 2010 che vede un brusco aumento dei livelli toccati dal fenomeno. Con maggiore precisione, quanto ai non votanti (rapportati al numero di aventi diritto), dalla tabella 3.1 si evince che il tasso di astensionismo è stato ben al di sotto del 10% dal 1970 fino al 1985, per poi superare di poco tale soglia nel 1990, la percentuale di voti non validi (in rapporto agli aventi
diritto) fino al 1985 non superava il 5%, per poi sfondare di poco la soglia del 6% nelle elezioni del 1990, con una componente relativa alle schede bianche che si è mantenuta al di sotto del 3% fino al 1985 e poco al di sopra nel 1990.
Tab. 3.1 Tassi di astensionismo (non votanti, voti non validi, schede nulle, in rapporto agli elettori) registrati per il rinnovo del Consiglio regionale della Toscana tra il 1970 e il 2010
Anno Non votanti (%) Voti non validi (%) Bianche (%)
1970 4,1 3,6 2,5 1975 4,2 3,2 2,2 1980 6,9 4,8 2,8 1985 7,2 4,5 2,5 1990 10,4 6,2 3,2 1995 14,8 6,9 3,0 2000 25,4 5,8 1,6 2005 28,6 3,0 1,1 2010 39,3 2,0 0,7
Rielaborazione basata sui dati dell’Archivio Storico delle Elezioni del Ministero degli Interni: <http://elezionistorico.interno.it/> e dell’Archivio Elettorale del Consiglio Regionale della Toscana: <http://www.consiglio.regione.toscana.it/POLITICA/ARCHIVIO-ELETTORALE/DEFAULT.ASP>
Nei primi venti anni di regionalismo la Toscana è ancora inserita pienamente in un contesto di alta aggregazione politica dovuta al dominante partito comunista che, grazie alla costruzione di un solido modello subculturale, riesce a mobilitare ingenti masse di elettori, l’astensionismo in questa fase si stabilizza su tassi pressappoco insopprimibili, e il numero di voti non validi risulta essere poco significativo, interpretabile però nell’ambito di un civismo diffuso che “trascina” gli elettori alle urne anche quando questi non hanno in animo di votare una qualsiasi delle liste in lizza (scheda bianca). La situazione mostra segni di “scongelamento” dell’elettorato a partire dal ’90, ma non in misura tale da essere preso quale un grave sintomo di crisi del sistema.
La situazione si fa decisamente più seria a partire dal 1995, quando le astensioni crescono di più di 4 punti percentuali rispetto alle elezioni precedenti, cresce il numero di voti non validi, riducendosi quello delle schede bianche. La crescita delle astensioni però in questo caso ha una spiegazione piuttosto immediata e residente nello sconvolgimento del sistema partitico sperimentato nel quinquennio della V consiliatura, il PCI cambia denominazione in PDS e subisce al suo interno una scissione che dà vita a Rifondazione Comunista, comprensibilmente l’elettorato reagisce con smarrimento agli eventi, rifugiandosi nell’astensione. Quanto invece al dato delle schede nulle in aumento (visto il calo delle bianche), questo è
essenzialmente dipeso dalla crescita degli errori materiali nella compilazione della scheda, perché nel frattempo è cambiato il sistema elettorale e nella stessa scheda al fianco della competizione tra le liste, appare quella per le coalizioni, dividendo quindi nettamente l’arena maggioritaria da quella proporzionale, il mancato adattamento istantaneo ai meccanismi di doppio voto e voto disgiunto è plausibile ritenere abbia condotto ad un incremento dei voti non validi.
La situazione ha ben poco di fisiologico e muta drammaticamente tra il 2000 e il 2010. l’apprendimento del nuovo sistema elettorale (ulteriormente semplificato dall’abolizione del voto di preferenza a partire dal 2005) comporta un declino delle bianche e delle schede nulle, dovuta anche alla drastica riduzione della partecipazione civica. Gli elettori che non intendono esprimere un voto ormai non si prendono più la briga di partecipare, restano a casa e con loro altre centinaia di migliaia di elettori, i quali, è il caso di dire, abbandonano in massa le urne. L’erosione della partecipazione è evidente e apparentemente inarrestabile, un quarto degli elettori non si reca alle urne nel 2000 (oltre 10 punti in più rispetto al 1995), la percentuale cresce di circa il 3% nel 2005, per poi sfiorare addirittura la quota del 40% nelle ultime elezioni del 2010. La bassa competitività tra le coalizioni ed un risultato apparso scontato per l’ampliamento del perimetro della coalizione in carica a nuove forze politiche certamente non basta a giustificare un tasso di astensionismo così elevato, indubbiamente impensabile fino anche solo a 15 anni fa. La capacità integrativa del partito comunista si è dissolta, la destrutturazione dei partiti a livello locale ha portato all’abbandono dell’arena elettorale da parte di quasi 2 elettori su 5, un fenomeno che per dirla con Ramella (1999) si snoda tra apatia (quindi disinteresse per la politica) e nuovo civismo (alla partecipazione politica, non più mobilitata dai partiti, si preferisce la partecipazione sociale). Un dato così eclatante può essere anche letto come una sostanziale insoddisfazione di parte dell’elettorato nei confronti di un sistema scarsamente competitivo, nel quale la opposizione dà l’idea di non essere una valida alternativa di governo e di contro la maggioranza, forte del suo predominio, finisce con l’adagiarsi sugli allori, forte del consenso che comunque gode e che al momento appare difficile immaginare di scalfire (vista la distanza tra le due coalizioni, della quale si dirà più avanti nella trattazione). Il trend astensionistico è descritto in figura 3.1.
Fig. 3.1 Tasso di astensionismo nelle elezioni regionali della Toscana (1970-2010) Astensionismo Toscana 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 30,0 35,0 40,0 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 Schede bianche Voti non validi Non votanti
La situazione dell’astensionismo in Calabria (per come si può vedere dalla tabella 3.2) è radicalmente diversa rispetto a quella della Toscana, sia in termini quantitativi, che di andamento nel corso del tempo.
Tab. 3.2 Tassi di astensionismo (non votanti, voti non validi, schede nulle, in rapporto agli elettori) registrati per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria tra il 1970 e il 2010
Anno Non votanti (%) Voti non validi (%) Bianche (%)
1970 18,1 5,5 3,2 1975 16,9 4,5 2,7 1980 22,9 5,6 3,1 1985 21,3 5,6 2,6 1990 24,2 6,1 3,0 1995 31,4 10,4 5,2 2000 35,4 4,5 1,6 2005 35,6 3,4 1,3 2010 40,7 2,9 1,1
Rielaborazione basata sui dati dell’Archivio Storico delle Elezioni del Ministero degli Interni: <http://elezionistorico.interno.it/> e del Consiglio Regionale della Calabria: <http://www.consiglioregionale.calabria.it/hp2/Composizione/consiglieri.asp>
Fin dalle prime elezioni del 1970 la Calabria si caratterizza come una regione ad alto tasso di astensionismo, ben il 18,1% degli aventi diritto non si reca affatto alle urne in occasione della prima elezione del Consiglio regionale, il numero di voti nulli ammontano al 5,5%, le schede bianche si attestano sul 3,2% (tutti i tassi sono espressi in rapporto al numero degli aventi diritto). La situazione politica della Calabria è molto diversa da quella della Toscana, per dirla con Putnam, la Calabria non si distingue certo per essere una regione ad alta densità di civicness, la cultura politica è
generalmente piuttosto debole, il comportamento elettorale (Parisi e Pasquino 1977) è orientato al voto di scambio, perciò a relazioni patrono-cliente nelle quali il più delle volte il voto viene dato in cambio di un vantaggio personale e immediato (Fantozzi 1993), all’epoca dell’istituzione delle regioni la Calabria scontava una profonda perifericità economica (Bagnasco 1977) e sociale. Tutto questo finiva col riverberarsi sui tassi di astensionismo, generalmente i più elevati tra le regioni a statuto ordinario. Ecco spiegato il tasso di astensionismo elevato fin dal 1970, ma la contrapposizione ideologica tipica delle elezioni del 1975, nelle quali forte era il rischio del “sorpasso” a livello nazionale del PCI sulla DC influenzò i tassi di astensionismo anche in Calabria (sebbene fosse siderale la distanza tra i due partiti più grandi nella regione), infatti si registrò un arretramento di poco più di un punto percentuale sia in termini di non votanti che in termini di voti non validi, con una riduzione (di mezzo punto) anche le schede bianche. Un balzo in vanti delle astensioni lo si registrò nel 1980, quando il livello avanzò del 6%, con una percentuale di voti non validi e schede bianche che tornava pressappoco alla stessa quota del 1970. L’andamento altalenante registrato nelle prime tre elezioni, fu confermato nel 1985, quando la percentuale di astensionismo finì per contrarsi (di poco più di un punto e mezzo), invariati i voti non validi, in diminuzione le schede bianche. Ulteriore controtendenza nel 1990, stavolta le astensioni crescono (+2,9%), assieme ai voti non validi e alle schede bianche. L’andamento, come detto, altalenante del primo ventennio è spiegabile essenzialmente con riguardo alle caratteristiche della competizione, sempre più improntata alla voto di scambio clientelare, i meccanismi correntizi interni ai due partiti più clientelari, la DC e il PSI (Fantozzi 1993), scatenavano una competizione all’ultimo voto che si ripercuoteva inevitabilmente anche sulla partecipazione al voto.
Lo stravolgimento del sistema partitico e del sistema elettorale provocano una forte contrazione dei voti validi in Calabria nel 1995, infatti cresce il tasso di astensionismo del 7,2%, crescita cospicua anche dei voti non validi (+4,3%) e delle schede bianche (+2,2%). La crescita delle astensioni è essenzialmente dovuta alla parziale disarticolazione dei legami clientelari, il ceto politico regionale è messo a dura prova, le ricandidature dei consiglieri (di cui si dirà nel prossimo capitolo) decrescono di ritmo rispetto al passato, conseguentemente anche le catene clientelari fedeli a
questi politici non restano coinvolte nella competizione. Motivi di natura tecnica invece giustificano la crescita dei voti non validi. Aumentano le nulle a causa (come detto per la Toscana) del mutamento del sistema elettorale, in una regione che risente più della Toscana di bassi livelli di istruzione (specie tra la popolazione più anziana), questo si nota nel drastico incremento della quota di schede nulle, (molto probabilmente) imputabili, per la più parte, ad errori materiali nella compilazione. Ma crescono pure le schede bianche e in questo caso è un altro il fattore tecnico che può essere “scomodato”, infatti nella scheda elettorale che l’elettore si trova di fronte nel 1995 scompaiono due riferimenti simbolici tradizionali, lo scudocrociato della DC e il garofano del PSI, i due partiti più votati nelle regionali del 1990 (si veda al proposito il dettaglio dei dati in appendice), e oltretutto non sono sulla scheda altri due simboli che l’elettorato ha imparato a conoscere: la quercia del PDS (partito che si presenta sotto le onnicomprensive insegne dei Progressisti) e la “bandiera” di Forza Italia (rimaneggiata in un tondo che condivide con la scritta Polo Popolare, causa la confluenza in quella lista della componente del Partito Popolare facente capo al segretario Rocco Buttiglione), rimasto spiazzato dalla mancanza di punti di riferimento, l’elettore rimane basito di fronte ad una scheda fatta di simboli quasi sconosciuti, preferendo depositarla intonsa nell’urna.
Nel 2000, una volta metabolizzato il nuovo sistema elettorale e stabilizzatosi il sistema partitico, la percentuale dei voti non validi crolla (-5,9%), sia nella componente schede nulle sia in quella della schede bianche (-3,6%), ma il tasso di astensionismo cresce ulteriormente di quattro punti percentuali, si raggiunge la ragguardevole quota del 35,4% di non votanti, più di un elettore su tre non si è recato alle urne in quella occasione. Una percentuale talmente alta non si era mai registrata, infatti nelle elezioni del 2005 si ha l’impressione che al di sopra di questa soglia non sia possibile arrivare, infatti le astensioni crescono di pochissimo (+0,2%), diminuiscono le schede bianche (-0,3%) e i voti non validi si contraggono dell’1,1%. Ma è nelle elezioni del 2010 che viene toccato il nuovo record storico per le Regionali, il 40,7% degli elettori non va a votare (più di due elettori su cinque!), con un incremento del 5,1% rispetto al 2005, contestualmente si contraggono ulteriormente i voti non validi (-0,5%) e le schede bianche (-0,2%). Un segnale di profonda sfiducia
nel sistema politico regionale, che se nel 2005 aveva punito la coalizione uscente di centrodestra, adesso riserva lo stesso trattamento alla coalizione di centrosinistra (presentatasi per giunta divisa al cospetto del corpo elettorale). Un meccanismo di
accountability che sarà approfondito nel prossimo capitolo, ma che per la parte che
interessa qui, si manifesta in una profonda contrazione nel novero di elettori che partecipano alla decisione sulla composizione del Consiglio regionale, manifestando così aperta sfiducia sia nei riguardi della coalizione uscente, sia verso la credibilità del sistema più in generale. L’impatto visivo del grafico in figura 3.2, nel quale è rappresentato il trend dell’astensionismo in Calabria dal 1970 al 2010, si ritiene possa concorrere a rendere ancor più palesi le considerazioni testè compiute.
Fig. 3.2 Tasso di astensionismo nelle elezioni regionali della Calabria (1970-2010)
Astensionismo Calabria 0,0 5,0 10,0 15,0 20,0 25,0 30,0 35,0 40,0 45,0 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 Schede bianche Voti non validi Non votanti
Da ultimo, grazie alla tabella 3.3, si può portare avanti una comparazione tra i tassi di partecipazione di Calabria e Toscana durante i primi 40 anni di elezione dei Consigli regionali. Il tasso di partecipazione è definito come il rapporto (espresso in forma percentuale) tra in numero di voti validi e il numero complessivo degli aventi diritto al voto). Così facendo si tiene conto di tutte le componenti dell’astensionismo e al tempo steso si ha una misura adeguata dell’ampiezza del “collegio elettorale” che ha provveduto a designare la rappresentanza nelle assisi di queste due regioni nel lasso di tempo considerato. Come detto in precedenza, infatti, un requisito dell’accountability
elettorale risiede nella possibilità che il numero degli elettori che partecipano utilmente alle elezioni resti costante nel tempo.
Tab. 3.3 Tasso di partecipazione per l’elezione dei Consigli regionali di Calabria e Toscana tra il 1970 e il 2010 (rapporto tra numero di voti validi ed elettori, espresso in percentuale)
Anno Toscana Calabria differenza
1970 92,3 76,4 15,9 1975 92,6 78,6 14,0 1980 88,2 71,5 16,7 1985 88,3 73,1 15,2 1990 83,4 69,7 13,7 1995 78,2 58,2 20,0 2000 68,8 60,1 8,7 2005 68,4 61,0 7,4 2010 58,7 56,4 2,3
Rielaborazione basata sui dati dell’Archivio Storico delle Elezioni del Ministero degli Interni: <http://elezionistorico.interno.it/> dell’Archivio Elettorale del Consiglio Regionale della Toscana: <http://www.consiglio.regione.toscana.it/POLITICA/ARCHIVIO-ELETTORALE/DEFAULT.ASP> e del Consiglio Regionale della Calabria: <http://www.consiglioregionale.calabria.it/hp2/Composizione/consiglieri.asp>
Come si può vedere agevolmente dalla tabella 3.3 la Calabria per l’intero periodo considerato ha un tasso di partecipazione costantemente al di sotto della Toscana e viste le premesse non poteva essere diversamente. Ma se la differenza di partecipazione tra le due regioni nel secolo scorso rimaneva stabilmente a due cifre e si collocava in un intervallo compreso tra il 20% del 1995 e il 13,7% del 1990 (passando per percentuali tra il 16% e il 14% nelle prime quattro consiliature), si può notare che a partire dal 2000, in coincidenza con la prima elezione diretta del presidente della regione, la forbice si riduce fino a scendere al di sotto del 9%, riduzione confermata nel 2005 (7,4%), che si assottiglia ulteriormente fino ad un minimo del 2,3% di distanza tra la partecipazione calabrese e quella toscana. Un trend che può essere ancora meglio visualizzato grazie alla figura 3.3, nella quale sono stati rappresentati gli andamenti tendenziali della partecipazione nelle due regioni considerate. Più in particolare, a causa della differente composizione dell’astensionismo in senso ampio, in Toscana la partecipazione rimane stabile solo tra il 2000 e il 2005 (dato incoraggiante per la verifica dell’accountability), mentre in Calabria, si assiste ad un andamento curioso, di constante declino fino al 1995, ma addirittura di crescita del novero di elettori che partecipano all’elezione del Consiglio nel 2000 prima (2% circa) e nel 2005 poi (poco meno di un punto percentuale), salvo diminuire di quasi 4 punti percentuali nel 2010, una sostanziale stabilità periodale che teoricamente favorisce
Fig. 3.3 Tasso di partecipazione nelle elezioni regionali di Calabria e Toscana (1970-2010) Partecipazione (% voti validi)
55,0 60,0 65,0 70,0 75,0 80,0 85,0 90,0 95,0 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 Toscana Calabria