1.3 Democrazia e qualità
1.3.2 Lo schema analitico di Morlino e le tre facce della democrazia
Dato conto di queste diverse posizioni riscontrate in letteratura, per porre in essere un’indagine sulla qualità democratica è necessario rendere disambiguo il concetto di democrazia di qualità. Ebbene, secondo Leonardo Morlino (2003, 228) una buona democrazia è rappresentata da un «assetto istituzionale stabile che attraverso istituzioni meccanismi correttamente funzionanti realizza libertà ed uguaglianza dei cittadini».
Oltretutto lo studioso ci fa notare che la nozione di qualità, tenendo conto del termine usato in campo industriale con particolare attenzione al marketing, fa emergere tre tipi di connotazioni:
1) la qualità viene definita dagli aspetti procedurali fissati accuratamente per ciascun prodotto; è importante cioè seguire procedure costruttive precise e controllate nei tempi e nei metodi;
2) la qualità consiste nell’avere un prodotto che abbia certe caratteristiche costruttive, sia fatto di certi materiali, abbia forme e funzionamento definiti, insieme ad altri aspetti precisati in dettaglio: si fa, cioè, attenzione al contenuto; 3) la qualità del prodotto o del servizio viene derivata indirettamente dalla soddisfazione espressa dal consumatore, che torna a richiedere il prodotto o il servizio, quali che siano le procedure; non si considerano direttamente ed esplicitamente i contenuti del prodotto o servizio o le procedure usate per avere quel prodotto o servizio: ci si affida semplicemente al risultato (ivi, 227)
da ciò si deduce che:
Una buona democrazia è, prima di tutto, un regime ampiamente legittimato e, dunque, stabile, di cui i cittadini sono pienamente soddisfatti (qualità rispetto al risultato): solo per un complesso di istituzioni che gode del pieno appoggio della società civile di riferimento è possibile ipotizzare un ulteriore avanzamento nella realizzazione di valori propri del regime. […] Secondo, i cittadini e le associazioni e comunità che fanno parte di questo tipo di democrazia godono di libertà ed eguaglianza in misura superiore ai minimi (qualità rispetto al contenuto). Terzo, i cittadini di una buona democrazia devono potere controllare se e come qui due valori sono realizzati attraverso il pieno rispetto delle norme vigenti, la cosiddetta rule of law, devono poterne sorvegliare l’efficiente applicazione, così come devono poter valutare l’efficacia decisionale e la responsabilità politica circa le scelte fatte
dal personale eletto anche in relazione alle domande espresse dalla società civile (qualità rispetto alla procedura) (ivi, 228).
Fatta questa puntualizzazione, si può approfondire l’analisi, considerando che: Una buona democrazia ha almeno cinque dimensioni di variazione che devono essere collocate al centro dell’analisi empirica. Le prime due sono dimensioni procedurali, in quanto attengono prevalentemente alle regole e solo indirettamente ai contenuti, pur essendo assai rilevanti anche per questi. Esse sono: 1) rule of law, ovvero rispetto della legge; e 2) accountability, ovvero responsabilità. La terza attiene al risultato e riguarda: 3) la responsiveness, ovvero la rispondenza, cioè la capacità di risposta che incontra la soddisfazione dei cittadini e della società civile, più in generale. Le altre due sono sostantive: 4) rispetto pieno dei diritti che possono essere ampliati nel realizzare le diverse libertà; e 5) progressiva realizzazione di una maggiore eguaglianza politica, sociale, economica (ivi, 228- 229).
A questo riguardo occorre precisare che l’accountability deve essere necessariamente essere scomposta nella doppia dimensione di accountability orizzontale (o interistituzionale) e accountability verticale (o elettorale). Ecco che le dimensioni di variazione complessivamente diventano sei, di cui tre per ciò che attiene la dimensione procedurale, da notare però che quest’ultima deve essere ulteriormente analizzata alla luce di altri due ulteriori indicatori: la partecipazione e la competizione (Diamond e Morlino 2005). Perciò si può dire che la dimensione procedurale ha cinque sfaccettature: rule of law, accountability interistituzionale, accountability elettorale, partecipazione e competizione; le dimensione sostantiva si sviluppa lungo le direttrici della libertà e dell’uguaglianza; da ultima la dimensione legata ai risultati è inscindibilmente connessa alla responsiveness (su ciascuno di questi aspetti delle dimensioni della qualità si tornerà, con maggiore precisione, più avanti). Ma indicatori della qualità democratica quali quelli testè enumerati, emergono dall’analisi che si può fare dei differenti modelli di democrazia che si sono alternati nei secoli, come delineati da Held (di cui si è scritto nel paragrafo 1.1.2). Ci si rende conto che da ciascuno di essi è possibile estrapolare un indicatore per l’analisi della qualità democratica, così dalla democrazia di sviluppo: la partecipazione; dalla democrazia protettiva: la rule of
law; dalla democrazia diretta: l’uguaglianza; dall’elitismo competitivo: la
Stabilito in che modo è necessario valutare il livello di qualità democratica raggiunto, appare indispensabile mettere in evidenza che la democrazia può ben essere declinata su molteplici piani di analisi, sia che si consideri il piano normativo, sia che si rivolga l’attenzione al piano empirico. È di tutta evidenza che una democrazia matura e ben funzionante si estrinseca su più livelli, che quanto più sono integrati e interrelati, tanto più garantiscono un’elevata soddisfazione. È il caso, quindi, di distinguere tre ‘facce’ della democrazia, vale a dire: democrazia rappresentativa, democrazia partecipativa e democrazia associativa.
Per quanto riguarda il versante della democrazia rappresentativa, una valutazione del livello qualitativo non può prescindere dal considerare le istituzioni e il personale politico che le innerva. Questo chiama in causa il versante della qualità procedurale con attenzione alle istituzioni, alle regole e al loro funzionamento, ma anche il lato della qualità sostanziale, dal punto di vista della capacità che le procedure hanno di mettere in condizione il cittadino di realizzarsi secondo i suoi desideri. L’analisi della qualità della democrazia rappresentativa pertanto non può prescindere da una adeguata valutazione dell’input e dell’output. In fase di input si prendono in considerazione le relazioni tra elettori ed eletti, considerando quindi, il funzionamento del sistema elettorale, la natura dei rapporti tra assemblee elette ed esecutivi e, infine, le caratteristiche della classe politica. Quanto al versante dell’output bisognerà tenere in debita considerazione gli esiti della relazione tra elettori ed eletti dal punto di vista delle decisioni pubbliche, ciò comporta la focalizzazione sull’efficacia e l’effettività dei meccanismi di governo (AA. VV. 2008, 8-9). Ricapitolando, la democrazia rappresentativa viaggia su un doppio binario, da un lato il rapporto tra elettori ed eletti, dall’altro la relazione tra gli eletti con funzioni di governo e quelli con funzioni di opposizione. Quindi si può dire che la qualità della democrazia rappresentativa va analizzata sulla base della struttura del circuito di relazioni instaurato tra i cittadini e gli organi della rappresentanza e l’esecutivo. Come detto, il primo rapporto va studiato in funzione di due direttrici: caratteristiche del sistema elettorale e della classe politica. L’analisi del secondo rapporto dovrà essere sviluppata controllando le relazioni istituzionali esistenti tra governo e opposizione, oltre che tra i membri del governo e la maggioranza in sede di assemblea (ivi, 22).
Detto della democrazia rappresentativa, l’attenzione si sposta su una seconda faccia della democrazia, quella partecipativa. Il livello qualitativo di una democrazia può essere misurato partendo dal processo di formazione delle decisioni, valutando le opportunità, le caratteristiche, le conseguenze del grado di coinvolgimento dei cittadini in questo processo. La democrazia partecipativa prende forma con l’intenzione di stimolare cambiamenti ‘dal basso’ di natura endogena, puntando sulla ricerca di una reingegnerizzazione della relazioni tra decisori (policy makers) e destinatari delle decisioni (policy takers) improntata sull’istanza riformatrice, che si sostanzia in termini di cambiamento sociale e ideali di giustizia redistributiva. Da un punto di vista meramente normativo, la democrazia partecipativa si trova nella condizione di dover trovare un punto di equilibrio tra il valore della coesione politica da un lato e quello della conflittualità sociale dall’altro. Infatti le relazioni tra policy makers e policy
takers possono giungere a comportare l’istituzionalizzazione di relazioni di potere e
rapporti di subordinazione. In corrispondenza dell’indebolimento della legittimazione fornita dalle elezioni, della crisi dei partiti politici e delle forme tradizionali della democrazia rappresentativa, si ritiene necessario che le istituzioni rappresentative vadano alla ricerca di un supplemento di legittimazione che, a questo punto, grazie alla democrazia partecipativa passa per l’interlocuzione diretta coi cittadini. Così facendo l’inclusione dei cittadini nei processi decisionali degli enti pubblici, può palesarsi in senso positivo, grazie all’apertura delle istituzioni alla partecipazione, o al contrario in negativo, tramite conflitti che le amministrazioni non sono in grado di controllare e risolvere (ivi, 37).
Da ultima, ma non in ordine di importanza, si prende in considerazione la faccia associativa della democrazia. Questa forma di democrazia generalmente sfocia nell’autogestione e nell’auto-organizzazione di gruppi che hanno una radicata base sociale, per poter risolvere problemi di interesse comune. Si può dire quindi che l’obiettivo della democrazia associativa è quello di porre in essere la risoluzione di un problema con la responsabilizzazione diretta di coloro che lo avvertono. In quest’ottica l’associazionismo dovrebbe prefigurare un duplice risvolto qualitativo: per un verso dare il via libera alla cooperazione sociale che riduce gli effetti negativi del mercato, per l’altro favorire la competizione sociale che sostiene l’attività di mercato. Perciò, da
un punto di vista normativo, è compito della democrazia associativa ricercare un giusto bilanciamento tra il valore del pluralismo e quello dell’universalismo. Invece, in rapporto agli attori della democrazia rappresentativa, le indagini promosse in tal senso hanno dimostrato che l’associazionismo attecchisce meglio, laddove i partiti politici palesano una debole capacità aggregativa. Pertanto, in quest’ottica, la democrazia associativa può contribuire a rafforzare le istituzioni rappresentative, affinché la società si doti di un quadro di regole di riferimento in grado di guidare gli attori sociali, individuando, altresì, forme di fornitura di servizi pubblici che costringano i funzionari pubblici a rendere conto della propria attività, col fine ultimo di proteggere l’interesse dei cittadini. I teorici della democrazia associativa sostengono, infatti, che più che un popolo anonimo esistono dei cittadini organizzati (ivi, 10-11-12).