Accountability elettorale e struttura della competizione
3.1 I sistemi elettoral
3.1.1 Formule proporzionali e formule maggioritarie
Il primo indicatore da prendere in considerazione nella valutazione del corretto funzionamento dell’accountability elettorale è rappresentato dal sistema elettorale. Il sistema elettorale altro non è che una combinazione di regole e una concatenazione di procedure che consentono la traduzione dei voti espressi dall’elettorato in seggi da assegnare nell’ambito delle assemblee rappresentative (siano esse nazionali – il parlamento – oppure locali, quindi i consigli – regionali, provinciali, comunali, nel caso italiano). A tal proposito è giusto tenere presente l’ammonimento di Pasquino (2006, 8) riguardante l’equivoco di fondo emergente quando si parla di sistemi elettorali e questo risiede nella confusione tra sistema e formula elettorale. La formula elettorale si riferisce alla semplice traduzione dei voti in seggi, il sistema elettorale tiene conto non solo della formula, ma anche dell’ampiezza delle circoscrizioni, della esistenza (o no) della possibilità per gli elettori di esprimere preferenze, la possibilità di introdurre regole per la selezione diretta dei candidati (le cosiddette primarie), il quadro normativo relativo alla regolamentazione dell’informazione politica e della propaganda elettorale, il controllo (e le eventuali sanzioni) sulle forze politiche in competizione relativamente allo stato patrimoniale e le modalità di finanziamento, ricomprendendo anche la disciplina delle campagne elettorali dei singoli candidati.
L’interesse verso il sistema elettorale in rapporto all’accountability scaturisce dagli interrogativi tradizionali legati ai temi dell’ingegneria elettorale, e quindi la capacità del sistema: 1) di manipolare le scelte dei votanti, 2) di (sotto o sovra-) rappresentare i partiti, 3) di incidere sul numero di partiti (ivi, 23). Da questo deriva che la formula elettorale è in grado di incidere sia sugli spostamenti di opinione, sia sulla rappresentatività, sia sulla struttura dei partiti, sia, infine sulla governabilità (ivi, 34). I primi due argomenti (opinione e rappresentatività) sono legati alla presenza di formule proporzionali (sarebbero queste ad esaltare i due fenomeni considerati), i
restanti due argomenti (struttura partitica e governabilità) sarebbero condizionati di più da formule maggioritarie, in ragione della considerazione di Sartori (1995c) secondo la quale i sistemi proporzionali avrebbero un raggio d’azione più corto, proiettandosi solo sulla competizione per l’accesso all’assemblea, a differenza dei sistemi maggioritari che produrrebbero effetti diretti non solo sulla composizione delle assemblee elettive, ma anche sulla scelta dei governi10. In realtà le formule elettorali sono tre, ma quelle che richiedono per l’assegnazione del seggio la maggioranza assoluta (majority) sono di solito accorpate a quelle che assegnano il seggio in base alla conquista della maggioranza relativa (plurality), così da identificare l’unico universo delle formule maggioritarie, in contrapposizione alle formule più propriamente proporzionali.
Le formule maggioritarie sono usualmente legate a circoscrizioni uninominali, quelle proporzionali a circoscrizioni plurinominali. La formula majority può svilupparsi sia su un turno unico che su un doppio turno, nel caso del turno unico, si impone il candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti, ciò può essere ottenuto sia nel caso di una libera competizione tra candidati e liste concorrenti, sia con un artificio tecnico, quello del voto alternativo. Con il voto alternativo è previsto un solo turno di elezione, perché è richiesto all’elettore di stabilire una graduatoria dei candidati in lizza, ponendo a fianco di ciascun candidato l’ordine di gradimento, il candidato preferito si vede attribuire a fianco della propria lista il numero uno, il
second best, il numero due e così via fino ad esaurimento delle scelte11. Chiuse le
urne, lo spoglio procederà prendendo in considerazione le “prime” preferenze di ciascun votante, se in base a queste nessuno raggiunge la maggioranza assoluta, allora ciascun candidato si vedrà aggiungere i voti ottenuti come secondo prescelto tra quanti hanno votato per il peggiore classificato al primo scrutinio, se anche in questo caso non si attribuisce il seggio, allora il procedimento sarà ripetuto considerando le seconde preferenze del penultimo degli esclusi, iterando il metodo in modo da consentire almeno ad uno dei candidati in lizza di risultare eletto. Lo stesso effetto (il conseguimento della maggioranza assoluta) lo si può conseguire con l’introduzione di
10 Riguardo alla concreta incidenza delle diverse formule di traduzione di voti in seggi si ritiene lecito rinviare al ponderoso studio comparativo condotto dal gruppo di ricerca guidato da Hans Dieter Klingemann (2009). 11 In realtà è necessario che l’elettore, a pena di nullità del voto, esprima un ordine di scelta per tutti i candidati
un secondo turno di votazione, il cosiddetto ballottaggio, al quale accederanno (se si predilige che uno dei candidati ottenga certamente la maggioranza assoluta) esclusivamente i due candidati che al primo turno hanno ottenuto il maggior numero di consensi. Invece nel caso in cui si stabilisca al primo turno una soglia predefinita di accesso al secondo, allora se i candidati giunti alla seconda tornata sono più di due è aritmeticamente plausibile che nessuno si imporrà con la maggioranza assoluta12. Quest’ultima situazione indica una delle possibili varianti della formula plurality, che appunto presuppone l’elezione del candidato in base anche alla sola maggioranza semplice. Il caso più frequente di plurality lo si ha nel turno unico di votazione con sistema first past the post, in tal caso non è previsto turno di ballottaggio, ma più semplicemente si impone in candidato che riesce ad ottenere almeno un voto in più rispetto ai suoi avversari. In questa ipotesi, dal punto di vista strettamente aritmetico, la soglia di elezione (il numero di voti da conseguire per centrare l’obiettivo del seggio) risulta abbassarsi all’aumentare delle liste (e quindi dei candidati) in competizione13. In un contesto di circoscrizioni uninominali l’esito quindi è comunque maggioritario (vince chi prende più voti, a seconda della soglia che si è deciso di stabilire –maggioranza semplice o assoluta).
Il discorso cambia per ciò che riguarda circoscrizioni plurinominali, in tal caso ciascun partito o lista in competizione può candidare nella propria lista una sequenza di candidati che risulteranno eletti a seconda del fatto che la lista sia bloccata, e allora in tal caso, computati i voti, calcolati i seggi spettanti a ciascuna lista, si procederà ad eleggere i primi in graduatoria, seguendo il criterio sequenziale, oppure lasciando
12 Da questa considerazione possono discendere molteplici considerazioni afferenti al coordinamento strategico del voto (Cox, 2005), infatti un secondo turno di votazione può avere sia un riscontro passivo che attivo. Nel primo caso può far diminuire il tasso di partecipazione (non andrebbero a votare tutti gli elettori che non considerano credibili le alternative in campo). Ma potrebbe avere anche un effetto decisivo sulla competizione, qualora le forze in campo giunte al secondo turno decidessero di coordinare il proprio elettorato strategicamente. Ciò si verificherebbe qualora due (o più) forze politiche, in diretta competizione in molteplici collegi, contrattassero un patto di desistenza affinché, a seconda dei collegi, i voti del proprio elettorato convergessero su un solo candidato preventivamente concordato, abbandonando il proprio candidato originario, così facendo ognuna delle forze in campo potrebbe certamente contare sulla concentrazione di voti su un solo candidato che potrebbe con maggiore facilità risultare eletto, a differenza dell’ipotesi normale di polverizzazione del consenso tra tutti i candidati in lizza. Ciascuna delle forze politiche saprebbe preventivamente in quali collegi il proprio candidato e appoggiato e dove invece, risulterebbe abbandonato a se stesso. Sostanzialmente il fine è quello di conseguire dei seggi sicuri tramite un comportamento collusivo, anziché perdere competendo lealmente.
13 Se ad esempio il numero di candidati in competizione nel collegio uninominale sono venti, è plausibile che ciascuno di questi possa raggiungere il 5% dei voti, se davvero tutti i candidati raggiungessero quella quota, allora sarebbe eletto il candidato che ottiene il 5% + 1 voto, ben al di sotto della soglia del 50%, ma abbastanza per poter dire di aver conseguito la maggioranza relativa.
libertà di scelta all’elettore che sarà in condizione i esprimere una preferenza unica o multipla (a seconda dei sistemi) nei riguardi dei candidati proposti in ciascuna lista. Le circoscrizioni plurinominali (nelle quali avviene l’elezioni contemporanea di più rappresentanti) sono tipiche dei sistemi cosiddetti proporzionali, i quali hanno la pretesa di assegnare i seggi in analogia al numero di voti raccolti dalle liste in competizione, stabilendo quindi diretta proporzionalità tra numero di voti conquistati e numero di seggi conseguiti. Il metodo di traduzione dei voti in seggi è decisamente più complesso rispetto al sistema maggioritario e si sonda lungo cinque passaggi. 1) Si determina la cifra elettorale circoscrizionale, equivalente al numero voti validi espressi nella circoscrizione; 2) la cifra elettorale è divisa per il numero di seggi da assegnare nella circoscrizione, determinando così il quoziente elettorale, l’equivalente del numero di voti necessario al conseguimento di un seggio; 3) si definisce la cifra elettorale di lista, in pratica il numero di voti ottenuto da ciascuna lista; 4) si procede al computo del numero di volte che il quoziente elettorale si pone in rapporto con la cifra elettorale (e in tal caso molteplici sono le tecniche utilizzabili; 5) a questo punto esiste, ove previsto, la possibilità di utilizzare i voti risultati inutili per la conquista dei seggi, i cosiddetti resti. L’operazione di distribuzione dei seggi pertanto si snoda lungo due processi: la determinazione del quoziente elettorale prima, e la modalità attraverso la quale si rapporta il quoziente elettorale e la cifra elettorale di lista poi, a queste due fasi potrebbe aggiungersi la eventuale distribuzione dei resti. La distribuzione dei seggi solitamente segue quattro diverse varianti: a) la formula d’Hondt della media più alta, la media e il rapporto tra cifra elettorale di lista e numero di seggi da assegnare, perciò si procede alla costruzione di rapporti sequenziali, dividendo il numero di voti ottenuti dal partito per uno, poi per due, poi per tre e così via, fino all’esaurimento dei seggi da assegnare; b) la formula di Sainte-Lagüe dei divisori dispari che si comporta esattamente come la formula d’Hondt, ma i divisori anziché essere sequenziali rispetto alle unità di seggi da assegnare, seguono una sequenza nella quale il primo denominatore è 114, il secondo 3, il terzo 5, il quarto 7 e così via seguendo la sequenza dispari, appunto (la prima formula tende ad essere maggiormente premiale verso i partiti che hanno ottenuto più voti, quest’ultima invece avvantaggia maggiormente i
partiti medi e piccoli); c) la formula Hare del voto singolo trasferibile, che segue un percorso simile a quello delineato per il voto alternativo tipico del sistema majority, in realtà in questo caso non c’è l’obbligo di mettere in sequenza tutti i candidati meno uno, anche visto e considerato che l’assegnazione è di tipo proporzionale, per giungere all’elezione il candidato non deve superare il 50%+1 dei voti , ma semplicemente deve valicare la soglia del quoziente (cosiddetto Droop) circoscrizionale, definito come il rapporto, aumentato di uno, tra numero di voti validi e numero di seggi da assegnare incrementati di uno, se non tutti i seggi riescono ad essere assegnati tramite il raggiungimento del quoziente, allora comincerà il percorso di trasferimento delle seconde preferenze dei candidati già eletti verso i candidati ancora in competizione, partendo dal candidato che ha il surplus più alto; d) infine la formula dei ‘resti più alti’, in tal caso il quoziente è semplicemente dato dal rapporto tra cifra elettorale circoscrizionale e numero di seggi da assegnare, quindi la cifra elettorale di lista si divide per il quoziente restituendo il numero di seggi spettanti a ciascun partito, arrivati a questo punto, qualora esistano seggi residuali da assegnare, si procede allo sfruttamento dei voti rimasti inutilizzati dai partiti che hanno ottenuto seggi, considerando anche i voti ottenuti dai partiti che non hanno visto assegnato un solo seggio, tutti questi voti, definiti resti, confluiscono congiuntamente nella ‘nuova’ cifra elettorale, stavolta composta dai soli resti, a questo punto viene calcolato un nuovo quoziente rapportando i seggi residuali da assegnare ai soli resti. La formula d’Hondt e quella di Sainte-Lagüe sono classificate come metodi del divisore, formula Hare e “dei resti più alti” sono due declinazioni del metodo del quoziente (Martino, 1997).
I sistemi proporzionali possono essere ulteriormente complicati dalla introduzione di soglie di sbarramento, tese alla riduzione della parcellizzazione della rappresentanza, in tal caso si stabilisce una soglia percentuale minima di voti validi conseguiti da ciascun partito, varcata la quale la lista ha diritto a partecipare alla ripartizione dei seggi. Uno sbarramento implicito per l’accesso alla distribuzione dei seggi deriva dall’ampiezza delle circoscrizioni, cioè il numero di seggi disponibili da assegnare alle liste in competizione, quanto più alto è il numero di seggi disponibili, tanto maggiore è il carattere proporzionale della ripartizione. Ma le formule di tipo proporzionale possono subire ulteriori ibridazioni qualora la legge elettorale prevede la
possibilità di costituzione di coalizioni elettorali tra più liste in competizione, decidendo di assegnare un surplus di seggi alla coalizione che avesse ottenuto più voti, quindi una forma di correzione maggioritaria della formula proporzionale, che peraltro è stata sperimentata nel caso dei sistemi elettorali italiani utilizzati a diversi livelli per l’elezione delle assemblee elettive. Nel paragrafo successivo l’attenzione sarà posta in particolare sui sistemi elettorali regionali, proprio per avere un’idea di come la novellazione di queste normative possa incidere sui processi di accountability elettorale tanto da costituirsi come un vero e proprio indicatore della funzionamento concreto dell’accountability verticale.