• Non ci sono risultati.

PRESENTAZIONE DEL CONTESTO GENERALE

2.6 GLI APPROCCI AL LAVORO MINORILE

Esistono nella letteratura sul caso, differenti modi di approcciarsi alle forme di lavoro minorile analizzate da parte della comunità internazionale, che è formata da quei soggetti con caratteri internazionali che grazie ai loro usi, costumi e leggi hanno la capacità di creare una regolamentazione univoca sui problemi che nascono nel panorama mondiale.

84

International Labour Organization, Marking progress against child labour Global estimates and trends 2000-

2012, p. 4

85

International Labour Organization, Marking progress against child labour Global estimates and trends 2000-

61

Per quanto riguarda il lavoro minorile, tre sono gli approcci presenti: - l’approccio abolizionista

- l’approccio pragmatico

- l’approccio della valorizzazione critica

Ø L’approccio abolizionista

L’approccio abolizionista, come si può capire dal nome stesso, contempla l’eliminazione totale del lavoro minorile, di qualsiasi tipo, salvo l’ambito familiare, purché comunque non precluda la frequenza scolastica. Il lavoro del bambino in questo caso è considerato negativo e degradante per lo sviluppo e la salute del bambino sotto ogni sua forma.

Gli accaniti sostenitori di questa posizione sono l’OIL, le organizzazioni sindacali e contemplano azioni come attività di sensibilizzazione e informazione, la chiusura delle imprese e dei luoghi che occupano minori, il sostegno economico alle famiglie o il boicottaggio dei prodotti fabbricati dal lavoro dei minori86.

Secondo questa teoria il lavoro in età precoce impedisce la frequenza scolastica e genera povertà creando un circolo vizioso; scuola e lavoro quindi non possono trovare mai un punto di incontro.

Da ciò nasce il paradosso della criminalizzazione del minore, al quale si nega l’accesso al settore formale, e quindi legale, di lavoro, avvicinandolo in questo modo al lavoro clandestino e illegale, cosa che era successa nell’esempio del bando del senatore Harkin sull’importazione da parte degli Stati Uniti di prodotti fabbricati dalle mani dei bambini.

Ø L’approccio pragmatico

Il secondo approccio, ossia quello pragmatico, parte dalla concezione che il lavoro minorile esiste per cause riconducibili ad una ineguale distribuzione della ricchezza, ed è impossibile rimuoverlo, per questo è definito anche realista. Si tratta di una fase intermedia e non completamente abolizionista, infatti non va a condannare il lavoro minorile quando si tratta di lavori leggeri purché le condizioni di lavoro siano dignitose, i diritti della persona rispettati e che non compromettono la frequenza scolastica e la salute del bambino. Accetta quindi la distinzione delle varie sfaccettature del lavoro minorile e non le pone, come l’approccio abolizionista, tutte sullo stesso piano. In questo caso le azioni proposte includono l’eliminazione di tutte le forme di lavoro pericoloso e la tutela dallo sfruttamento dei ragazzi

86

62

che hanno già un lavoro, e l’incentivo alla partecipazione dei piccoli lavoratori stessi alle iniziative di sensibilizzazione e di rivendicazione dei loro diritti87.

Questa posizione viene sostenuta dall’UNICEF e numerose ONG; persino l’azione dell’OIL si sta discostando un po’ dall’iniziale posizione abolizionista verso un approccio più pragmatico come si evince dalla Convenzione n.182, che restringe il campo di azione immediata e nel breve periodo solo alle peggiori forme di sfruttamento minorile. Da ricordare che, sull’onda dei principi dell’approccio pragmatico, nel 1998 nasce la “Global March Against Child Labour”, una immensa manifestazione promossa da movimenti, organizzazioni sindacali e non governative, che ha attraversato il pianeta Africa, Asia, Europa e America, in cui milioni di adulti e bambini, hanno marciato in oltre 100 paesi del mondo, chiedendo agli Stati di intraprendere iniziative concrete contro lo sfruttamento economico dei bambini e delle bambine88; la loro destinazione era Ginevra, dove l’OIL stava discutendo una bozza di Convenzione internazionale, che è divenuta poi la Convenzione n. 182 sulla proibizione delle peggiori forme di lavoro minorile.

Ø L’approccio della valorizzazione critica

L’ultimo approccio è definito della valorizzazione critica e vanta una posizione nettamente contrapposta rispetto a quella abolizionista, considerandola come un’impostazione troppo “eurocentrica” e dedicata ad un bambino che vive un’infanzia da sogno senza diritti o doveri ma che si scontra con la realtà dei paesi del Sud del mondo dove il lavoro del bambino/ragazzo risulta essere una fonte di sostentamento necessaria ed essenziale per tutta la famiglia. L’approccio appunto, valorizza criticamente il lavoro minorile, non giustificando lo sfruttamento ma intendendo valorizzare prima di tutto i bambini e il loro diritto di essere riconosciuti come lavoratori, mettendo in luce il lato positivo del fenomeno. Lo scopo di questo approccio è l’affermazione del protagonismo e dell’auto-organizzazione dei gruppi di lavoratori perché solo attraverso questi procedimenti potranno prendere coscienza dei loro diritti e di come ottenerli, che è la prima via per combattere lo sfruttamento minorile: se il bambino è consapevole dei suoi diritti e doveri, sarà lui stesso a non accettare impieghi con condizioni disumane e degradanti, percepirà più facilmente situazioni di pericolo e aiuterà alla sensibilizzazione dei minori con cui si relaziona attraverso racconti e conoscenze.

Questo punto di vista viene attivamente sostenuto dai NATs (Niños y Adolescentes Trabajadores):

87

UNICEF, I bambini che lavorano, aprile 1999, p.34

88

63

“bambini, bambine e adolescenti lavoratori organizzati, impegnati nel riconoscimento sociale della loro attività lavorativa e del loro diritto (non obbligo) a un lavoro in condizioni degne, ben distinto dallo sfruttamento. Un approccio che li considera cioè come soggetto di diritto capace di riflettere sulla propria situazione e di avere delle proprie idee e visioni sul lavoro e sulla vita, e come un soggetto sociale in grado di dare un indispensabile apporto alle lotte contro i meccanismi dell’ingiustizia sociale, vere cause dello sfruttamento del lavoro minorile.”89

È il libro di Monica Ruffato “Il lavoro dei bambini, storie di vita e di movimenti oltre il lavoro minorile” che ci può dare una generosa panoramica sul tema e su questo approccio che si avvicina alle esigenze moderne dei bambini lavoratori. Come ci illustra la scrittrice, il movimento si compone prevalentemente di ragazzi tra i 12 e i 16 anni che lavorano, per la maggior parte nell’economia informale, nelle strade e negli spazi pubblici ma anche come collaboratori domestici nelle famiglie; sono sostenuti da educatori che sono ragazzi più grandi cresciuti nelle loro stesse condizioni. Ecco la potenza dell’informazione.

I movimenti dei NATs, dall’America Latina si sono diffusi anche in Asia e poi in Africa, con il Movimento Africano dei Bambini e dei Giovani Lavoratori (Maejt) soprattutto nella parte francofona e in Madagascar, Kenya, Angola e Ghana dove sono stati elaborati 12 diritti che vengono illustrati passo a passo nel libro La voce dei bambini dell’Africa, storie e lotte di piccoli lavoratori, nato durante la Quarta Assemblea Generale del Movimento a Dakar, in Senegal nel 1998 attraverso le interviste e le testimonianze dei bambini lavoratori,.

Tabella 13 – I 12 diritti elaborati dal Maejt

Il Maejt è un movimento di saldatori, meccanici, parrucchieri, domestiche e molti coordinamenti di lavoratori. È nato nel 94 e a Bouakè, in Costa d’Avorio e sono stati elaborati i 12 diritti il cui obiettivo è lottare contro la povertà, attività di formazione e azioni di lotta contro il traffico dei bambini.

I 12 DIRITTI

1. Diritto a una formazione per imparare un mestiere