• Non ci sono risultati.

LO SRUTTAMENTO DI LAVORO MINORILE NELLE PIANTAGIONI DI CACAO IN COSTA D’AVORIO E GHANA

3.2 IL CAMBIO DI GUSTO NEI SECOLI: L’ASCESA DEL CIOCCOLATO

L’albero del cacao, il cui nome latino Theobroma cacao significa “cibo degli dei”, arriva direttamente dal Sud America dove gli Olmechi prima di tutti consumavano “kakawa”, una sostanza nera estratta dai semi di cacao. Quando gli Olmechi si estinsero, i Maya presero il controllo della regione e delle coltivazioni di cacao, consumando la cosiddetta “cacahault” (acqua di cacao). Il primo incontro degli europei con il cacao avvenne grazie a Cristoforo Colombo nel 1502; venendo a contatto con la gente del luogo Colombo notò sulle loro piroghe dei semi marroni dall’aspetto strano a forma di mandorla, ai quali però, gli uomini del luogo erano molto attenti. Nel suo diario, il figlio Ferdinando racconta che;

"sembrava che attribuissero un grande valore a quelle mandorle perché quando furono portati a bordo della nave di Colombo insieme alle loro cose osservai che quando alcune di quelle mandorle caddero si chinarono tutti raccoglierle come se fosse caduto loro un occhio”.

Se Colombo è venuto per primo in contatto con i semi di cacao, chi ha cercato veramente di sfruttare il loro potenziale fu Herman Cortes che a capo dei conquistadores si insediò nella Penisola dello Yucatan abitata dagli Aztechi, il cui leader Montezuma II oltre ad utilizzare il cacahualt, aveva inventato le prime forme di barrette di cioccolato. Quando Cortes scoprì l’importanza del cacao lo esportò immediatamente in Spagna, nel 1528, ma lo utilizzò anche come mezzo di scambio e moneta tra conquistadores e gli Aztechi. L’esportazione di cacao verso la terra madre divenne tanto importante che i conquistadores ampliarono i loro territori fino a raggiungere l’attuale Guatemala, estendendo le piantagioni di cacao per aumentare la produzione di semi. Di conseguenza si intensificò anche la pressione sugli indigeni che lavoravano nelle piantagioni di cacao a causa della richiesta incessante di semi da inviare in

86

Europa da far consumare alle elite e, così, le condizioni nelle piantagioni di cacao divennero sempre più terribili.

In quegli anni però, si stavano muovendo le coscienze degli spagnoli colonizzatori in merito alle condizioni di lavoro nelle zone di loro proprietà e i diritti dei lavoratori; chi se ne preoccupò per primo fu Filippo, figlio di Carlo V imperatore del Sacro Romano Impero e Re di Spagna che si recò in visita in Guatemala per parlare con gli Indios precedentemente istruiti da Domenico de las Casas sul tema. Anche i religiosi si occupavano dell’istruzione dei lavoratori sul tema dei diritti del lavoro, ispirati soprattutto dallo spirito di De las Casas. In ogni caso, né Spagna né gli altri stati europei sapevano come trarre davvero beneficio dal Nuovo Mondo senza sfruttarlo e calpestando i diritti umani degli indigeni nelle piantagioni. La preoccupazione dell’intensa pressione sugli indigeni e sul territorio in quel tempo e del calo di manodopera fu presto risolta grazie all’uso di schiavi africani dirottati verso le piantagioni di cacao ispanoamericane. Durante i 400 anni di tratta degli schiavi si stima che vennero mercificati tra i 12 e 15 milioni di africani verso le piantagioni di cacao in America Latina. Alla metà del XIX secolo, la cattiva gestione e la sovrapproduzione delle coltivazioni di cacao nelle colonie spagnole le lasciò spoglie e non più produttive, rischiando di mettere a repentaglio la fornitura di cacao verso l’Europa che stava cominciando ad apprezzare questo alimento. Fortunatamente i commercianti di cacao scoprirono che queste piante potevano crescere in qualunque parte del mondo purchè si trovassero a 20 chilometri a sud o a nord dell’equatore, preferibilmente con aria umida ed un’altitudine non eccessiva. Così i territori prescelti per la nuova produzione di cacao furono le isole africane, ma di proprietà portoghese, di São Tomé e Príncipe, le due più grandi isole del Golfo di Guinea, perfette per poter continuare questa coltivazione. Un particolare che però non cambiò affatto, fu l’uso di schiavi africani costretti a lavorare sempre alle stesse condizioni127.

3.2.1 Il cacao salvato dalle invenzioni

Nel XIX secolo sebbene il processo di democratizzazione dei prezzi del cacao venne accolto con gioia dai cittadini europei e soprattutto dalla nascente classe operaia, si registrò un declino nel prestigio di questo bene poiché risultava al gusto come una bevanda densa e grassa ma anche difficile da preparare, relegandolo allo status di alimento per la colazione dei

127

87

bambini e preferendo altre bevande più raffinate come the e caffè, considerate come delle fonti di gratificazione sensoriali più accessibili128.

Spirito d’inventiva e i macchinari innovativi arrivarono in soccorso del cacao dando vita ad un giro di affari enorme, ponendo le basi per un impero che gli industriali dell’epoca non si sarebbero mai aspettati.

Il primo fu Coenraad van Houten, che riuscì a separare il grasso dai semi di cacao cosicché fosse subito pronto per l’emulsione. Prese il nome di “cacao olandese di van Houten” e divenne subito richiestissimo in tutta Europa, venne brevettato nel 1828 facendo diventare i Paesi Bassi il maggior produttore di cacao in polvere al mondo. Chi inventò la moderna tavoletta di cioccolato, invece, fu il medico quacchero Bristol Joseph Fry, che imparò ad utilizzare anche il burro di cacao che invece van Houten scartava, riuscendo a creare l’antenato della tavoletta di cioccolato. George Cadbury, poi, inventò i cioccolatini producendo le prime scatole di bon bon al cioccolato confezionate in modo accattivante. Ma non solo, nel 1875 vendette il primo uovo di cioccolato. Curiosa è la storia di Hershey, che ha inventato il “Bacio” famosissimo in America (in Italia non è molto conosciuto forse per rimanere fedeli al “nostro” Bacio, quello Perugina). Hershey aveva una fabbrica di caramelle ma dopo aver rilevato l’attività di un cioccolataio di Dresda, J.M. Lehmann, cominciò a sperimentare anche con il cioccolato. Seguì le orme del chimico svizzero Henri Nestlè che aveva scoperto che amalgamando il latte con il burro di cacao si poteva ottenere un prodotto molto buono, divenendo il più gettonato in assoluto. Alla fine, nel 1907, Hershey abbandonò la produzione di caramelle per diventare un’icona dolciaria, la Hershey appunto, producendo tavolette di cioccolato al latte e con le mandorle prima e i famosi “Hershey’s Kisses” poi. Per dare un’ulteriore spinta al prestigio ritrovato del cioccolato, il presidente della Harshey’s, William Murrie, rendendosi conto del valore calorico del cioccolato, convinse le autorità di Washington che il cioccolato era necessario per lo sforzo bellico, diventando parte essenziale del kit di sopravvivenza dei soldati, lanciando così alle stelle il consumo di cioccolato129. Nel XX secolo il cioccolato divenne apprezzato davvero in tutto il mondo, ormai se ne conoscevano decine di varianti diverse grazie alle industrie del cioccolato che passarono in poco tempo da imprese a gestione familiare a conglomerati internazionali e competitivi, producendo pacchettini sempre più accattivanti contenenti il tanto amato cioccolato.

128

Off Carol, Cioccolato amaro. Il lato oscuro del dolce più seducente, Nuovi Mondi, 2009, p. 54

129

88

3.2.2 Le condizioni di sfruttamento nelle piantagioni di cacao: una storia lunga decenni Nel XIX secolo la produzione di cacao era stabile nel continente africano, e nonostante la schiavitù venne abolita nel 1875, si registra che tra il 1888 e il 1908, 67.000 africani vennero trasportati dalla terra ferma alle due isole per lavorare intensivamente nelle piantagioni di cacao130.

Le prime fonti di informazione su quello che succedeva agli africani nelle piantagioni di cacao arrivarono da una pubblicazione della società inglese intitolata “Reporter”, in cui si descrivono le pratiche lavorative dei portoghesi in Africa, già nel 1850, e decennio dopo decennio le testimonianze diventarono sempre più sconvolgenti. Le denunce provenivano direttamente da coloro che lavoravano nei campi e dai missionari in servizio in quelle terre. Ciò che descrivevano nelle loro lettere era un sistema che imponeva loro il lavoro forzato e di spedizioni di schiavi, come si legge nelle pagine del libro di Carol Off Cioccolato amaro:

“nel maggio 1883 una lettera descriveva la spedizione di schiavi alle isole portoghesi su cui secondo il resoconto dell'autore erano da poco arrivati 3000 lavoratori. Teoricamente erano liberi di tornare a casa in qualsiasi momento, tuttavia visto che la proposta non veniva mai formulata e nessuno poteva permettersi di farlo con mezzi propri, scriveva la fonte, diventavano apprendisti in eterno. Altri racconti dell'anno 1885 contraddicevano le affermazioni portoghesi secondo cui i lavoratori venivano trattati in modo umano, ma "perché allora torturarli senza pietà schiacciando loro le dita nella pressa, mutilarli e tagliar loro le orecchie, frustarli, uomini e anche donne avanti con gli anni, e bambini" dice il Reporter”131

In questo contesto ci fu chi si chiese perché non fosse ancora stata svolta un’indagine accurata sulla questione, viste le atrocità che si stavano attestando. Era Henry Woodd Nevinson un giornalista e corrispondente inglese che nel 1904 decise di partire alla volta dell’Angola per iniziare le sue indagini. Prima di partire però contattò i Cadbury, considerando che vista la loro vena di attivisti, sarebbero stati curiosi anche loro di scoprire cosa stava succedendo in quelle terre dove veniva prodotto la maggior parte del loro cacao; invece si rivelarono molto schivi ed evasivi, lasciando trapelare che erano a conoscenza di molte più cose di Nevinson e avevano scelto di chiudere un occhio sulla questione così da trarre profitto da un sistema che riusciva a contenere i costi delle materie prime grazie allo sfruttamento della manodopera. I Cadbury, come impresa del settore del cioccolato aveva tenuto anche degli incontri assieme

130Anti-Slavery International, The cocoa Industry in West Africa: A history of exploitation, 2004, p. 5

131

89

alle autorità portoghesi per rassicurare i produttori di cioccolato che ciò che era stato riportato era assolutamente esagerato e non si trattava di schiavitù ma di occupazione e condizioni di lavoro in Africa che non dovevano essere giudicate secondo gli standard europei. Il problema era che continuavano ad essere pubblicate senza sosta sul Reporter le testimonianze degli abusi. Nevinson partì, voleva capire se le denunce che continuavano ad arrivare erano davvero fondate. Questo si riporta del lavoro di Nevinson nel libro di Carol Off:

“Grazie al suo incarica all’Harper’s Monthly Magazine nel 1904 Nevinson arrivò in Angola per iniziare le sue indagini dove scopri tutte le infamie e torture che erano costretti a subire gli africani nei porti di Luanda e Banguela nell’isola di São Tome. Venne a conoscenza anche di come la schiavitù veniva legalizzata tramite dichiarazioni forzate che gli africani erano costretti a dire davanti alle autorità portoghesi in cui la schiavitù passava ad essere un sistema di serviçal, dove divenivano operai a contratto.”132

Era tutto vero. L’Harper’s pubblicò gli scritti di Nevinson nel 1906 in un libro intitolato “A modern slavery”, e subito scatenò la furia delle aziende produttrici di cioccolato, compresi i Cadbury che negavano tutto quello che Nevinson aveva scritto considerandolo esagerato, tanto riunirsi con la volontà di stilare esse stesse un report su quello che accadeva in quelle isole. A questo scopo i Cadbury assieme alle aziende Frys, Rowntrees e Stollwerck ingaggiarono Joseph Brutt che asserì quanto segue:

“Angolan people were taken to the islands against their will, and often under conditions of great cruelty, and that it was almost unknown for them to return to their homeland. Death rates were extremely high, an average 11per cent per year for adults for those estates on Principe”.

Nel 1909, alla luce delle pesanti dichiarazioni, le grandi industrie del cioccolato decisero quindi di boicottare il cioccolato proveniente da quelle zone, trovando però già prima delle regioni alternative dove poterlo coltivare. Vennero scelte le zone dell’Africa Occidentale come Costa d’Oro (attuale Ghana), Nigeria e Costa d’Avorio, dove l’albero del cacao era una pianta già conosciuta e coltivata, ma non a livelli industriali come nel caso di São Tomé e Príncipe; così i Cadbury e altre aziende stabilirono li la loro nuova giacenza di cacao stipulando accordi con i coltivatori africani indipendenti133.

132

Off Carol, Cioccolato amaro. Il lato oscuro del dolce più seducente, Nuovi Mondi, 2009, p. 70

133

90

La regione africana del Ghana nel 1920, diventò il principale esportatore di semi di cacao e nel 1956 aggiudicandosi il posto di prima nazione indipendente dell’Africa Occidentale, decise che la sua ricchezza sarebbe completamente derivata dalla coltivazione degli alberi di cacao. Il presidente Kwame Nkrumah introdusse un meccanismo secondo il quale i produttori di cacao potevano fissare congiuntamente il prezzo dei semi, ma questo non fece altro che aumentare il prezzo del bene nel lungo periodo fino a venderlo in quantità industriale facendo crollare il suo prezzo, lasciando il Ghana fortemente indebitato. Come se non bastasse, agli inizi degli anni ’80 le piantagioni di cacao del Ghana furono devastate da grandi incendi che lasciarono i produttori di cacao completamente in ginocchio senza trovare nemmeno la compassione delle industrie del cacao che come avevano sempre fatto in questi casi si recarono altrove alla ricerca di nuove terre da sfruttare. Le trovarono non molto distante, nella vicina Costa d’Avorio dove il leader e primo presidente Houphouet-Boigny mise al lavoro la Costa d’Avorio, non solo incoraggiando gli abitanti delle zone rurali a coltivare prodotti agricoli ma anche invitando i cittadini degli stati limitrofi ad andare a lavorare la terra della Costa d’Avorio. Era il 1965 e gli abitanti del vicino Mali, Burkina Faso e Guinea erano contenti di faticare in terre sconosciute, mentre gli ivoriani ne approfittavano per trasferirsi nelle città per poter beneficiare delle condizioni di vita migliori134.

Nel 1977 gli affari della regione andavano così bene che ebbe anche il merito di sorpassare il Ghana nella produzione di semi di cacao e diventare il maggiore esportatore di cacao del mondo.

Figura 4 – La produzione di cacao135

134

Off Carol, Cioccolato amaro. Il lato oscuro del dolce più seducente, Nuovi Mondi, 2009, p. 117

135

Cocoa production in West Africa, 1961-2001, tratto da Anti-Slavery International, The cocoa Industry in West

91

Dal grafico si può esplicitamente notare il momento in cui la produzione di Ghana e Costa d’Avorio si incontrano e si scambiano il ruolo di massimo produttore mondiale, è proprio attorno al 1975, facendo raggiungere alla Costa d’Avorio picchi di produzione altissimi.