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PRESENTAZIONE DEL CONTESTO GENERALE

2.1 LA NECESSITA’ DI TUTELARE I MINOR

Il tema dei bambini lavoratori, viene inquadrato fin dalla seconda metà dell’ 800 nel panorama internazionale, nel più ampio contesto della regolamentazione delle condizioni di lavoro, in particolare delle categorie più deboli, come donne e bambini, nato dalla consapevolezza delle pessime condizioni di lavoro nella fabbriche.

Così per primi, l’inglese Robert Owen ed il francese Daniel Le Grand diventarono famosi per i loro appelli “ai governi dei paesi europei affinché introducessero regole minime di tutela nel lavoro nelle fabbriche, in particolare sull’orario di lavoro e in tema di salute dei lavoratori”.63

Questa prima lotta all’insegna del riconoscimento dei diritti dei lavoratori, si unisce negli anni al tema dei diritti umani, e ci porta fino ad oggi lungo la via alquanto perturbata del lavoro minorile, soprattutto nei paesi in via di sviluppo dove il fenomeno è da considerarsi gravissimo.

Prima di qualunque altra cosa è necessario dare una definizione di “minore” e di “lavoro minorile”. Viene definito “minore” qualsiasi persona di età inferiore ai 18 anni secondo la Convenzione n.182, art.2 “the term child shall apply to all persons under the age of 18” e la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia del 1989, art.1 “a child means every human being below the age of eighteen years”, e in ognuna di queste convenzioni si ribadisce che tutti i soggetti sotto questa soglia d’età hanno diritto ad una particolare protezione.

Per quanto riguarda la definizione di lavoro minorile, la comunità internazionale trova un notevole ostacolo imbattendosi in discrepanze culturali e tradizioni radicate. Una definizione internazionale coerente, quindi, dovrebbe tener conto dei differenti standard nazionali e di una certa flessibilità per superare le lacune locali. Questo significa che la categorizzazione del fenomeno risulta ben differente tra i Paesi del mondo. Infatti in alcune culture, il lavoro del bambino non è visto come una deprivazione, ma costituisce un’opportunità se si considera l’alternativa per i bambini: la strada. Si tratta quindi di “una chance d’integrazione sociale ed

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una valida alternativa a ben più gravi forme di devianza”64. Si fa riferimento, inoltre, alle condizioni economiche e la volontà politica del paese per far fronte al cambiamento; infatti, l’applicazione frettolosa e improvvisata di principi lontani dal modo di essere di un Paese possono provocare conseguenze ben più gravi, in primo luogo per i bambini stessi. Pensiamo, per esempio, se un Paese recepisse un divieto di produzione di beni attraverso il lavoro minorile, pena sanzioni e multe. La conseguenza diretta sarebbe il licenziamento in massa da parte degli imprenditori di centinaia di bambini, che non potrebbe che provocare un’ulteriore degradazione delle loro condizioni di vita, decretando il passaggio dal settore del lavoro formale a quello informale, creando il presupposto per trattamenti ancora peggiori, come salari molto più bassi e situazioni lavorative ancora più pericolose, come il lavoro nelle strade. Un esempio è quello che avvenne nel 1992, quando l’introduzione del Child Labour Deterrence Act da parte del senatore Harkin proibiva l’importazione negli Stati Uniti di prodotti realizzati sfruttando il lavoro dei bambini. Un boicottaggio del genere fece tremare l’intero settore industriale con conseguenze soprattutto in Bangladesh, maggiore polo di delocalizzazione della produzione di capi di vestiario, “dove vennero licenziati di punto in bianco 50.000 bambini lavoratori”.65 Questo fece si che bambini e ragazzi, prima occupati in un ambiente lavorativo mediamente protetto, si ritrovarono letteralmente in strada, costretti a ripiegare in lavori degradanti e pericolosi come la prostituzione e spaccio, scendendo ancora di un gradino nella scala dei lavori rischiosi per la loro salute.

Per citare l’OIL, il lavoro minorile viene definito così:

“The term “child labour” is defined as work that deprives children of their childhood, their potential and their dignity, and that is harmful to physical and mental development.”66

È utile tenere in considerazione, comunque, che questa definizione di lavoro minorile va ad abbracciare numerose sfumature e tipologie di lavoro minorile individuate dalle Organizzazioni Internazionali, ed in prima linea dall’OIL, che prenderemo in considerazione in modo più approfondito nelle prossime pagine. Non tutte sono da abolire, ma spesso, la posizione, definita abolizionista, dell’OIL non lascia margine di dubbio e va a condannare qualsiasi forma di lavoro recependolo come illegale. Vedremo che, nel corso del tempo e della formulazione delle Convenzioni, anche l’OIL ha abbracciato una posizione intermedia,

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Coccia G., Arrighi A., Il lavoro minorile: studi, problemi, prospettive, Studi e Note di Economia, Anno XV, n. 2-2010, p.266

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Off Carol, Cioccolato amaro. Il lato oscuro del dolce più seducente, Nuovi Mondi, 2009, p. 148

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definita pragmatica, in cui considera di massima urgenza l’eliminazione soprattutto delle peggiori forme di lavoro minorile, continuando comunque ad agire affinché nessun bambino nel mondo sia costretto a lavorare per motivi di povertà e fame.

Quando nel 1919, si decretò l’atto costitutivo dell’ Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), il tema del lavoro minorile nelle sue svariate forme richiamò da subito la maggiore attenzione del panorama internazionale considerando la situazione del minore lavoratore come una situazione degradante, non solo per il bambino e la sua famiglia, ma anche per l’economia del paese in se, che evidenzia lacune nella regolamentazione del lavoro, e andrà a condannare l’esistenza futura di un intero paese che sarà ricco solo di generazioni di adulti analfabeti, per sempre relegati a lavori minori e mal pagati. Comunque, il lavoro minorile viene considerato come una risorsa per alcuni Paesi in via di sviluppo, che vanno a rispondere alle esigenze di molte aziende medio - grandi o multinazionali che ottemperando agli obblighi di profitti facili e sicuri, ripiegano sul lavoro a basso costo, incentivo non da poco per poter rispettare il paradigma ormai essenziale di “quantità e profitti”, a scapito di “qualità e diritti”. Le organizzazioni internazionali che si occupano di studiare il fenomeno e di supportare i governi in questione dando possibili soluzioni al problema, ma anche di sensibilizzare la comunità internazionale sono molteplici, a partire dall’OIL, l’ONU e altre organizzazioni istituzionali come l’UNICEF (United Nations International Children's Emergency Fund) o la Banca Mondiale, ed una miriade di ONG più o meno grandi che abbracciano la questione del bambino lavoratore in concerto con i governi e le multinazionali.