• Non ci sono risultati.

Capitolo II: Verso un paradigma alternativo di sviluppo

1. I diversi approcci allo sviluppo: da crescita economica a concetto complesso e

1.2 L’approccio delle capabilities

Dall’analisi effettuata nel paragrafo precedente emerge la necessità di superare il PIL come unico indicatore dello sviluppo. Da una parte, la deregolamentazione dei flussi finanziari a livello globale, la totale liberalizzazione dei mercati e la riduzione dei sistemi di assistenza e protezione sociale, non hanno portato i paesi ad un maggiore livello di sviluppo, ma, al

38 Si cita a questo proposito lo studio comparativo tra Cina e India effettuato da Sen: “It is very likely than China’s

growth rate has been higher than India’s, but not radically higher. China has remained a poor country in terms of GNP and has not decisively parted company with India in this respect. Where it has parted company is precisely in the matter of functionings and living standard, which must not be confused with GNP per head. The capabilities of the Chinese masses are now immensely superior in many vital respects than those of the Indian masses. They live a good deal longer, have much safer infancy and childhood, can deal more effectively with illness and diseases, can mostrly read and write, and so on. The ‘economic distance’ between China and India is much more telling in terms of living standard and functionings than in terms of GNP and commodities” (Sen, 1985, p.80).

68

contrario, hanno fatto crescere le diseguaglianze interne ed esterne (Vicari Haddock, Moulaert, 2009). Dall’altra, il PIL come unico metodo di valutazione dello sviluppo non considera queste diseguaglianze, perché troppo semplicistico e poco attento alle questioni distributive. L’approccio delle capacità e l’introduzione dell’ISU come indicatore delle dinamiche di sviluppo possono, in parte, risolvere questo dilemma.

Il ‘paradigma delle capabilities’ (Sen 1985, 1992; Nussbaum, Sen, 1993; Nussbaum 2000, 2012) è stato sviluppato a partire da studi e ricerche compiute da Amartya Sen e da Martha Nussbaum.39 Esso è stato impostato come risposta al ‘paradigma utilitarista’, più volte criticato dall’economista e filosofo indiano (Sen, 1984)40. L’utilitarismo41 è stato a lungo considerato nell’analisi economica per misurare il benessere individuale. Esso considera l’utilità individuale come soddisfazione\felicità o come desiderio\appagamento42. Secondo il paradigma utilitarista, l’utilità, concettualizzata in modo diverso a seconda del filone teorico di appartenenza, corrisponde al benessere. La rilevazione del livello di soddisfacimento soggettivo – l’utilità per l’appunto - consente di valutare la qualità complessiva della vita degli individui. Nonostante Sen riconosca alcuni vantaggi legati a questa prospettiva economica, come il superamento della concezione del benessere in termini di opulenza di beni e ricchezze e la comprensione della complessità della misurazione del benessere, egli lo critica in diversi suoi scritti (Sen 1986; Sen 1992). Altri autori criticano la prospettiva utilitarista. Zamagni, ad esempio, spiega che (1986, pp.28-29) “sul terreno dei diritti, l’utilitarismo è particolarmente fragile e ciò per tre ragioni specifiche. In primo luogo, per la sua visione alquanto ristretta della personalità umana: essenzialmente, l’utilitarismo vede le persone come localizzazioni delle loro rispettive utilità…Una volta considerata l’utilità della persona, l’utilitarismo non ha alcun ulteriore diretto interesse a qualsiasi informazione su di essa. In secondo luogo, perché i diritti, in quanto rappresentano aree di discontinuità – aree cioè in cui il trade-off illimitato tra le alternative in gioco neppure può essere concepito -, non possono trovare posto in una struttura teorica che

39 Come ricorda Nussbaum (2012), storicamente l’approccio delle capacità è influenzato da prospettive filosofiche che trattano della realizzazione dell’individuo. La filosofa individua quindi le origini storiche di tale approccio nel pensiero aristotelico prima (in quanto i politici dovrebbero impegnarsi nel produrre capacità e opportunità) e negli stoici poi (i quali considerano che tutti gli esseri umani hanno pari dignità).

40 Sen nei suoi testi non mette in discussione solamente l’utilitarismo, ma anche altre teorie come, ad esempio,

quella rawlsiana sui beni primari, o il libertarismo di Nozick, che dà valore principalmente alle libertà negative intese come semplici limitazioni dell’azione (Sen, 1992).

41 L’approccio morale utilitaristico può essere scomposto in tre distinti elementi: i) consequenzialismo (tutte le

variabili di scelta, per esempio le azioni e le politiche, vengono giudicate interamente in base agli stati di cose che ne conseguono); ii) welfarismo (giudicare gli stati di cose completamente in termini delle informazioni di utilità personali relative ad essi); iii) ordinamento-somma (giudicare le informazioni di utilità personali interamente in base alla loro somma totale) (Sen, 1986, p.89).

42 Il concetto di utilità viene infatti teorizzato in modo diverso da parte delle teorie utilitaristiche classiche,

69

invece postula la continuità. La terza ragione, infine, ha a che vedere con quel principio costitutivo dell’utilitarismo che è l’ordinamento-somma (sum-ranking): il metodo appropriato per stabilire il valore da assegnare ad uno stato sociale, date le informazioni rilevanti contenute nel vettore di utilità, è semplicemente quello di sommarne gli elementi. Chiaramente, nel mettere assieme i pezzi di utilità in una somma totale si perdono sia l’identità degli individui sia la loro separatezza, requisiti questi ovviamente necessari per rendere possibile un’attribuzione di diritti”. Anche Nussbaum (2012) critica l’utilitarismo, e lo fa sulla base di quattro motivazioni principali: l’aggregazione delle vite e degli elementi delle vite (non si considera la sottoclasse che vive una vita misera ma neanche la complessità legata alla soddisfazione del soggetto), la malleabilità sociale delle preferenze e delle soddisfazioni (certe volte le persone accettano passivamente lo status quo) ed, infine, la considerazione della soddisfazione come un obiettivo dello sviluppo (ma una persona può sentirsi soddisfatta in modo ingannevole, anche senza aver fatto o raggiunto nulla).

Il ripensamento del discorso sulle diseguaglianze sociali e sulla povertà e la messa in discussione delle teorie dello sviluppo elaborate fino alla metà degli anni Ottanta sono stati, quindi, degli elementi fondamentali che hanno portato all’elaborazione del capabilities approach. Esso si fonda su tre elementi principali: i ‘funzionamenti’ (functionings), i ‘titoli’ (entitlements) e le ‘capacità’ (capabilities). I funzionamenti possono essere considerati come gli usi delle caratteristiche dei beni da parte di una persona – ad esempio, il movimento di cui una persona può usufruire se possiede una biciletta da utilizzare come mezzo di trasporto. Essi rappresentano dunque ciò che un individuo è in grado di fare o è in grado di essere secondo le sue specifiche esigenze, desideri e bisogni. Gli entitlements riguardano i beni posseduti – che, secondo Sen, non possono assicurare il benessere e la felicità individuale (Paltrinieri, 2012). Essi, infatti, possono essere degli strumenti per raggiungere dei funzionamenti, i quali rappresentano, in parole povere, che cosa una persona riesce a fare o a essere. I funzionamenti sono quindi qualcosa di diverso rispetto al solo possedimento di beni o al raggiungimento di un’utilità (Sen, 1985). Le capacità sono intese, invece, come le combinazioni potenziali di funzionamenti che una persona può realizzare liberamente. Poiché gli elementi che condizionano la qualità della vita delle persone sono molteplici (ad es.: istruzione, salute, integrità fisica etc.), l’approccio parla sempre di capacità al plurale (Nussbaum, 2012). Questo pluralismo non si limita ad essere un pluralismo rispetto alla quantità, ma anche alla qualità delle capacità; per questo motivo, l’approccio delle capacità è pluralista rispetto al valore (Ivi, p.26). Il legame tra questi tre elementi spiega con chiarezza la teoria di Sen sul benessere individuale: l’insieme delle funzioni di utilizzazione e l’insieme dei beni sui quali la sua scelta

70

si basa determina i livelli di well-being dell’individuo (Zamagni, 1986). Naturalmente, le capacità hanno delle relazioni con le caratteristiche dei beni posseduti, ma è alle prime che ci riferiamo se vogliamo dare valore al percorso di sviluppo. Ecco un esempio fornito dall’economista indiano per spiegare il legame tra questi tre elementi (Sen, 1992, p.133): “se, ad esempio, riteniamo importante che una persona possa funzionare senza carenze nutrizionali, tenderemo a favorire, fino a un certo punto, le soluzioni che prevedono che la persona in questione abbia più cibo con quelle caratteristiche nutrizionali, ma questo non significa che riteniamo importante il possesso di cibo in quanto tale. (…) Se attribuiamo valore alle capacità, sono proprio queste ad avere valore per noi, e il possesso di beni con le relative caratteristiche viene considerato strumentalmente e contingentemente importante solo nella misura in cui ci aiuta a ottenere ciò cui attribuiamo valore, vale a dire le capacità”.

L’approccio delle capacità, può essere considerato come una svolta paradigmatica essenziale per poter osservare lo sviluppo da un punto di vista più complesso e sistemico. Esso, infatti, propone una nuova idea di sviluppo che prevede la creazione di un ambiente in cui le persone possano sviluppare pienamente le proprie potenzialità e abbiano la possibilità di condurre una vita in base alle proprie necessità e ai propri interessi, che possono variare a seconda delle specifiche caratteristiche soggettive.

Nella teoria delle capabilities la ‘libertà’ e la ‘scelta’ hanno un ruolo molto importante. Come verrà evidenziato più avanti, infatti, la libertà degli individui è molto importante nei processi di sviluppo. Essa viene intesa in senso sostanziale e positivo, ossia come possibilità di agire e di essere, in contrasto con un concetto di libertà negativa intesa come assenza di impedimenti formali.43 Per quanto riguarda la scelta, invece, essa non deve essere pensata solamente come un problema relativo a che cosa un individuo riesce a raggiungere, ma anche tra quali opportunità la persona è libera di scegliere: “in this view, the ‘good life’ is partly a life of genuine choice, and not one in which the person is forced into a particular life – however rich it might be in other respects”. (Sen, 1985, p.70).

Uno dei pregi che presenta questo paradigma rispetto a quello utilitarista è legato agli aspetti valutativi: mentre nell’ultimo viene valutata solamente l’utilità in termini di felicità o di realizzazione di un desiderio, nel primo la valutazione dei funzionamenti raggiunti è un aspetto

43 Da questa visione emerge chiaramente l’importanza attribuita al ruolo attivo del soggetto (agency) al fine di

realizzare sé stesso (Appadurai, 1996), e quindi come necessità morale, ma anche come azione utile allo sviluppo della collettività nel suo complesso. Come per l’innovazione sociale, quindi, l’agency ritorna ad essere un concetto centrale anche in relazione ai processi di sviluppo.

71

centrale (Sen, 1985). Nell’approccio della capacità, il benessere non viene più misurato in termini di ricchezza o di utilità, ma in termini di funzionamenti che vengono raggiunti.

La teoria delle capabilities elaborata da Sen ha avuto numerosi seguaci così come numerose critiche. Tra questi troviamo Martha Nussbaum. Anche se la filosofa morale continua a considerare l’approccio delle capacità come un approccio unitario, esistono delle differenze tra quelle che la stessa studiosa considera due “versioni”. “La mia versione, che orienta l’approccio alla costruzione di una teoria della giustizia sociale di base, aggiunge altri concetti al quadro d’insieme (quelli di dignità umana, di soglia e di liberalismo politico). Come teoria dei diritti politici fondamentali, la mia versione dell’approccio impiega anche una specifica lista di ‘capacità centrali’. (…). L’interesse primario di Sen consiste invece nell’identificare nelle capacità il criterio più adeguato di confronto ai fini della valutazione della qualità della vita, cambiando in questo modo la direzione del dibattito sullo sviluppo. La sua versione dell’approccio non presenta un quadro preciso della giustizia di base, sebbene sia una teoria normativa e abbia un chiaro interesse per le problematiche della giustizia (…). Di conseguenza, Sen non impiega una soglia o una specifica lista di capacità, sebbene nel suo discorso emerga come certe capacità (per esempio, cure mediche e istruzione) abbiano un’importanza centrale. E non fa neppure un uso teorico del concetto di dignità umana, nonostante ne riconosca certamente l’importanza. Allo stesso tempo, Sen propone che la teoria delle capacità sia la base per una valutazione complessiva della qualità della vita di una nazione, e in questo si distacca dalle finalità volutamente limitate del mio liberalismo politico” (Nussbaum, 2012, p.27). Da questo estratto emergono in modo chiaro le differenze tra Sen e Nussbaum, che riguardano sostanzialmente le finalità della teorizzazione e dell’applicazione dell’approccio ed il suo utilizzo. Nussbaum, infatti, propone una lista – aperta e discutibile – di dieci capacità che ritiene centrali per assicurare la dignità umana.44Secondo la filosofa statunitense esse costituiscono “una base per un’idea di diritti politici fondanti” (Ivi, p.72).