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Archéologie fiction: prefigurazion

Se nel loro rapporto con l’immaginario, le rovine sono state sempre considerate come dispositivi da osservare e da cui trarre ispirazione, allo stesso tempo, hanno

in alcuni casi costituito delle macchine del tempo113, capaci di prefigurare il futuro114.

La capacità di prefigurazione della rovina era già molto chiara a John Soane quando

chiese, nel 1830, all’artista Joseph Michael Gandy di rappresentare la Banca d’Inghil- terra sia nell’aspetto che essa avrebbe avuto una volta venuta meno la coesione fra

le sue parti, sia nella sua condizione di non finito115. John Soane era talmente os-

sessionato dall’idea della rovina architettonica che, dopo aver finito la costruzione della sua casa a Lincoln’s Inn Fields a Londra (1792-1824), scrisse un rapporto fittizio

sull’edificio come se fosse stato vergato da un immaginario antiquario del futuro, che veniva descritto “come una rovina vera e propria”116.

112 F. Purini, 2008. Attualità di Giovanni Battista Pirane- si, G. Neri (ed.), Librìa, Melfi, p. 31.

113 Si veda: AA. VV., 2007. “Imaginaire des ruines”,

in Protée. Revue Internationale de théories et de pratiques sémiotiques, vol. 35, n. 2, Chicoutimi, Québec, Canada.

114 “…io cammino tra due eternità. Da qualunque parte io volga gli occhi: gli oggetti che mi circondano mi annunciano una fine e mi rassegnano a quella che mi attende”. In: D. Diderot, 1995. Ruines e Paysage. Sa- lon de 1767 (testo curato da E. M. Bukdal, M. Delon,

A. Lorenceau), Paris Hermann, p. 338.

115 F. Purini, 2000. Comporre l’architettura, Editori

Laterza, Bari, p. 59.

116 J. Pallasmaa, 2012. Frammenti. Collage e discontinuità nell’immaginario architettonico, M. Zambelli (ed.), Giave-

doni, Pordenone, p. 46.

Anche la rovina futura ipotizzata, qualche anno prima, da Hubert Robert, detto

Robert des Ruines, per la Grande Galerie del Louvre (1796) racconta tale capacità di pro-

iezione che, anticipando le distruzioni future, evidenzia l’ineluttabile precarietà del reale117.

In realtà, già Diderot nella seconda metà del ‘700 aveva individuato ed espresso questo importante rivolgimento concettuale: la rovina non più come icona del passato o come chiave di lettura del presente, ma come “anticipazione” del futuro. Diderot parla, infatti, di una “poetica delle rovine” che conduce alla consacrazio- ne del rudere come elemento compositivo nella città e nel paesaggio e, allo stesso tempo, rileva una propensione ad una meditazione temporale prospettiva più che retrospettiva, poiché anticipa, col pensiero, le rovine del futuro. La rovina pone, in questi casi, la condizione del presente della materia come prettamente culturale, quasi incorporea, divenendo così una sorta di “ologramma che guardato può tra- sportare in altre ere”118.

L’attitudine ad utilizzare la rovina come dispositivo prefigurativo nata nel XVIII secolo

sarà alla base della concezione moderna della rovina come simbolo di provvisorietà praticata, in particolare, a partire dalla seconda metà del Novecento, attraverso il filone della rovina anticipata, della cosiddetta archeologie fiction. Se i pittori di rovine del

XVI secolo immaginavano un passato bucolico e i pittori del XVIII secolo imma- ginavano un passato sublime, gli artisti contemporanei, in un’epoca che privilegia

117 “La poétique des ruines rencontre le thème du chaos: quel- que chose se désorganise, se rompt, qui produit una séparation des éléments initialement liés, voire meme une destruction de l’ensemble”. In: S. Lacroix, 2008. Ruine. Éditions de la

Villette, Paris, p. 45.

118 S. Marini, 2010. Nuove terre, op. cit., p. 58.

M. Scolari, Paesaggi di rovine, 1982

G. Basilico, Beirut, 1991

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Interpretazioni

l’ “eterno presente”, immaginano un passato tragico non ancora avvenuto: “tutto avviene come se l’avvenire non potesse che essere immaginato come il ricordo di un disastro di cui noi oggi avremmo solo il presentimento”119.

Si pensi ai quadri di Carel Willink, come ad esempio Gli ultimi visitatori di Pompei

(1930) o Simeone lo stilita (1939), in cui è rappresentato lo spettro della catastrofe.

Così come, in tempi più recenti, Anne e Patrick Poirier hanno conferito alle loro

rovine della mente un senso di tragica scomparsa: le città immaginarie di Mne-

mosyne (1996), di Exotica (2000) ed Amnesia (2009) rispecchiano un’utopia nera, che

sembra prefigurare disastri successivi, realmente accaduti.

Scrive Augè: “è significativo che per restituire il tempo alla città, gli artisti abbiano bisogno di rovine […] Ma è significativo altresì che gli artisti abbiano bisogno, per immaginarle, di farne un ricordo a venire, di ricorrere al futuro anteriore e a un’utopia nera, quella di un disastro che avrà costretto l’umanità ad abbandonare i luoghi”120. Persino le “rovine inesistenti” del World Trade Center di New York,

sono state in grado di sollecitare l’immaginario e l’immaginazione degli artisti, che hanno, ad esempio, rappresentato il momento che precede la rovina oppure hanno trasposto l’avvenimento in altri luoghi, in modo da riflettere sull’identità riattualizzandola nell’ambiente quotidiano.

Nel cinema, la capacità prefigurativa della rovina ha ispirato molti registi con- temporanei, tanto che è stato introdotto un genere specifico, identificato come “le registre fantastique”121 della rovina, in cui numerosi film raccontano e anticipano

grandiose città apocalittiche in rovina, raffigurando degli scenari di futuri (im) 119 “Oggi in un momento di crisi, di elogio del

dubbio in cui ci si interroga sulla autenticità e sulla capacità, da parte delle arti, di esprimere significati, in un’epoca che sa distruggere, e lo fa anche in modo massiccio, ma che privilegia il presente, l’immagine e la copia, alcuni artisti sono stati sedotti dal tema delle rovine. Non come i pittori di rovine del Settecento, per giocare – malinconicamente o edonisticamente – con l’idea del tempo che passa, ma per immaginare il futuro”. In: M. Augé, 2004. Rovine e Macerie, op. cit.,

p. 98.

120 M. Augé, ibidem, p. 99.

121 cfr. A. Habib, 2008. Le temps décomposé: cinéma et imaginaire de la ruine. Université de Montréal,

Département de Littérature comparée Faculté des Arts et sciences, option littérature et cinéma. Montréal, Canada.

possibili e dando vita alle più sfrenate visioni o alla più recondite e allarmanti paure del futuro, si pensi ai classici Metropolis (1927) di Fritz Lang o The planet of the Apes (1968) di Franklin J. Schaffner, ma anche ai recenti Dogville (2003) di Lars

von Trier, The Day After Tomorrow (2003) di Roland Emmerich o Inception (2010) di

Christopher Nolan.

Allo stesso tempo, anche numerosi architetti contemporanei hanno indagato la ca- pacità di prefigurazione immaginativa della rovina. Secondo Purini, infatti: “molti architetti hanno rappresentato i loro progetti come rovine, o introdotto come nel museo di James Stirling parti ruderizzate. Ludovico Quaroni è stato autore nel 1987 di un progetto per il Vittoriano in cui la bianca mole in marmo botticino di Giuseppe Sacconi veniva semidemolita per trasformarla in un’architettura asso- nante con le contigue rovine dei Fori Imperiali”122.

Juhani Pallasmaa sottolinea come alcuni architetti introducano in alcuni loro pro- getti immagini di rovine: “anche Alvar Aalto usò immagini subconscie di rovi- ne e di erosione, come le immagini di antichità, per risvegliare una confortevole sensazione di stratificazione del tempo e di profondità della cultura. Poi anche successivamente Sigurd Lewerentz e Peter Zumthor”123.Su un altro versante, i pro-

gettisti americani di Site disegnano spazi funzionali e di consumo, come parcheggi o supermercati, concepiti in forma di ruderi, che anticipano i paesaggi dell’era post-atomica.

L’utilizzo della “rovina preventiva” si afferma dunque come una vera e propria categoria compositiva derivante dalla categoria pittorica delle ruines anticipées.

Sembra utile fare riferimento ad un’ultima immagine molto interessante all’in- terno di un discorso che indaga la capacità di prefigurazione immaginativa della rovina e alcune interpretazioni, rifacendosi alle intuizioni di John Soane, fanno riferimento in diverse occasioni: l’immagine del cantiere-rovina.

Franco Purini, ad esempio, riferendosi ai tempi del progetto, sostiene che nelle pri- me fasi costruttive del cantiere, l’edificio assuma un aspetto che anticipa quello che esso assumerà in seguito nella condizione di rovina: “lo stato di rovina coincide con un momento inziale della costruzione, in una suggestiva circolarità di esisten- za dell’edificio”124. La rovina non compare in maniera inaspettata alla fine del ciclo

di esistenza dell’edificio, ma si anticipa nelle prime fasi della costruzione come una previsione di ciò che avverrà in futuro. In questa ottica, forse quella del cantiere è “l’immagine che più sospende l’immaginario metropolitano in una dimensione dell’altrove: arresto del tempo, della contemporaneità, anacronismo romantico. Ma il cantiere è anche il luogo in cui il tempo entra in cortocircuito con se stesso:

122 F. Purini, 2015. “Il nuovo e tre forme dell’anti- co”, op. cit., p. 80.

123 J. Pallasmaa, 2012. Frammenti, op. cit., pp. 46-47.

124 F. Purini, 2000. Comporre l’architettura, op. cit., p. 59.

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inizio e fine si equivalgono e si sovrappongono, la durata delle cose si scontra con il loro destino ultimo”125.

Immagini di cantieri urbani come quelli di Beirut, Postdamerplatz sono in grado di suscitare, come direbbe Augé, che ha anch’egli lungamente ragionato sull’imma- gine del cantiere, un senso di attesa: “come le rovine, i cantieri hanno molteplici passati, passati indefiniti che vanno ben al di là dei ricordi della vigilia, ma che, a differenza delle rovine raggiunte dal turismo, sfuggono al presente del restauro e della spettacolarizzazione: sollecitano l’immaginazione fintantoché esistono”126.

Un senso di attesa capace di far riemergere speranze e ricordi assopiti, ridestando tentazioni del passato e del futuro. Come le rovine “i cantieri sono spazi poetici: vi si può fare qualcosa; la loro incompiutezza contiene una promessa”127.