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Frammenti dell’immaginario: trasfigurazion

Ed è proprio a patire da tale “senso di promessa” che, nella definizione del rap- porto tra rovina e immaginario, sembra possibile considerare, infine, la capacità di trasfigurazione immaginativa delle rovine. Mentre la prefigurazione consisteva nell’anticipare le rovine del futuro, la trasfigurazione indica un “andare oltre l’im- magine stessa” e denota una reinterpretazione, un totale cambiamento, un muta- 125 G. Froio, 2014. “Visioni e eterotopie: l’Iconogra-

fia della rovina nella definizione di scenari urbani contemporanei”, in Town files-uTopie/eTeroTopie, 13

aprile 2014, p. 6.

126 M. Augé, 2004. Rovine e Macerie, op. cit., pp. 92-93.

127 Ibid

mento, ponendosi come una possibile operazione progettuale. Dal punto di vista architettonico, infatti, “trasfigurazione”, come scrive Orazio Carpenzano, indica quel processo che “comporta strategie di mutazione e una continua interrogazione sul senso, attraverso la trasformazione dell’esistente”128.

Con questo concetto, si intende, dunque, mettere in risalto le capacità della rovina di dare vita a nuovi immaginari, attraverso la sua trasformazione, ricordando, come sostiene Richard Sennet che: “la forma incompleta incarna un credo creati- vo”129 e che, come scrive Salvatore Settis, “le rovine, innescando pensieri creativi,

generano ipotesi sul futuro”130.

In questo caso, la rovina diviene frammento dell’immaginario, una forma frammentata

che può essere reinserita nelle dinamiche progettuali e che può generare nuove trasfigurazioni.

L’indiscusso antecedente del filone della “trasfigurazione immaginativa” è sicu- ramente il visionario Giambattista Piranesi che, attraverso le vedute delle Carceri d’invenzione e la ricostruzione del Campo Marzio di Roma, rappresenta delle vere e

proprie nuove rovine della mente: “negli anni ’60 del Settecento, Roma diviene l’inventario delle sue rovine, un inventario fantastico, fuori norma, che altera la topografia della città e la ridisegna secondo un registro notturno, su di un versante oscuro e visionario”131.

La rovina è una fonte di conoscenza che Piranesi studia con cura filologica e scientifica, ma può diventare anche un mezzo espressivo, adoperato con il fine di suscitare emozioni. Costruire il “nuovo” attraverso i frammenti e le suggestioni del passato diventa uno strumento insostituibile132. L’architettura è considerata come

realtà immaginifica che la “mente di Piranesi” restituisce con prospettive artificiose e vedute simultanee come da visioni della memoria montate in successione133.

Il carattere eversivo contenuto nelle tavole ricostruttive del Campo Marzio si impone

con la forza d’urto di uno choc: in questa dissoluzione di ogni regola tipologica e

formale ciò che entra in crisi è proprio l’idea stessa di città. Quest’ultima, che Tafu- ri chiama “macchina gigantesca ed enigmatica” diviene un coacervo magmatico di frammenti, di ingranaggi sconnessi.

Nelle tavole del Campo Marzio, come afferma Franco Purini: “gli elementi subisco-

no una esaltazione iconica che li trasforma in emblemi allarmanti, in simboli di una storicità parallela che si annulla totalmente nelle immagini in cui essa si rico- nosce. Per questo motivo il Campo Marzio non pretende in alcun modo di essere archeologicamente attendibile. Anzi, il suo valore consiste proprio nel dimostrare che Roma conserva in sé infinite possibilità di evocare l’Antico, un’entità la quale, sfuggendo ai rigori della scienza archeologica, può proiettarsi liberamente nei vasti territori del fantastico”134.Le Carceri d’Invenzione costituiscono poi l’espressione più

128 O. Carpenzano, 2013. La post-produzione in architet- tura, in S. Marini, V. Santangelo (a cura di), Recycland, op. cit., p. 38.

129 R. Sennet, 2013. Incompleta, flessibile, senza confini. La città ideale è un romanzo aperto, in Atti Convegno interna-

zionale in onore di Guido Martinotti, Corriere della Sera, 13 aprile 2013.

130 S. Settis, 2010. Rovine. I simboli della nostra civilità che rischiano di diventare macerie, op. cit., p. 44.

131 cfr. M. Tafuri, 1980. La sfera e il labirinto. Avanguar- die e architettura da Piranesi agli anni ’70, Einaudi, Torino.

132 Ibid

133 cfr. M. Yourcenar, 2004. La mente nera di Piranesi,

in M. Yourcenar, Con beneficio d’inventario, Bompiani,

Milano, pp. 101-146.

134 F. Purini, 2008. Attualità di Giovanni Battista Pirane- si, G. Neri (ed.), Librìa, Melfi, p. 31.

C. Willink, Gli ultimi visitatori di Pompei, 1930;

C. Willink, Simeone lo stilita, 1939;

H. Robert, Grande Galerie del Louvre, prima e dopo il disastro, 1796;

R. Whiteread, House, 1993;

F. J. Schaffner, The planet of the Apes, 1968;

R. Emmerich, The Day After Tomorrow, 2003

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Interpretazioni

avanzata di questo linguaggio visionario portato all’eccesso.

Le rappresentazioni piranesiane rivelano un pluralismo di forme desunte da fonti figurative di diversa natura costituite dai reperti rilevati, ridisegnati e in parte reinterpretati. In tale palinsesto, i ruderi vengono descritti come degli spazi cavi, scomposti, frammentati, ri-assemblati, trasfigurati. La ricognizione e la conoscenza archeologiche sono determinanti nell’assumere una particolare posizione estetica del sublime e un atteggiamento non mimetico, ma incentrato sulla rielaborazione immaginifica della rovina.

A partire dalle visioni piranesiane, numerosi architetti contemporanei si sono la- sciati travolgere dalla capacità di trasfigurazione immaginativa della rovina, intesa come frammento immaginifico.

Si pensi, ad esempio, alla Città spaziale di Arata Isozaki (1960) in cui scenari archeolo- gici e fantascientifici sono rappresentati in un collage di frammenti appartenenti ad epo-

che lontane fra loro: frammenti di antichi templi dorici convivono con tralicci di ferro e acciaio; basamenti diroccati con nastri autostradali attraversati dal traffico automobilistico. Forse ancora più sconcertante risulta l’utopica Arcosanti di Paolo

Soleri, in Arizona, in cui la lezione wrightiana di Brodoacre City si contamina di

riferimenti piranesiani e istanze ecologiche: una città del futuro labirintica, porosa, ipogea, sostenibile, che ha fatto dell’ecologia il suo credo più profondo. La dimen- sione utopico-archeologica è presente anche nel lavoro di Franco Purini il quale, ha definito una linea di ricerca che ha fatto dell’idea di stratificazione archeologica un tema ricorrente135. Inoltre, per alcuni, come ad esempio avviene nel Junkspace di

Rem Koolhaas, la narrazione dei rottami della contemporaneità produce l’effetto di un iperrealismo visionario e perversamente cinico.

Peter Eisenman, che, com’è noto, ha dedicato ampi studi alla reinterpretazione critica delle rovine piranesiane, individua quest’ultime diano vita ad un “palinsesto multiplo, una serie di sovrapposizioni che mescolano il fatto con la finzione”136.

A partire da tali studi, Eisenman ha indagato a più riprese le valenze immaginative dell’archeologia restituendo planimetrie “altre” di città quali Roma, decomposte e ricomposte in scarti dislocati nel tempo e nello spazio facendo emergere il “testo represso” come inconscio della città antica. Con la metafora archeologica immagi- naria, egli disegna la riscoperta di una memoria collettiva rimossa nelle stratigrafie paesaggistiche, storiche ed emotive di una città più volte ferita. Inoltre, attraverso la sua “archeologia fittizia”137, traspone l’archeologia in un approccio progettuale

di lettura e interpretazione spaziale in cui la rovina diviene vera e propria fonte di immaginazione progettuale.

In questa direzione, nel 1975, Aldo Rossi compone, secondo uno stile che evo- 135 G. Froio, 2014. “Visioni e eterotopie”, op. cit., p. 5.

136 cfr. P. Eisenman, 2005. Contropiede, Skira, Milano,

p. 40.

137 cfr. P. Eisenman, 1995. Ciudades de arqueología ficticia: obras de Peter Eisenman: 1978-1988, Centro de Pu-

blicaciones Ministero de Obras Publicas, Transportes y Medio Ambiente, Madrid.

ca le rovine piranesiane, il disegno L’architecture Assassinée, dedicato a Manfredo

Tafuri, in cui alcune architetture, fra cui l’edificio residenziale del Gallaratese e il monumento di Segrate, sono rappresentate nel momento di andare in frantumi,

di divenire frammenti: un frame di movimento distruttivo. Esposto in occasione

della mostra newyorkese del 1976 presso l’Institute for Architecture and Urban Studies, alla quale Rossi era stato invitato dallo stesso Peter Eisenman, il disegno rappresenta rovina e frammentazione, nell’accezione con cui egli intende la ruin:

un oggetto con forma, luogo e storia, ma privo di funzione, in grado di dare inizio ad un un’invenzione.

Egli, infatti, immaginava “la città futura come quella dove si ricompongono i frammenti di qualcosa di rotto dall’origine”, in cui per “frammento” intendeva: “un piccolo pezzo staccato per frattura da un corpo qualunque. E con ciò esso esprime una speranza, ancora una speranza, e come tale non conviene con rottame, che esprime una moltitudine o un aggregato di cose rotte. In questa dizione, rotta- me potrebbe essere il corpo della città futura se le cose non dovessero cambiare e sempre più fosse accettato il disordine e poco meditata la previsione del futuro”138.

Allo stesso modo, si può ricordare anche la mostra Roma interrotta del 1978, in cui

l’ideatore della mostra Piero Sartogo propose un ripensamento della città eterna considerata nel suo insieme e nella sua continuità storica come un palinsesto. Fu proposto ai partecipanti139 di fornire una visione di “archeologia del futuro” o

“Archeologia inversa”, ovvero si chiese di immaginare delle visioni proiettive, si- curamente utopistiche, sulla pianta del Nolli della città di Roma, facendo un salto temporale all’indietro di 230 anni, per immaginare in quella condizione “mitica” delle trasformazioni “future”.

La rovina, attraverso le sue capacità di trasfigurazione immaginativa, può essere dunque letta come un insieme di parti frammentate, reali o immaginarie, ponen- dosi come una figura della frammentarietà di cui sembra possibile ricomporre i

138 A. Rossi, 1987. “Frammenti”, in Architetture 1959- 1987, A. Ferlenga (ed.), Electa, Milano, p. 7.

139 In particolare parteciparono gli architetti Piero Sartogo, Costantino Dardi, Antoine Grumbach, James Stirling, Paolo Portoghesi, Romaldo Giurgiula, Robert Venturi, Colin Rowe, Micheal Graves, Leon Krier, Aldo Rossi e Robert Krier.

G. Piranesi, Carceri d’invenzione, Tavola XIV,

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Interpretazioni

pezzi per dar vita a nuovi immaginari. La rovina diviene un insieme di frammenti

dell’immaginario, da ricomporre e trasformare140. Operare con i frammenti implica

porre l’attenzione su come questi elementi possano essere messi in relazione tra loro e con il contesto in cui sono collocati.

Molte sono, infatti, in realtà le pratiche progettuali contemporanee che ricompon- gono le rovine a partire dalle loro parti frammentate, operando attente operazioni di selezione e di scelta: “si prende un frammento dal tutto, si preserva e si usa nuovamente; la speranza è quella di essere capaci [...] di trasferire parte della magia della storia nel contemporaneo. In questo senso, questo processo potrebbe essere inteso come un feticcio. Ma si crea in questo modo una connessione tra la parte antica e la parte nuova, senza esplicitamente dover dichiarare una differenza tra le due componenti del progetto”141.

Si pensi, ad esempio, al progetto che Alberto Burri ha operato per il Cretto di

Gibellina in Sicilia (1984-89), un’operazione che potrebbe essere letta come una

vera e propria trasfigurazione immaginativa. Di fronte ai pochi frammenti e alle numerose macerie prodotte dal terremoto, egli ripropone la rovina come calco immaginato di se stessa, e di un tempo passato: “la rovina non ha più il tempo di mostrarsi perché e già maceria, e allora si ricostruisce come immagine della stessa: suolo fratturato, volumi ciechi, senza più vita”142.

L’operazione effettuata da Alberto Burri rende il Cretto un vero e proprio “luogo

dell’immaginario”, costruito utilizzando i frammenti e le macerie della vecchia cit- tà distrutta dal terremoto del 1968. Il Cretto ricopre diversi ruoli: è un “monumen- to” che ammonisce che in questo luogo è avvenuto qualcosa; conserva e preserva i resti della città, e, infine, riattiva la memoria del luogo, diventando, ogni estate il palco delle Oriestadi. In questo progetto le rovine vengono riutilizzate come fram- mento e materiale da costruzione per dar luogo ad un’immagine allusiva, al tempo stesso “tellurica” e urbana143.

140 Della distinzione tra rovina e frammento si è parlato

all’inizio del capitolo: mentre la rovina rappresenta il tutto in modo evocativo, i frammenti sono per certi versi dotati di una propria indipendenza ed autonomia linguistica, tale da renderli materiali capaci di essere rimessi in circolo. Tuttavia, la rovina costituisce “ciò che resta di un intero, ora ridotto in frammenti” e si presenta come una figura della frammentarietà. Il carattere frammentato della rovina porta, dunque, a considerare il tema della ricomposi- zione dei frammenti.

141 A. Hild, 2012. Continuation. Material Recycling, in M.

Petzet, F. Heilmeyer, Reduce Reuse Recycle – Architecture as Resource, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern, Berlin.

142 cfr. A. Norcia, 2015. “La rovina, nuovo paradig- ma del XX e del XXI secolo”, op. cit., p. 37.

143 cfr. A. Ferlenga, 2013. “Imparare dalle rovine”, in Engramma. La tradizione classica nella memoria occidentale,

n. 110, ottobre 2013.

A. Burri, Cretto di Gibellina, 1996 Un intervento recente che opera in questo senso è l’ Imagery Garden a Vinaròs (2015)

di Camilla Mileto & Fernando Vegas López-Manzanares, realizzato a partire dai resti archeologici del complesso monastico del diciassettesimo secolo demolito nel 2001 e comprendente il convento e la Chiesa di S. Francesco. Gli architetti hanno recuperato l’immaginario a del luogo attraverso il riuso dei frammenti: le tracce dei muri antichi infatti sono state ricostruite fino ad un’altezza utile a trasformarle in panchine realizzate con i conci originari, le pietre, le tegole e i coppi trovati durante gli scavi; le nuove pavimentazioni in pietra locale invece si fondono con la vegetazione recuperando l’idea dei giardini del chiostro francescano e incorpo- rando al loro interno i resti archeologici del complesso.

Attraverso gli esempi mostrati e le considerazioni espresse in merito al rapporto tra rovina e immaginario, si è visto come la rovina sia sempre stata fonte di ispirazione del progetto del nuovo, come abbia spesso costituito il luogo delle più sfrenate immaginazioni e proiezioni future, e come, allo stesso tempo, sia stata spesso inter- pretata nell’arte e nell’architettura come frammento dell’immaginario – in qualità di for-

ma frammentata - che può essere reinserito in nuovi contesti di senso e significato. La rovina non provoca più una romantica malinconia, ma libera l’immaginazione.

C. Mileto & F. V. López-Manzanares, Imagery Garden, Vinaròs, 2015

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Interpretazioni

Dall’indagine sulle diverse interpretazioni di rovina emerge il suo mostrarsi come

scena che custodisce narrazioni plurali ed emerge con forza la sua immagine destabi-

lizzante, incompleta, che può racchiudere tutti i suoi possibili immaginari, passati e

futuri e che resta sempre come scolpita nel tempo e nello spazio. Raramente nelle sue trame interpretative, che siano esse pittoriche, fotografiche o architettoniche compare il movimento. Gli unici elementi dinamici sono quelli della natura. Eppure

etimologicamente il sostantivo rovina rimanda ad un costante movimento dall’alto

verso il basso e la rovina sembra mostrarsi, più di ogni altra architettura, come una forma del movimento.

Nel testo L’immagine-movimento. Cinema 1, Gilles Deleuze, nei suoi commenti su Ber-

gson riguardo alla sua terza tesi sul movimento, scrive che: “il movimento esprime qualche cosa di molto profondo, che è il cambiamento nella durata o nel tutto. Che la durata sia cambiamento, fa parte della sua stessa definizione: essa cambia e non cessa di cambiare. […] Il movimento è una traslazione nello spazio. Ora ogni volta che vi è traslazione di parti nello spazio, c’è anche un cambiamento qualitati- vo in un tutto”144. Successivamente, in L’immagine-tempo. Cinema 2, Deleuze prosegue

il discorso sostenendo che: “le posizioni sono nello spazio, ma il tutto che cambia è nel tempo”145.

La definizione di “movimento come cambiamento nella durata”, di cui parla De-

leuze, sembra un interessante punto di partenza per esaminare il rapporto tra la rovina e l’idea del movimento, in quanto consente di leggere tale rapporto attraverso

il tempo e il cambiamento. D’altronde: “è sempre grazie alla riscoperta del “tempo”

che si guarda all’architettura non più con una semplice istantanea, ma con una sequenza filmica”146 che si muove e cambia nel tempo.

Il movimento della rovina si può espremere come movimento del tempo, come movimento dell’identità e come movimento interno alla forma.

144 G. Deleuze, 2016. L’immagine-movimento. Cinema 1, Einaudi editore, Torino, pp. 12-13. [ed. originale:

G. Deleuze, 1983. L’image-mouvement. Cinéma 1, Les

Èditions de Minuit, Paris].

145 G. Deleuze, 2017. L’immagine-tempo. Cinema 2,

Einaudi editore, Torino, p. 42. [ed. originale: G. Deleuze, 1985. L’image-temps. Cinéma 2, Les Èditions de

Minuit, Paris].

146 S. Marini, 2010. Nuove terre, op. cit., p. 23.