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Progetto e movimento

“Il corpo-nello-spazio è il territorio in cui architettura e film si incontrano”104.

L’architettura si intreccia al cinema specialmente per via della pratica che concepi- sce la visione in relazione al movimento. La comprensione di un insieme architet- tonico avviene attraversandolo, così come la visione di un film avviene lasciandosi attraversare da un flusso di immagini dinamiche che restituiscono allo spettatore l’idea di uno spazio in cui egli ha la sensazione di trovarsi. Le immagini-movimen- to del cinema transitano sullo schermo e danno vita allo stesso movimento esperi- to dal visitatore nel suo percorso, interpretando in questo modo il peripatetismo dell’architettura.

Paul Frankl individua due categorie specifiche in architettura relative al tema del movimento: una riferita alle distribuzioni funzionali, l’altra all’esperienza della spazialità105, che è quella che in questo caso viene presa in esame. Se la categoria

funzionale è forse più comprensibile intuitivamente, la seconda categoria è invece riferita ad una serie di manifestazioni percettive legate alle possibilità esperienziali del soggetto106.

Seguendo questo filone teorico, è possibile individuare diversi esempi di grandi ar- chitetti che, nel corso del XX secolo, hanno saputo porre la questione dello spazio e del movimento quale elemento cardine della progettazione. Si pensi ad esempio all’architettura fenomenologica che vede tra i suoi dichiarati sostenitori Juhani Pallasmaa, Steven Holl e Alberto Pérez-Gòmez107 oppure all’architettura sensoriale

del premio Prizker 2017, il gruppo RCR Arquitectes, i quali sostengono un’idea di architettura, in cui la percezione spaziale è posta al centro della composizione. Sempre su questa scia, si possono richiamare gli studi di Renato Bocchi che nel suo

Progettare lo spazio e il movimento afferma che: “l’architettura oggi è più che mai un’ar-

chitettura di spazi relazionali dinamici anziché di scene statiche”108 e lo spazio

assume un ruolo centrale nella progettazione, così come nelle esperienze artistiche.

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Lo spazio, così come inteso in questi studi, è legato ad un’idea percettiva, ad un processo di elaborazione mentale tra oggetto e soggetto, tra realtà e corpo.

È chiaro dunque che l’idea del movimento organizzi l’architettura a partire da un’idea di esperienza, di esplorazione dello spazio mediante l’attraversamento. L’esperienza reale dell’architettura avviene infatti principalmente tramite il movimento nello spazio vuoto, che consente al fruitore, per mezzo del corpo, di cogliere tutte le proprietà e qualità fisiche sensoriali dello spazio.

“L’architettura si cammina, si percorre e non è affatto, come secondo certi inse- gnamenti, quell’illusione tutta grafica organizzata attorno ad un punto centrale che pretenderebbe essere l’uomo, un uomo chimerico, munito di un occhio di mosca e la cui visione sarebbe simultaneamente circolare. Quest’uomo non esiste […] munito dei suoi due occhi che guardano davanti a sé, il nostro uomo cammi- na, si sposta, dedicato alle sue occupazioni, registrando così lo svolgersi dei fatti architettonici che appaiono di seguito, uno dopo l’altro. Ne prova il turbamento, che è frutto di commozioni successive. Messa alla prova l’architettura si classifica come morta o viva in funzione di quanto la regola del movimento sequenziale sia stata ignorata o, invece, brillantemente seguita”109. Le Corbusier attraverso queste

poche righe spiega agli studenti delle università di architettura perché il tema del movimento è un fondamentale aspetto dell’architettura.

Sembra possibile ricollegare queste argomentazioni a quel montaggio “pittoresco” proposto dalla lettura dell’Acropoli di Atene di Choisy, di cui si è parlato, e dalla sua successiva assunzione come modello da parte dello stesso Le Corbusier, in funzione di una strategia spaziale-percettiva in movimento e da parte di Ėjzenštejn

come “esempio di calcolo dell’inquadratura, di alternanza delle inquadrature e per- sino di metraggio cioè di durata di una determinata impressione, che ci hanno la- sciato i greci”110. Da queste considerazioni si deduce un’architettura “pensata come

capacità di predisporre dei percorsi per lo sguardo, di progettare delle esperienze visive dispiegate nel tempo e nello spazio, facendo riferimento a uno spettatore in movimento le cui ‘vedute’ devono essere composte al fine di far sorgere in lui l’immagine complessiva, l’obraz, dell’oggetto architettonico”111.

E probabilmente, come fa notare Renato Bocchi, gli esperimenti del primo Le Cor- busier o dei Costruttivisti sono in prima istanza debitori soprattutto a questa linea di pensiero, anche se – nell’introdurre prepotentemente la tematica del movimento (l’avvitarsi nello spazio dei Proun di El Lisickij o la promenade architecturale di Le

Corbusier) e nel richiamarsi al “pittoresco greco” dello Choisy – aprono la strada ad una dimensione topologica ed esperienziale112, usando la tecnica del montaggio come procedimento e strategia spaziale che mette in gioco decisamente la dinamizzazione 109 Le Corbusier, 1982. Conversazione con gli studenti delle

scuole di architettura, Nuova Presenza, Palermo, p. 35.

110 S. M. Ėjzenštejn, Teoria generale del montaggio, op. cit., p. 79.

111 A. Somaini, Ėjzenštejn. Il cinema, le arti, il montaggio,

Einaudi, Torino 2011, pp. 335-336.

112 cfr. R. Bocchi, 2018. On Montage in Architecture, pp.

137- 154, in C. Baldacci, M. Bertozzi, Montage. Assem- bling as a form and symptom in contemporary arts, Università

IUAV di Venzia, Mimesis International, Venezia.

113 S. Ejzenštejn, “Piranesi o la fluidità delle forme”, in Manfredo Tafuri, La sfera e il labirinto, op. cit., p.107.

114 Per approfondire si veda il capitolo “Spazio e ar- chitettura peripatetica”, in R. Bocchi, 2009. Progettare lo spazio e il movimento, op. cit., pp. 31-90.

dello spazio e un rapporto stretto con lo spettatore-fruitore.

A tal proposito, infatti, secondo Ėjzenštejn: “la serie dei movimenti spaziali in pro-

fondità, separati l’uno dall’altro si struttura come un succedersi di spazi indipen- denti, simili a tanti anelli concatenati non in virtù di una continuità prospettica unitaria, ma in quanto urti successivi fra spazi la cui profondità ha un’intensità qualitativamente diversa. Questo effetto si fonda sulla capacità del nostro occhio di proseguire per inerzia un movimento in atto […] Sull’analoga capacità di con- servare le impressioni visive è fondato anche il fenomeno del movimento cinema- tografico”113.

Sono quindi il fattore tempo e il fattore movimento a introdurre una prima de-

cisa “umanizzazione” degli spazi prodotti da procedimenti di puro assemblage o

montaggio degli oggetti e a recuperare un po’ paradossalmente in tali esperimenti concetti assimilabili ad una poetica del tutto lontana come quella del “pittoresco”, spingendo verso una dimensione peripatetica dell’architettura114.

Non si tratta più in questi casi di un montaggio-assemblage, sia pure con esiti di

dinamizzazione dello spazio, ma di un “montaggio intellettuale o mentale”, che produce anche e soprattutto esiti di shock emozionale, che sconvolge le categorie

temporali, geometriche e spaziali canoniche, e sommuove gli animi; che agisce profondamente non tanto sullo spazio in sé quanto direttamente sul fruitore, sulle sue emozioni e sulla sua soggettiva percezione dello spazio.

Si determinano delle esplorazioni spaziali-cinetiche, in cui le immagini poste in suc-

cessione si sovrappongono alla linea narrativa lungo la quale è esposta l’esperienza nello spazio, proponendo una valorizzazione della possibilità “sequenziale” del progetto.

Allo stesso tempo, come afferma Filippo Lambertucci nel testo Esplorazioni spaziali:

“in qualità di progettisti è necessario riconoscere come ottenere quelli che Boullée chiama effetti spaziali, quei caratteri che ci spingono a muoverci, comportarci, reagi-

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re, interagire, vivere in un certo modo quando ci confrontiamo con un determina- to spazio”115. Risulta dunque necessaria una riduzione della complessità percettiva

in una serie di elementi – o effetti spaziali – singoli, più facilmente comprensibili e

quindi misurabili. Questi episodi spaziali si basano dunque sulla organizzazione di sequenze, sulla composizione di elementi posti in successione, sulla composizione dello spazio in funzione del tempo.

È facile intuire come il montaggio di oggetti architettonici possa diventare una modalità di azione che agisce sullo spazio: non tanto sugli oggetti medesimi, quanto sulla disposizione nello spazio degli oggetti stessi, a fondare uno spazio attraversabile, percettibile ed esperibile dal fruitore secondo sequenze in movimento e secondo tensioni o relazioni visive e di senso, aptiche, multi-sensoriali, fenomeno-

logico-percettive116.