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Trame filmiche e narrazioni plurali: vedere e narrare

Il dispositivo filmico, attraverso la decostruzione e la ri-articolazione del tempo e dello spazio che produce, si pone come il più potente dispositivo narrativo che il No-

vecento e l’impeto modernista abbiano prodotto; come “il più importante mezzo compositivo per dare sostanza al soggetto narrativo”85. È nel momento in cui il ci-

nema non si limita a registrare fedelmente la realtà, ma la racconta, modificandola e trasformandola, che diventa linguaggio ed espressione artistica.

Il cinema è una macchina che guarda e decostruisce, che fa presa sulle immagini, le cattura e le conserva86. Allo stesso tempo, il film è soprattutto una composizione

di segni. Un luogo in cui dei segni sono scelti, accostati e composti in modo da articolare una trama. Ogni film è una rielaborazione visiva e sonora di un tempo e

di uno spazio attraverso un racconto per produrre senso.

L’importanza del cinema come macchina narrante è stata subito recepita anche in architettura: “È forse possibile considerare che la più rilevante tra le narrazioni che ci giungono dalla dimensione del progetto incompiuto del Moderno, a cominciare

dal cinema, sia segnata dal denominatore comune del “montaggio”, che sembra

costituire lo scheletro metodologico delle diverse pratiche artistiche. Montaggio dunque come specifica forma storica della narrazione, parola magica ed evocativa di un esprit mécanique a cui certamente l’architettura non si sottrae e che, a partire

dal mondo dell’industria, la riallinea alla cinematografia”87.

Il montaggio e la postproduzione sono qui dunque guardati attraverso le loro va- lenze narrative, incentrate sull’organizzazione di una trama.

In questo senso, occorre specificare che la narrazione cinematografica o trama filmi- ca sia una delle componenti cinematografiche che regola buona parte della morfo-

logia dell’immagine cinematografica di un film attraverso l’adozione di vari codici narrativi88. La trama filmica per essere organizzata è scomposta in una serie di scene,

in cui con scena89 si intende l’unità base di un racconto cinematografico. Ogni

85 B. Fornara, 2001. Geografia del cinema. Viaggi nella messinscena, Scuola Holden, Milano, p. 103.

86 “Il cuore del problema stesso del cinema è il problema del vedere e del narrare”. In: J.-L. Godard, 1998. Le cinéma est fait puor penser l’impensable, op. cit., p.

294.

87 G. Morpurgo, 2018. “Per un’archeologia della narrazione in architettura”, op. cit., p. 153.

88 cfr. G. Patricola, 2015. Linguaggio e tecniche espressive del Cinema e del Video, Edizioni Gipat, 2° edizione; G.

Cecconi, La narrazione cinematografica, in Il linguaggio cinematografico, Alfafilm.it.

89 cfr. scèna in Vocabolario Treccani.

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scena è caratterizzata da un’unità di spazio, tempo e azione. Se cambiano le condi- zioni di spazio e tempo, ovvero se l’azione passa da un luogo a un altro, o da un tempo a un altro, cambia anche la scena. Una scena è parte di un’unità narrativa maggiore (la sequenza) e può avere al suo interno una o più inquadrature90.

Come la rovina, il cinema è dunque un dispositivo che rivela e comunica contenu- ti narrativi. Un dispositivo narrativo che definisce e seleziona uno o più sguardi, articola un racconto che, in fase di postproduzione, è riorganizzato per alterarne la dimensione spazio-temporale e per dar vita ad una narrazione di tipo lineare o ad una narrazione ibrida, intrecciata, scomposta.

Seguendo il filone narrativo della rovina e riconsiderandolo attraverso lo sguardo

filmico, la rovina da mappa di segni può essere guardata come una sorta di trama filmica - o anche di storyboard91 - costituita da scene che racchiudono narrazioni plu-

rali. Le rovine, infatti, ci fanno rilevare come un edificio abbia uno svolgimento nel tempo e nello spazio allo stesso modo di film e racconti92. La rovina è dunque

qui equiparata ad un insieme di “scene di narrazioni plurali” composte da tracce, segni e memorie, da riattivare e riconnettere in una nuova “trama” che va riorga- nizzata e raccontata attraverso il progetto di architettura.

Rispetto a tali considerazioni, risulta chiaro come, tra le diverse “forme della nar- razione”, particolare interesse rispetto al caso della rovina susciti la narrazione cinematografica, in quanto è una narrazione “in movimento” che presuppone la costante decostruzione dello sguardo e del racconto, per poi operare la concatena- 90 cfr. B. Fornara, 2001. Geografia del cinema, op. cit., pp.

105-109.

91 Con il termine storyboard si intende il racconto di

un film o anche di una scena fatto con inquadrature disegnate.

92 cfr. G. Morpurgo, 2018, “Per un’archeologia della narrazione in architettura”, op. cit., pp. 145-154.

zione degli eventi e la manipolazione della dimensione spazio-temporale. Infatti, a differenza della narrazione letteraria, che è monomediale e che si sviluppa utiliz- zando un’unica materia linguistica (la parola), quella cinematografica è multime- diale e utilizza diversi materiali (immagini, parole, rumori, musica).

A tal proposito, sembra possibile fare riferimento alle argomentazioni di Franco Purini, quando sostiene che il film costituisce una particolare scrittura artistica ed è

caratterizzato da tre livelli di significato: un significato referenziale diretto, costituito

da ciò che racconta, dalla trama e dagli eventi; un piano metaforico, che si basa sulla trasposizione delle vicende nella sfera allusiva, rilevandone le valenze simbo- liche; un livello autonomo, costituito dal senso estetico del film, dalla sua forma. L’opera si manifesta come un complesso di relazioni compositive nel quale tutto si tiene all’interno di una superiore unità semantica. Relazioni compositive che trascendono e unificano i due precedenti livelli di significato93.

Il film è, dunque, secondo Purini una particolare forma narrativa: una scrittura visiva, che si basa sulle azioni fondamentali della decostruzione e ricomposizione e che opera, da un lato, uno sguardo decostruito, dall’altro una costante apertura e variazione del testo narrativo.

Il dispositivo cinematografico decostruisce lo sguardo e il racconto, in quanto esso: “riprende, registra, riproduce il pro filmico94, ma insieme lo mette in quadro, lo

transcodifica, lo trasforma in qualcosa di simile e di diverso. Il lavoro dei codici filmici modifica il pro filmico, lo rielabora, ma al tempo stesso lo trasforma e lo

93 Da un intervento di F. Purini alla presentazione del libro di G. Grutter , 2017. Al cinema con l’architetto. Volume due, Timìa editrice, Roma, tenutosi presso il

Dipartimento di Architettura dell’Università Roma Tre il 10 dicembre 2017.

94 Con il termine profilmico, coniato da Étienne

Souriau (1951), s’intende “tutto quello che sta davanti alla cinepresa pronto per essere filmato: oggetti, volti, corpi, spazi interni ed esterni, prima della loro elaborazione cinematografica”.

Trame

C. Scarpa, Progetto per la copertura degli scavi del Duomo di Feltre, 1972

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raddoppia in modo fortemente differenziante, facendolo diventare altro”95.

In questa direzione, un punto di vista particolarmente significativo è rilevabile in alcune argomentazioni espresse dal filosofo Davide Persico nel testo Decostruire lo sguardo. Il pensiero di Jacques Derrida al cinema, in cui il pensiero di Derrida (con parti-

colare riferimento alla decostruzione) viene trasposto al dispositivo filmico, ripor- tando anche diverse nozioni presenti in alcuni saggi sviluppati dal filosofo stesso96.

Derrida, nonostante non abbia mai scritto saggi complessi sull’argomento, delinea un’idea di cinema come “arte di evocare i fantasmi”97 in quanto la pellicola co-

stituisce “un elemento fondamentale di ripetizione e rimozione della presenza”98,

ponendo interessanti questioni, soprattutto in merito al tema della decostruzione dello sguardo operata dal cinema.

Secondo Persico, il principale assunto della teoria di Derrida applicata al cinema consiste nel fatto che quest’ultimo produca: “non solo diverse immagini del mon- do e diverse forme visive in lotta tra loro, ma uno sguardo decostruito che attiva diversi

modelli di messa in scena, diverse configurazioni del visibile che implicano una mol-

tiplicazione dell’immagine e degli elementi iscritti al suo interno”99.

Ciò che ritorna sullo schermo è un materiale decostruito che mette in discussione una linearità spazio-temporale, pur rendendola agli occhi dello spettatore apparen- temente normale.

In questa prospettiva, il cinema si presenta come l’arte più innovativa, se non la più importante, che “riflette sul testo proprio perché alla componente più mera- mente segnica e narrativa delle sue strutture e del suo statuto unisce quella visiva e sonora; una struttura audiovisiva capace di configurarsi e riconfigurarsi conti- nuamente nell’apertura del testo stesso”100. Nella costante apertura e variazione del

testo narrativo, i film sono concepiti come “insiemi eterogenei e plurisignificanti capaci di attivare processi molteplici di disgregazione e auto-disgregazione delle proprie strutture formali”101.

Lo sguardo decostruito e la costante apertura del testo narrativo, propri del cine- ma, costituiscono degli strumenti di grande interesse per indagare la rovina archi- tettonica, in quanto aiutano a scomporre, segmentare le singole parti della “trama narrativa” costituita dall’edificio, per poi riguardarle, ricomporle, relazionarle in un nuovo racconto.

95 D. Persico, 2016. Decostruire lo sguardo. Il pensiero di Jacques Derrida al cinema, Mimesis, Milano-Udine, p. 52.

96 Ibid

97 P. Bertetto, 2016, “Lo sguardo e il fantasma. Der- rida e il cinema”, in D. Persico, Decostruire lo sguardo, op. cit., p. 9.

98 D. Persico, 2016. Decostruire lo sguardo, op. cit., p. 63.

99 D. Persico, 2016. Ibidem, p. 83.

100 D. Persico, 2016. Ibidem, pp. 86-87.

101 D. Persico, 2016. Ibidem, p. 98.