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Assemblare i frame: tagliare, accostare, sovrapporre

Da due inquadrature successive si colgono le interferenze che derivano dal loro ac-

costamento: “per sé stessi, i quadri, le fasi gli elementi che compongono l’intero, sono innocui e indecifrabili. Il senso si coglie solo quando gli elementi sono giu- stapposti in una sequenza di immagini”148.

Come si è visto in precedenza attraverso l’effetto Kulesov, un’identica inquadratura

assume un diverso senso in funzione all’altra che le viene accostata. L’interpre- tazione che deduce lo spettatore voyer deriva dall’interazione innescata dai frame.

L’assemblaggio comporta un lavoro compositivo fatto di scontri di linee, figure, movimenti e strati di senso, attraverso le tecniche del taglio, della sovrapposizione e dell’accostamento. Esistono diverse modalità di assemblaggio.

L’assemblaggio può dar vita a un montaggio parallelo, quando racconta contempo-

raneamente due o più motivi diversi, attraverso una soluzione di continuità, ma anche ad una composizione oppositiva che definisce un montaggio alternato, conflit-

tuale, oppositivo, con indicazioni che spingono in direzioni contrarie. Oppure può dar vita ad un montaggio analogico che mira a costruire un senso tramite l’acco-

stamento di immagini accumunate non da motivi narrativi, ma da un’analogia sul piano visivo, che “oltrepassa” il “fuori campo”149.

Come si è visto in precedenza, l’assemblaggio, può riguardare sia la costruzione di un nuovo film sia, in modo particolare e con procedimenti specifici, anche film legati al riuso di pellicole di repertorio, ossia il found footage film.

Tra le diverse modalità di assemblare i frame, particolare peso riveste l’operazione

del taglio. Il jump-cut, ad esempio, è una forma di assemblaggio che genera una

serie di salti tra le immagini attraverso il taglio di alcuni frame, di solito nella parte

centrale di un’inquadratura, lasciandone quindi inalterati le parti iniziale e finale, senza che tra loro ci sia continuità temporale (altrimenti chiamato taglio in asse). I jump cut sono dei veri e propri salti, inquadrature tagliate, in cui non ci si pre-

occupa di usare raccordi classici, ma neppure falsi raccordi; si usa semplicemente una ellissi temporale, che genera un salto temporale nella narrazione di un’opera. Sempre “salti di fotogramma” sono gli skip framing, ossia degli artifici tecnici che

servono a rendere più veloce uno zoom, così da diminuire il tempo di “avvicina- mento visivo” alla figura. Di queste tecniche fa largo uso David Lynch150, il quale

lavora su una costante riconfigurazione spazio-temporale, tesa ad alterare la perce- zione visiva e le associazioni spaziali, come accade in Mulholland Drive (2001) o in Inland Empire (2006).

Rispetto all’operazione del taglio si può richiamare, ad esempio, l’intervento di

148 S. M. Ėjzenštejn, 1989. Montage and architecture,

“Assemblage”, 10, p. 117.

149 cfr. D. Cassani, 2013. Manuale del montaggio. Tecnica dell’editing nella comunicazione cinematografica e audiovisiva,

Utet Università, Novara.

150 cfr. P. Bertetto (ed.), 2008. David Lynch, Marsilio,

Venezia. A. Rossi, La finestra del poeta, 1968

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trasformazione di un bunker a Culemborg in Olanda, realizzato nel 2010 dal grup-

po RAAF (Rietveld Architecture-Art-Affordances), in cui l’elemento in rovina è tagliato esattamente lungo il suo asse centrale. Il bunker, per sua natura un luogo ermetico e impenetrabile protetto da spesse mura di cemento, è dunque privato del suo spazio circolare, ora dotato di una passerella in legno che ne estende i rigidi limiti verso le acque del fiume. L’intervento ha un forte contenuto poetico tanto da aver trasformato una delle immagini della guerra in un sito dell’immaginario. Il

bunker 599 è stato dichiarato monumento nazionale.

Un’altra modalità di assemblage è quella che si basa sull’accostamento. Un esempio

in questo senso è costituito dall’installazione filmica With time di Pèter Forgács del

2009, che si compone di reperti filmici conservati nell’archivio visivo di un antro- pologo nazista, scoperto e sequestrato nel 1998. L’archivio comprendeva fotografie, fonti scritte e bobine di film in 16 mm che Forgács ricompone in un nuovo mon- taggio costruito attraverso tutti i volti “trovati”. Di grande interesse, in questo caso, è osservare il mutare dell’immagine in rapporto al contesto espositivo. Nella nuova

messa in forma di Forgács, infatti, la singola immagine selezionata ha senso solo in

rapporto a un determinato frame, costituito dalla cornice complessiva. Più del va-

lore specifico dell’immagine, risulta fondamentale il sistema di relazioni spaziali da essa istituito (in virtù di ciò che precede, di ciò che segue, di ciò che, in qualche modo, le sta intorno). I volti in cornice esaltano il valore dei singoli frame (pur su-

bendo uno “scioglimento” della texture, una sorta di dissolvimento dei pixel: come

se mutasse impercettibilmente in virtù di un “pennello digitale”). Mentre l’altra cornice, quella complessiva, attiene più alla “messa in serie” che alla “messa in luce” per cui ogni volto ha senso solo nella relazione con gli altri volti151. Si tratta

di un montaggio ambientale-associativo, più che lineare. “Quando gli occhi di due prigionieri si incrociano è come se arrivassero a instaurare un rapporto empatico, come se i loro sguardi attivassero una micronarratività”152. Bertozzi chiama questa

tecnica “migrazione figurale”, ossia il mutare dei singoli frame rispetto al contesto.

Un’ulteriore modalità di assemblare consiste nel sovrapporre o sovraimprimere i

frame tra di loro. In questo senso, una particolare tecnica è costituita dall’overlapping editing, che consiste nel riproporre in un’inquadratura successiva la ripetizione di

un’azione che è già avvenuta nell’inquadratura precedente. Esempi di questo tipo di cinema discontinuo sono, ad esempio, Questa è la mia vita (1962) di Jean-Luc Godard

o anche Fahrenheit 451 (1953) di François Truffaut.

In questo caso, le azioni si basano prevalentemente sulla sovrapposizione di inqua- drature non raccordate sul piano del movimento che determinano un effetto di ripetizione dei movimenti.

151 cfr. M. Bertozzi, 2012. Recycled cinema. op. cit., pp.

102-105.

152 M. Bertozzi, 2012. Ibidem, p. 104.

Alterare le forme: incastrare, mixare, ibridare

Alterare le forme è un’ulteriore operazione di postproduzione, che in questo caso prevede l’utilizzo di tecniche digitali.

Una tecnica molto interessante, che opera l’alterazione delle forme attraverso l’in- castro tra le parti, è quella del compositing video. Inventata da Peter Greenaway, tale

tecnica usa dei procedimenti digitali per modificare e alterare in fase di postprodu- zione il film aggiungendo, interpolando, sovrapponendo più fonti visive trattate con effetti speciali. Funziona appunto incastrando immagini dentro immagini, operando sullo schermo come su di una superficie pittorica, come avviene, ad esempio, nella trilogia dello stesso Greenway The Tulse Luper suitcases (2003-04). Que-

sta tecnica è stata utilizzata dallo stesso Greenaway per l’opera The Stairs 2:Projecton,

un’istallazione di dimensioni cittadine realizzata a Monaco nel 1995 che prevedeva l’inserimento in diversi punti della città di cento schermi: sulle architetture citta- dine erano proiettati fotogrammi luminosi e composti tra loro la cui superficie interagiva con le trame delle facciate. Tali schermi si sovrapponevano a finestre, cornicioni, trasformando gli edifici in set cinematografici153.

Una seconda modalità è quella del mixaggio che consiste nel miscelare opportu-

namente fra loro uno o più elementi. Per mixaggio nel cinema si intende quell’o-

perazione di integrazione, fusione, o sovrapposizione, in un unico supporto del- la colonna sonora, dei dialoghi, delle immagini e dei suoni di un film (registrati separatamente).Un esempio, in questo senso, è costituito da Blade runner (1982) di

Ridley Scott, un film che mette in scena “pratiche di riuso” e mixaggio che riguar-

dano alcune sequenze e alcune inquadrature provenienti da altri film e da altri supporti. In questo caso si genera un “mescolamento” di elementi e, attraverso il

found footage, che consiste nel riuso creativo dei filmati di repertorio154 che li innesta

in un nuovo circolo.

Un’ultima modalità di alterazione delle forme è quella dell’ibridazione.

Sulla scia di un cinema inteso come “artificio”, il cinema di David Cronenberg si basa prevalentemente sull’alterazione dello spazio e del tempo e sull’ibridazio- ne tra organismi fisici e strutture tecnologiche che dà vita ad una vera e propria

morfologia mutante delle forme. In opere come Videodrome (1983), Crash (1996),

eXistenZ (1999), sindromi aliene, virus tecnologici, stati mentali alterati inducono

una mutazione organica che apre l’accesso ad una dimensione sconosciuta basata su geometrie, dinamiche spaziotemporali, flussi di coscienza che rinviano alle po- tenzialità ontologiche delle nuove immagini virtuali.

In film più recenti non è più tanto il corpo a ibridarsi e mutare quanto la mente

a contaminare l’ambiente circostante. Un esempio è costituito dalla tecnica della

153 G. Bruno, 2006. Atlante delle emozioni, op. cit., p.

367.

154 S. Marini, F. De Matteis (ed.), 2014, La città della post-produzione, op. cit., pp. 11-12.

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defigurazione digitale che si traduce visivamente in un processo di frammentazione,

scomposizione, mutazione dei corpi o degli spazi. Un corpo che non possiede più un’identità di rappresentazione “un corpo digitalizzato, cibernetico o iperrealisti- co” colto in “una trasformazione che agisce sullo stesso dispositivo di rappresenta- zione”155. Le forme tendono a debordare oltre lo schermo, sfondandone il perime-

tro in ogni direzione, imprimendo un’accelerazione e una dilatazione del campo visivo. L’uso di tali effetti digitali approda al morphing, una tecnica che opera una

fluida trasformazione senza stacchi di una morfologia corporea e fisionomica in un’altra.

Una sorta incastro ibrido può essere, ad esempio, definito l’intervento per il Mu- seo di un antico mulino a Minneapolis (2003) ad opera dello studio Meyer, Scherer &

Rockcastle, in cui un nuovo corpo trasparente è inserito tra i resti dell’antico edificio, rispettandone le parti smembrate e alterandone le forme, senza dunque falsificarne le memorie.

L’assemblage tra i frame e l’alterazione delle forme possono dar luogo ad una interes-

sante modalità e ad una serie di azioni attraverso cui provare a relazionare, con- nettere, accumulare, alterare le singole parti della rovina architettonica, in quanto

aiutano a sovrapporre, accostare, incastrare, mixare i singoli frame.

155 G. Curtis, 2008. “Identità defigurate. Il corpo rilevante”, in Passages, op. cit., p. 137.

P. Greenway, The Tulse Luper suitcases, 2003-04;

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