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Art 36 del D.P.R.n 602/1973 e procedure concorsuali d

Nella sezione precedente si è detto che la disciplina di cui all'art. 36 del decreto sulla riscossione è applicabile all'ipotesi di liquidazione delle società soggette ad IRPEG (IRES) e n qui si è analizzata la fattispecie della liquidazione volontaria. Sorge spontaneo il quesito se la norma in oggetto possa essere estesa anche alle liquidazioni che si svolgono attraverso procedure concorsuali. L'applicazione concreta dell'istituto in esame viene esclusa sia dall'Ammi- nistrazione nanziaria e sia dalla dottrina in accordo83, se il soggetto preposto

alla fase di liquidazione ricopre la carica di pubblico uciale, nominato per svolgere determinate funzioni in base alle direttive dell'autorità competente che vigila sulla procedura. Tali soggetti, tra cui il curatore fallimentare, il liquidatore giudiziale nell'ambito del concordato preventivo ed il commissario

83Sul punto, vedasi Monti, A., La responsabilità dei liquidatori, amministratori e soci

prevista dall'art. 36, D.P.R. n. 602/1973: gli aspetti sostanziali dell'istituto, op. cit., a p. 58-59. In giurisprudenza, cfr. Cass. 18 dicembre 1978, n. 6042, in Giur. comm., 1980, II, p. 210.

liquidatore nella liquidazione coatta amministrativa, non si considerano quindi soggetti alla responsabilità che grava sui liquidatori volontari ex primo comma dell'art 36. Tale conclusione è avvalorata anche dalla grande diversità che esi- ste tra le gure elencate e quella del liquidatore volontario e dalla distinzione anche di ordine testuale 84.

Portando un esempio particolare, nel caso di concordato preventivo con cessione dei beni, la liquidazione concorsuale è svolta ad opera di uno o più liquidatori e da un comitato di 3 o 5 creditori, che assistano alla liquidazione, tutti nominati dal tribunale, ex art. 182 della legge fallimentare85. Anche

in questo caso la responsabilità attribuita ai liquidatori ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n.602/1973, non è applicabile dato che i liquidatori nominati dal tribunale nell'ambito del concordato sono da ritenersi più come mandatari dei creditori che come rappresentanti della società-soggetto passivo86.

Conclusa questa prima analisi iniziale e contestualizzazione dei contenuti della disposizione oggetto dell'opera, nel prossimo capitolo si procederà ad un approfondimento sulla natura delle responsabilità previste dall'art. 36, ponen- do particolare attenzione sull'annoso dibattito proposto in dottrina circa il loro carattere civilistico o scale, contrattuale o extracontrattuale e sul rapporto in essere tra le varie gure di responsabilità contemplate nella norma in esame.

84Si veda ad esempio l'art. 5 del D.P.R. n. 322/1998 sulle dichiarazioni nei casi di

liquidazione, dove al primo comma viene contemplato il caso della liquidazione volontaria, mentre il quarto comma fa riferimento al fallimento e alla liquidazione coatta amministrativa.

85Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267.

Le responsabilità in capo a

liquidatori, amministratori e soci

La norma dell'art. 36, come detto, ha la funzione principale di disciplinare precise e rilevanti fattispecie di responsabilità in capo ai soggetti in essa con- templati. Essa infatti sancisce che liquidatori ed amministratori rispondano in proprio del pagamento delle imposte dovute dalla società, nel caso si verichino i determinati presupposti, ormai largamente esposti. La parte della norma che aronta aspetti diversi da quelli strettamente attinenti la responsabilità dei soggetti, pure se necessaria anch'essa alla comprensione della norma, riveste un'importanza secondaria rispetto alla tematica della responsabilità e non ha dato luogo alla nascita di dubbi e discussioni interpretative1.

Al contrario, già nel vigore dell'art. 45 del R.D. 17 settembre 1931, n. 1608, era sorto un dibattito in dottrina circa la natura della responsabilità oggetto della norma: il quesito era se la responsabilità dei liquidatori, sancita appunto dalla norma, avesse natura civilistica o scale. Il dibattito divideva la dottrina: parte di questa aermava che essa dovesse ritenersi soggetta allo stesso regolamento di ogni altra obbligazione tributaria2, essendo sancita in una

norma tributaria, mentre un'altra parte sosteneva l'opinione opposta, ossia che essa avesse natura civilistica3.

L'esigenza di trovare una soluzione a tale dubbio rispondeva primaria- mente al bisogno di denire quale fosse l'iter procedimentale da intrapren- dere per l'accertamento della responsabilità e per procedere nei confronti del liquidatore.

1In tal senso Monti, A., La responsabilità dei liquidatori, amministratori e soci prevista

dall'art. 36, D.P.R. n. 602/73: gli aspetti procedimentali dell'istituto, in Rass. Trib., 1984, pp. 17 e ss., a p.17.

2In tal senso Giannini, A. D., Istituzioni di diritto tributario 8, 1960, Giurè, a p. 88. 3Così Tesauro, F., La responsabilità scale dei liquidatori, in Giurisprudenza

Da una parte, la tesi del carattere scale della responsabilità trovava il suo fondamento sul fatto che l'accertamento della stessa spettasse all'Amministra- zione nanziaria nell'ambito dei poteri di autotutela da questa esercitabili; dal- l'altra, l'interpretazione opposta portava al riconoscimento in capo all'autorità giudiziaria ordinaria della competenza ai ni in esame, dato che alla responsa- bilità in oggetto era attribuita natura di sanzione scaturente dalla commissione di un comportamento colposo, e dalla preoccupazione di preservare i diritti di difesa del liquidatore, che si temeva non sarebbero stati adeguatamente tutelati nel caso in cui l'accertamento fosse condotto dall'amministrazione nanziaria. Prima della riforma tributaria che ha introdotto la disciplina di cui all'art. 36 del D.P.R. n. 602/1973, ai tempi dei primi dibattiti sulla questione, man- cava il riferimento esplicito previsto in seguito dal quinto comma della nuova disposizione, che ha individuato l'organo competente all'accertamento della responsabilità nell'Agenzia delle Entrate, e che ha ricondotto l'iter accertativo al procedimento seguito solitamente in ambito tributario per l'accertamento denitivo dei crediti d'imposta.

L'esplicita previsione del quinto comma rappresentava la teoria già diusa nella prassi prima della riforma tributaria e risolveva le dispute dottrinali, con- cludendo che accertamento e riscossione a carico di liquidatori ed amministra- tori fossero da considerare come procedure amministrative e quindi ricadessero nella sfera di competenza dell'Ucio delle imposte.

Trovata una soluzione per l'aspetto procedimentale della problematica, re- stava comunque aperto il dibattito circa la natura del contenuto sostanziale della disposizione: nonostante la sedes materiae fosse una normativa scale compresa nel decreto sulla riscossione, tipicamente attinente la materia tribu- taria, la dottrina si chiedeva se i tratti della responsabilità in esame fossero riconducibili a quelli delle analoghe gure civilistiche e quindi se la responsabi- lità ex art. 36 del decreto scale potesse essere interpretata come responsabilità per danno ai sensi della disciplina dettata dal Codice Civile4.

La stessa dottrina aerma che anche tale quesito trovò una possibile solu- zione nell'evoluzione legislativa già anteriormente all'introduzione dell'art. 36: infatti, se l'art. 14 del R.D. n. 360/1929 sanciva solamente che i liquidatori erano responsabili in proprio delle imposte dovute dalle società in seguito ai risultati della liquidazione, l'art. 45 del R.D. n. 1108/1931 sottolineava più chiaramente che la responsabilità in oggetto sussisteva solo nell'ipotesi in cui residuassero attività e nei limiti di queste, e sanciva dunque che la pretesa di risarcimento del danno da parte dell'autorità amministrativa a scapito del liquidatore, non potesse allargarsi no all'intera somma dovuta dalla società, trascurando quale fosse stato l'esito della liquidazione.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione e il Consiglio di Stato5spiegarono

che il liquidatore non poteva essere trattato dal punto di vista sostanziale come la gura di responsabile o sostituto d'imposta dell'ordinamento tributario: egli non è un mero sostituto del titolare dell'imposta, ma è tenuto a pagare in proprio le imposte accertate a carico della società quando da questa non siano per qualsiasi motivo corrisposte. Allo stesso modo egli non è un responsabile in solido, ma un soggetto responsabile per fatto doloso o colposo come risulta anche dai precedenti dell'art. 45 del R.D. n. 1608 e quindi la responsabilità in capo ad esso è da considerarsi soggetta alla disciplina del Codice Civile in merito alla responsabilità per danno.

La stessa interpretazione fu accolta anche nel vigore del successivo art. 265 del testo unico del 1958 e viene riproposta con maggior vigore e fondamento alla luce dell'art. 36 del decreto sulla riscossione, frutto ultimo dell'evolu- zione dell'istituto in esame. Esso dispone che la responsabilità a carico dei liquidatori (e degli amministratori, per eetto dell'estensione sancita dal se- condo e quarto comma) è commisurata all'importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti: tale espressione potrebbe essere intesa nel senso che l'obbligazione al pagamento delle impo- ste sociali nasce in capo ai liquidatori solo se esistono attività da liquidare e limitatamente al valore di queste, e conseguentemente la sanzione che scatu- risce dall'inadempimento di detto obbligo è limitata al danno eettivamente arrecato al Fisco.

Anche in forza della più recente normativa, si può concludere che la tesi supportata dalla Cassazione in precedenza, in base alla quale il processo di accertamento della responsabilità in capo ai liquidatori e agli amministratori ha carattere tributario dal punto di vista formale o procedimentale, mentre dal punto di vista sostanziale esso è da ricondurre all'ambito civilistico, sembra corretta.

Nonostante tali interpretazioni giurisprudenziali e l'innovazione apportata dal sicuramente più chiaro e dettagliato articolo 36, e in particolare dal suo quinto comma, i dubbi sul carattere reale delle responsabilità oggetto della disposizione sono rimasti vivi tra la dottrina6.

5Si veda parere del 14 Ottobre 1956, n. 348, in Monti, A., op. cit., a pag. 19, nota (7). 6La quasi totalità delle opinioni dottrinali più recenti in materia continua a sollevare la

discussione in parola. Si veda, per tutti, Buscema, A., La responsabilità e gli obblighi di amministratori, liquidatori e soci nel sistema della riscossione delle imposte sui redditi, in Il Fisco, 2008, n. 45 (1), pp. 8109 e ss., a p. 8111.

2.1 Le opinioni dottrinali: natura scale o civi-

listica?

Il confronto degli autori sull'argomento sopra esposto è stato molto intenso: la dottrina espressasi a riguardo, si è divisa fra i due poli, quello a favore del carattere scale della responsabilità di liquidatori ed amministratori ex art. 36 e quello opposto a favore della natura civilistica della stessa.

Alcuni autori7 propendono per una semplice analisi dell'argomento, espri-

mendosi a favore del carattere scale dell'istituto, basandosi sul palese presup- posto che la disposizione sia inglobata in una norma tributaria. La collocazione dell'art. 36 in una sedes scale risulta dunque suciente per tali autori per la risoluzione del problema.

Tale posizione sembra, a parere di chi scrive, fortemente limitativa e fa- cilmente criticabile, alla luce anche del moderno approccio della dottrina tri- butaria che prevede la possibilità, nell'interpretazione delle disposizioni, di incrociare tra loro norme e concetti di altri rami dell'ordinamento giuridico. Non sembra quindi condivisibile questo primo lone di pensiero, secondo il quale, essendo l'art. 36 collocato nel decreto sulla riscossione, ambito pretta- mente tributario, non sia possibile applicare ad esso norme e principi del ramo civilistico.

Altra dottrina8, richiamando teorie di autori precedenti, aerma che il di-

ritto tributario non inventa nulla, ma sfrutta principi e concetti di altri ambiti, adattandoli, anche derogandovi, alle proprie nalità. Il legislatore tributario ha quindi tre possibilità di comportamento nei confronti della disciplina dettata dal Codice Civile: egli può usufruire dei concetti civilistici nella loro tota- lità ovvero può sfruttarne in parte, modicandoli per adeguarli alla materia tributaria, oppure ancora può trascurarli completamente. Quindi può essere condivisibile l'individuazione della natura scale della norma con riferimento esclusivo al contesto in cui essa è inserita, ma dopo quanto detto, non è invece condivisibile riconoscerne il carattere scale se si guarda all'art. 36 nella sua interezza e quindi anche dal punto di vista sostanziale: per questo è necessario indagare i possibili collegamenti e richiami con altri rami del sistema giuridico. Contraria alle posizioni sopra menzionate è invece altra parte della dot- trina che sostiene l'opposta tesi civilistica, tesi secondo cui la responsabilità di liquidatori ed amministratori sorge non in conseguenza dell'esistenza di un rapporto tra tali soggetti ed il bene oggetto del tributo, ma come eetto di un comportamento doloso o colposo9messo in atto dagli stessi soggetti. Fondando

7Tra questi Giannini, A. D., op. cit., a p. 88.

8In tal senso si veda De Mita, E., Interesse scale e tutela del contribuente, 2006,

Giurè, a p. 196.

la responsabilità in esame solo sul compimento di un atto doloso o colposo, tra- scurando l'aspetto della relazione tra soggetto e bene oggetto del tributo, tale dottrina distanzia l'istituto dell'art. 36 da quello del responsabile d'imposta, ex ultimo comma dell'art. 64 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 60010.

L'art. 64 dispone che la gura delineata sia obbligata solo per fatti o situa- zioni riferibili ad altri soggetti, sancendo quindi l'alienità del debito11 rispetto

al responsabile. La responsabilità sancita dall'art. 36 è invece attribuibile ai liquidatori ed amministratori in seguito al compimento di un fatto proprio.

Tra coloro che accettano la teoria civilistica, alcuni autori non vogliono pe- rò abbandonare la natura scale della disposizione: ad esempio v'è chi osserva che la responsabilità ex art. 36 del decreto sulla riscossione non darebbe vi- ta ad una forma di coobbligazione solidale in ordine al pagamento del debito di imposta, bensì ad un'autonoma obbligazione risarcitoria, di natura civili- stica, traente origine dall'illecita destinazione delle attività della liquidazione in spregio dei diritti dell'erario; ancorché tale obbligazione risarcitoria sia di- pendente dall'esistenza dell'obbligazione tributaria in capo al soggetto passivo d'imposta12. Tale approccio civilistico è idoneo a cogliere il titolo giusticati-

come l'evento dannoso o pericoloso (...) dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; la colpa invece si denisce come la situazione nella quale l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Per dolo si intende quindi la volontaria violazione di un precetto di legge e la volontà precisa di commettere un determinato fatto vietato dall'ordinamento; la colpa si caratterizza inve- ce per l'omessa attenzione e diligenza richiesta da parte dell'agente nel calcolare i possibili eetti delle sue azioni. Anché si possa parlare di colpa, il combinato disposto degli artt. 42 e 43 del c.p. richiede innanzitutto un'azione o omissione da parte dell'agente, commessa con coscienza e volontà: il concorso della volontà rappresenta la linea di limite fra fatto colposo, punito dal sistema giuridico, e quello incolpevole, non punito. Il prolo della vo- lontà non esaurisce però i requisiti della colpa: occorre in aggiunta che il fatto sia dovuto a negligenza, imprudenza o imperizia dell'agente o all'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La negligenza si esprime nella trascuratezza e mancanza di attenzione da parte dell'agente, l'imprudenza nell'avventatezza o nell'insuciente valutazione della cau- tela dovuta, l'imperizia nell'inosservanza delle regole tecniche proprie di una determinata professione o dall'inadeguatezza della preparazione dell'agente. Su questi aspetti si rinvia a Iudica, G., e Zatti, P., Linguaggio e regole del diritto privato, 2004, CEDAM, V ed., a p. 451 e ss.

10Il responsabile d'imposta, così come dispone l'art. 64 del D.P.R. n. 600/1973, è colui

che in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di rivalsa.

11L'alienità del debito deve però intendersi come estraneità del responsabile d'imposta

alla fattispecie in virtù della quale il debito nasce, e non invece come estraneità al debito, poiché questo gli viene imposto come proprio, subentrando nel rapporto tra soggetto passivo e Fisco.

12Cfr. Miccinesi, M., Solidarietà nel diritto tributario, in Digesto Commerciale, Vol.

vo della responsabilità dei liquidatori (l'illecita destinazione delle attività alla liquidazione), ma nulla toglie che la fonte della stessa resti una norma scale e che, quindi, la responsabilità si presenti in realtà come una coobbligazione solidale dipendente che ha per oggetto il debito d'imposta, di cui rispondono limitatamente a quanto disposto dalla norma stessa, i liquidatori.

L'espressa previsione della norma che la responsabilità sia regolata secondo le modalità e con gli strumenti propri della responsabilità d'imposta, tra cui anche la competenza della giurisdizione delle commissioni tributarie, viene portata da questa dottrina a conferma della propria tesi. Inne l'autore aerma che la limitazione della responsabilità ex art. 36 ai casi di dolo o colpa grave sancita dalla giurisprudenza, non discredita la sua teoria, poiché trattasi di limiti direttamente estrapolabili dalla interpretazione della norma tributaria, alla luce del suo fondamento giusticativo e dunque senza bisogno di ricorrere alla disciplina della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.13.

L'errore in cui incorre questo autore, a parere di chi scrive, è quello di riconoscere l'oggetto dell'obbligazione nel solo debito d'imposta, mentre la re- sponsabilità ex art. 36 si origina - come spiegato nel primo capitolo - qualora i soggetti preposti alla liquidazione distraggano l'attivo della società dal ne del pagamento delle imposte per scopi dierenti, e non scaturisce invece dal- l'inadempimento del debito scale. Il debito d'imposta ssa solo il limite della somma che l'erario può esigere a risarcimento del danno arrecatogli.

Anche l'assunzione della solidarietà tra la società e i soggetti rappresentanti contemplati dall'art. 36 del D.P.R. n. 602/73 viene ritenuta erronea poiché, mentre l'obbligazione in capo alla società ha ad oggetto il debito d'imposta, l'obbligazione che si forma in capo a liquidatori ed amministratori ha per oggetto la commissione di un fatto proprio, concetto chiaramente sancito dal legislatore nella norma in oggetto in cui si dice che i liquidatori rispondono in proprio del pagamento delle imposte e poi allargato agli amministratori dai commi secondo e quarto.

Altra dottrina14, poi, discute il rapporto tra obbligazione tributaria ex art.

36 e codice civile per denire se la fattispecie prevista dalla norma tributaria introduca una responsabilità scale o civilistica.

La norma può essere letta in più modi rispetto alla disciplina del Codice Civile che regola oneri e responsabilità dei liquidatori. Se si guarda alla fonte della responsabilità, due sono le possibili considerazioni: la prima, partendo dal fatto che la fattispecie che la crea è inserita in un contesto tributario, considera la responsabilità soggetta esclusivamente alla disciplina di questo

13L'art. 2043 c.c., cui Miccinesi, op. cit., a p. 453, fa riferimento, attiene il risarcimento

da fatto illecito e dispone che qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona a altri un danno ingiuto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

14Cfr. Fregni, M.C., Obbligazione tributaria e Codice Civile, Giappichelli, 1998, p. 93 e

ramo dell'ordinamento; la seconda invece ritiene la fattispecie dell'art. 36 come un'applicazione particolare di una più generale normativa del Codice Civile.

Se invece si considerano gli eetti, secondo l'interpretazone in parola si possono individuare due possibili letture: guardando al testo letterale della legge, l'oggetto della responsabilità dovrebbe individuarsi nel debito d'imposta e quindi i liquidatori sarebbero corresponsabili solidali con la società-soggetto passivo principale15; attraverso un'interpretazione meno legata all'aspetto let-

terale della norma, invece, si può riconoscere che il debito d'imposta rileva solo ai ni della determinazione della misura della responsabilità, che invece risulta basata su un'obbligazione di risarcimento, e quindi di natura civilistica. In questo secondo scenario, la responsabilità si forma a partire dal realizzarsi di una fattispecie illecita, cioè dalla destinazione delle attività della liquidazione ad altri ni diversi dal pagamento dei debiti d'imposta dovuti dalla società, con il conseguente danno a scapito dell'erario. Sorgono così due obbligazioni ben distinte ad autonome tra loro: quella in capo a liquidatori ed amministratori di stampo civilistico e quella della società di carattere tributario. L'obbligazione tributaria rappresenta dunque solo il presupposto di fatto, cui poi si collega la nascita della responsabilità dei soggetti rappresentanti, nel caso in cui questi abbiano realizzato gli atti di cui all'art. 36.

Secondo l'interpretazione in parola gli elementi che sorreggono le due ipo- tesi testè richiamate sono i seguenti: a favore della teoria civilistica è la con- siderazione che la responsabilità di liquidatori ed amministratori non deriva dal vericarsi di un presupposto d'imposta, ovvero dall'espressione di capacità contributiva, bensì da un comportamento illecito, e mira proprio a sanzionare