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1. La lettera del 20 aprile 1606

1.8 L‟arte dei cenni

Le parole pronunciate dagli oratori riflettevano il reale sentire delle élite locali o rispondevano solo a degli obbligati cliché encomiastici? L‟interrogativo venne vissuto con particolare urgenza dai rettori veneziani, chiamati dal Principe a rendere conto del grado di adesione della Terraferma alle ragioni della Repubblica. Fino a che punto si poteva credere a parole recitate da uomini politici di lungo corso e consumati oratori? Uomini avvezzi all‟eloquio e alla persuasione, responsabili del governo cittadino e soprattutto normalmente incaricati di proporre parti all‟approvazione dell‟assemblea.211 In maniera ancor più radicale ci si poteva chiedere fino a che punto la parola costituisse un fedele testimone di imperscrutabili moti interiori. Si doveva dunque prestar fede alle dichiarazioni ufficiali in quanto tali o era preferibile valutarne l‟attendibilità alla luce di altri parametri di giudizio? E in tal caso, quali?

209 La cronologia delle accoglienze delle ambascerie di congratulazione è ricavata ove possibile dalla

datazione riportata nell‟edizione a stampa delle orazioni o altrimenti dalle informazioni fornite dal carteggio del nunzio di Vicenza con i deputati cittadini (BCBVI, AT, b. 1348 passim).

210 ASV, Sen., Disp. dei rettori, Udine e Friuli, f. 3, c. n.n., alla data 07.05.1606, dispaccio di Francesco

Erizzo, luogotenente della Patria del Friuli.

211 Per una più puntuale ricostruzione delle competenze delle magistrature cittadine si veda infra

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La risposta dei rettori fu spostare la propria attenzione dall‟oratore all‟assemblea, dalla voce della comunità al suo corpo: nei volti e nelle movenze dei consiglieri, podestà, capitani e provveditori individuarono i segni di un‟intima adesione alla causa veneziana, una conferma gestuale ed emotiva di quella preoccupazione per i travagli della Repubblica e di quello sviscerato lealismo professati a parole con tanta enfasi. La coerenza tra gesto e parola, tra la dimensione verbale e quella gestuale delle risposte alla lettera del 20 aprile, venne meticolosamente vagliata dai rappresentanti veneziani: riconosciuta e avallata dal rettore, venne infine presentata al Principe a riprova della sincera fedeltà dei suoi sudditi. I rettori di Padova poterono dunque dirsi «grandemente consolati» dopo aver visto il Consiglio cittadino acclamare l‟orazione del deputato Pietro Zacco non solo con «vive voci» ma anche con «segni di affetto [...] ardente».212 Allo stesso modo, il podestà di Este prestò fiducia alla «degna risposta» dei consiglieri di quella terra «vedendoli nell‟aspetto tutti di somma prontezza».213 Emblematica, infine, la chiosa del dispaccio del provveditore di Peschiera, Giacomo Soranzo:

con summo mio contento ho sentito che tutti questi pover‟huomini con la robba et con la vita sono prontissimi in qualunque occasione come hanno fatto altre volte di adoperarsi in servitio della Serenissima Repubblica essibendosi in ciò non meno ardenti con apparenti dimostrationi che con l‟interno dell‟affetto.214

Una scelta non estemporanea quella di adottare la gestualità come indice di sincerità, ma che al contrario rifletteva una più generale attenzione per gli aspetti non verbali della comunicazione, propria della prima età moderna:215 nel 1616 sarebbe

212ASV, Sen., Disp. dei rettori, Padova, f. 3, c. n.n., alla data 21.04.1606. In un dispaccio successivo i

rettori riferirono invece di aver riscontrato buoni sentimenti «in ogni conditione di persona et nel popolo tutto» per aver loro stessi «sentite le continuate voci, udite anco [...] per la città, di publico applauso»: gli abitanti di Padova erano infatti andati «quasi a gara [...] dimostrando chiari segni di un affetto svisceratissimo, et universale» (ivi, c. n.n., alla data 25.04.1606).

213 Ivi, c. n.n., alla data 23.04.1606, dispaccio di Emilio Da Canal, podestà di Este.

214 Ivi, Verona, f. 3, c. n.n., alla data 22.04.1606, dispaccio di Giacomo Soranzo, provveditore di

Peschiera.

215 Cfr. P.BURKE, The Language of Gesture in Early Modern Italy, in A Cultural History of Gesture. From

Antiquity to the Present Day, a cura di J. Bremmer e H. Roodenburg, Cambridge, Polity Press, 1991, pp.

71-83; J.R.KNOWLSON, The Idea of Gesture as a Universal Language in the XVIIth and XVIIIth Centuries, in

“Journal of the History of Ideas”, 26, 1965, pp. 495-508; D. KNOX, Ideas on Gesture and Universal

Language c.1550-1650, in New Perspectives in Renaissance Thought. Essays in the History of Science, Education and Philosophy in Memory of Charles B.Schmidt, a cura di J. Henry e S. Hutton, London, Dunckworth, 1990,

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stata proprio una personalità formata da anni di servizio presso le più prestigiose rettorie di Terraferma, un giudice assessore del calibro di Giovanni Bonifacio,216 a dare alle stampe L‟arte de‟ cenni,217 ritenuto il primo dizionario ragionato della gestualità dell‟era moderna.218 Non si trattava di un trattato di retorica: gli oratori rappresentavano solo una delle possibili categorie umane che avrebbero potuto beneficiare dell‟esaustiva tassonomia gestuale proposta da Bonifacio. Come recitava il frontespizio dell‟opera, l‟arte dei cenni era infatti «materia nuova a tutti gli huomini pertinente, [...] massimamente ai Prencipi», ma anche a «tutte l‟arti liberali e mecaniche» che, come si voleva dimostrare, ne facevano quotidianamente larghissimo uso.219 Bonifacio non si limitava dunque allo studio del linguaggio corporeo (actio) quale componente della declamazione oratoria (pronunciatio), ma attribuiva ad esso una dignità propria, dimostrando la sua possibile applicazione al di fuori del ristretto ambito della retorica. Di conseguenza, a differenza delle autorità di Aristotele, Cicerone e Quintiliano – dai quali peraltro prendeva le mosse – Bonifacio si preoccupava solo marginalmente di indicare ai propri lettori come aumentare la persuasività del proprio discorso attraverso la creazione di una perfetta coerenza tra

pp. 101-136. Con riferimento alla produzione pittorica e ritrattistica si veda E.M.DAL POZZOLO,

Colori d‟amore. Parole, gesti e carezze nella pittura veneziana del Cinquecento, Canova, Treviso, 2008; J.SPICER,

The Renaissance Elbow, in A Cultural History of Gesture cit., pp. 84-128 e Z.Z. FILIPCZAK, Poses and

Passions: Mona Lisa‟s “Closely Folded” Hands, in Reading the Early Modern Passions. Essays in the Cultural History of Emotion a cura di G. K. Paster, K. Rowe, M. Floyd-Wilson, Philadelphia, University of

Pennsylvania Press, 2004, pp. 68-88. Con riferimento alla produzione letteraria cfr. M.COSTANZO, I

segni del silenzio e altri studi sulle poetiche e l‟iconografia letteraria del Manierismo e del Barocco, Roma, Bulzoni,

1983, pp. 35-64, in particolare p. 36; E. AGAZZI, Il corpo conteso. Rito e gestualità nella Germania del

Settecento, Milano, Jaca Book, 1999, in particolare (per il periodo in analisi e le tematiche affrontate) il

capitolo secondo.

216 Sulla figura di Giovanni Bonifacio si veda G. BENZONI, Giovanni Bonifacio (1547-1635), erudito uomo

di legge e... devoto, in “Studi Veneziani”, IX (1967), pp. 247-311; ID., Bonifacio, Giovanni in DBI, Vol. 12,

1972, pp. 194-197; C.SETTI, Bonifacio, Giovanni, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo),

Vol. I, Bologna, Il mulino, 2013, pp. 298-299. Con riferimento all‟attività del Bonifacio come giurista e assessore, si veda POVOLO, Il giudice assessore cit.

217 G.BONIFACIO, L‟arte de‟cenni, in Vicenza, appresso Francesco Grossi, 1616.

218 Il volume di Bonifacio vanta ormai numerosi saggi critici e contributi ad esso dedicati: E.

BONFATTI, Vorläufige Hinweise zu einem Handbuch der Gebärdensprache im deutschen Barock. Giovanni

Bonifacios «Arte de‟ cenni» (1616), in Virtus et fortuna. Zur deutschen Literatur zwischen 1400 und 1720, Festschrift für Hans-Gert Roloff zu seinem 50. Geburstag, a cura di J.P. Strelka e J. Jungmayr, Berna, P. Lang,

1983, pp. 393-405. A.e L.CONTARELLO, L'arte de' cenni di Giovanni Bonifacio, il primo studioso dei movimenti

del corpo, un dizionario illustrato da rivisitare, Padova, Cleup, 1983; D. KNOX, Giovanni Bonifacio‟s L‟arte de‟cenni and Renaissance Ideas of Gesture, in Italia ed Europa nella linguistica del Rinascimento/Italy and Europe

in Renaissance Linguistics. Atti del Convegno internazionale. Ferrara, Palazzo Paradiso, 20-24 marzo 1991, a cura

di M. Tavoni, Vol. II, F. C. Panini, Ferrara, pp. 379-400. A.MARTONE, Conflitto fra codici. L‟Arte de‟

cenni di Giovanni Bonifacio (Vicenza 1616), in Guerre di segni. Semiotica delle situazioni conflittuali, a cura di G. Manetti, P. Bertetti e A. Prato, Torino, Centro Scientifico Editore, 2005. Si veda inoltreBURKE, The

Language of Gesture cit. Meritevoli di segnalazione anche gli accenni a L‟arte de‟ cenni di Giovanni

Bonifacio in B.CROCE, Il “linguaggio dei gesti”, in “La Critica”, XXIX (1931), pp. 223-228. 219 Frontespizio di BONIFACIO, L‟arte de‟cenni, cit.

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gesto e parola.220 Opera scritta in un‟epoca che aveva posto la legittimità della simulazione e della dissimulazione al cuore del dibattito sulla comunicazione, sulla religione e sull‟etica,221 L‟arte de‟ cenni insisteva piuttosto sulle possibili discrepanze tra registro verbale e registro gestuale, ravvisando nel riconoscimento di quegli scarti la più efficace difesa contro i pericoli della menzogna:222

Tanto più quest‟arte de‟ cenni merita d‟esser commendata et abbracciata quanto che in lei non ha così facilmente luogo la simulatione come la vediamo havere nel nostro commune parlare. È vero che anco con cenni e con gesti si può simulare e fingere quello che non si ha nell‟animo [...]. Nondimeno più facilmente da i cenni che dalle parole la verità si scopre, per esser queste più dall‟animo separate che i gesti non sono, e perciò con maggior difficoltà questi atti e questi moti naturali si possono adulterare.223

Interpretare correttamente il linguaggio del corpo significava per Bonifacio aprire una finestra sull‟animo umano dalla quale scrutare i suoi segreti più reconditi:

la cognitione di questa arte co‟l mezo della quale conosciamo quelle cose che ad altri sono secrete e ci sono manifeste quelle che altri cercano nelle più rimote parti de‟ loro animi di nascondere, [è] cosa giocondissima e dilettevolissima, percioché qual maggior piacer si può conseguire che in una occhiata scoprire i più riposti pensieri dell‟huomo? Il che succede ancora con nostro gran beneficio, potendo usar la prattica de‟ buoni e schifar quella de‟ tristi, il che nel far viaggio, nel cotraher società, amicitie, parentele, paci et in molte altre occorrenze ci può incredibile giovamento apportare. E chi haverà di quest‟arte perfetta cognitione non haverà bisogno di desiderare nel petto de gli huomini quella fenestra socratica per veder loro il cuore: poiché con l‟intelligenza di

220 MARTONE, Conflitto fra codici, cit., pp. 134-137, ripreso da G. MANETTI, I gesti. Appunti di una

semiologia in costruzione, in A lezione dal corpo. Per una didattica interculturale attraverso l‟espressione corporea a

cura di F. Fortunato, IPRASE Trentino, Trento, 2005, pp. 41-45, (pp. 41-66).

221 Si veda C.GINZBURG, Il nicodemismo: simulazione e dissimulazione religiosa nell'Europa del „500, Torino,

Einaudi, 1970; R.VILLARI, Elogio della dissimulazione: la lotta politica nel Seicento, Roma, Laterza, 1987.

Interessante anche W.KAISER, Pratiques du secret, in “Rives nord-méditerranéennes”, 17 (2004), pp. 7- 10; Per alcune riflessioni sulla dissimulazione in relazione al linguaggio non verbale e alle metafore gestuali si veda inoltre ID., «Per digitos videre», Regarder entre les doigts». Un topos gestuel de la dis/simulation

dans l‟espace germanique », in “Rives nord-méditerranéennes”, 17 (2004), pp. 37-61.

222 MARTONE, Conflitto fra codici cit., pp. 134-137, ripreso da MANETTI, I gesti. Appunti di una semiologia in

costruzione, cit.

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questi cenni i più segreti pensieri et i più celati affetti de gli animi de‟ mortali si manifestano.224

Come per i rettori allo scoppio dell‟Interdetto, anche per il giurista rodigino indagare i significati profondi del gesto, comprendere le interrelazioni tra codice verbale e codice gestuale, rispondeva all‟urgente necessità di individuare nuovi criteri di discernimento della verità: nelle pagine di Bonifacio, così come nei dispacci dei rettori traspare il medesimo disagio nei confronti di modelli di comunicazione verbali ormai sempre più artificiosi e ritenuti di conseguenza non necessariamente rappresentativi di reali moti interiori.225 Nella vista più che nell‟udito i rettori ravvisarono il senso più adatto al discernimento della verità dalla menzogna; come evidenzia l‟accorta selezione lessicale operata dai rettori di Vicenza vedere dava infatti maggiori garanzie che conoscere:226

E certo, Serenissimo Prencipe, potemo aggiungerle di conoscer, anzi veder espressa in ogn‟uno di questi Magnifici cittadini prontezza e vivezza tale verso l‟interesse della Serenità Vostra che penna non basta ad esprimerla.227

Coerente a questa riflessione sull‟affidabilità della percezione l‟elaborata sinestesia adottata da Leonardo Mocenigo per meglio certificare al Principe la sua assoluta fiducia nelle promesse dei bresciani: «Piero Calino, abbate della città e capo del Conseglio, parlò a nome di tutta la città con parole così efficaci, vive et eleganti che veramente si vedevano uscir dal cuore».228 Ciò che rese visibili le parole dell‟orazione non fu l‟artificiosa actio oratoria del rappresentante cittadino, bensì la gestualità dell‟intera assemblea, la corale reazione emotiva dei consiglieri, ricostruita nei minimi particolari nel dispaccio destinato a Venezia. Il senso e l‟efficacia delle parole

224 Ibidem.

225 Si veda (anche per la proposta bibliografica) l‟introduzione di Edoardo Ripari a T.ACCETTO, Della

dissimulazione onesta / Rime, a cura di E. Ripari, Milano, Rizzoli, 2012 [I edizione in Napoli, nella stampa

di Egidio Longo, 1641 / in Napoli, nella stampa degli heredi di Tarquinio Longo, 1621].

226 Una riflessione che trova riscontro ad esempio, in Baltasar Graciàn: «l‟orecchio è la porta

secondaria della verità, ma è la principale della menzogna. Di solito la verità è quella che si vede, e solo in via eccezionale la si ascolta» (B.GRÀCIAN, Oracolo manuale e arte di prudenza, a cura di A. Gasparetti, Parma, Guanda, 1987, pp. 69-70, traduzione dalla I edizione Huesca, Juan Nogués, 1647). Ma si noti anche come l‟edizione del 1612 del Vocabolario degli Accademici della Crusca definisca «Conoscere, e Cognoscere. Apprendere con lo „ntelletto a prima giunta, per mezzo de‟ sensi, l‟essere degli oggetti». (*Vocabolario degli Accademici della Crusca cit., pp. 211-212).

227 ASV, Sen., Disp. dei rettori, Vicenza, f. 4, c. n.n., alla data 21.04.1606.

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dell‟orazione veniva restituito al Principe attraverso una loro precisa contestualizzazione:

Hieri mattina ricevessimo la commissione dataci dalla Serenità Vostra con l‟Eccellentissimo Senato intorno il pensiero del pontefice; né così tosto l‟accennassimo a questi Magnifici deputati che essi con prontezza e diligenza grande convocarono il loro general Conseglio, il quale, il dopo desinare, senza interpositione di tempo, come in altre occorrenze suol avenire, con modo straordinario si ridusse numerosissimo, entrandovi anco molti altri principali della città. [...] Et mentre rappresentavo la pretensione et il tentativo del pontefice e le validissime ragioni della Serenissima Repubblica con la risolutissima et costantissima volontà di lei, fondata sopra il giusto, di non ceder [...], si levò in piedi tutto il Conseglio, stando con le teste scoperte, attentissimamente con maniera modestissima. Et dopo fatto quest‟officio, ritornati tutti a sedere, feci legger le istesse lettere della Serenità Vostra dal mio cancellier con alta et intelligibile voce, ascoltate da ogn‟uno con insolito silentio. Et infine l‟Eccellente Signor Piero Calino, abbate della città e capo del Conseglio, levatosi in piedi con tutti gli altri, voltatosi verso di me rappresentante la Serenità Vostra parlò a nome di tutta la città con parole così efficaci, vive et eleganti che veramente si vedevano uscir dal cuore [...]. [Terminata l‟orazione] comprobò l‟istesso con molto applauso tutto il Conseglio e mostrò indicibile sodisfattione che gli sia stato manifestato il vero stato di questo negotio e li fondamenti realissimi di ragione che ha la Serenità Vostra, e molti sono stati che per tenerezza hanno lagrimato, et nel ritornar a Palazzo tutto il Consiglio si mosse ad accompagnarmi: cosa che sicome è insolita così dà segno manifesto, oltra quello che intendemo da tutte le parti, che la città e tutti questi popoli hanno benissimo inteso questi particolari a favor della Serenità Vostra et hanno ricevuto compitissimo gusto della sua prudentissima deliberatione in communicarlo con quella espressione ch‟ella ha fatto; la quale riesce con tanta commendatione nelle bocche di ogn‟uno che certo non si può desiderar d‟avantaggio.229

Lo sguardo di Mocenigo sembra posarsi sull‟assemblea in tre specifici momenti della seduta: l‟ingresso dei consiglieri nella sala consiliare, la preparazione e la lettura

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della lettera del Principe, l‟ovazione tributata al termine della seduta. Tre momenti che ritroviamo descritti – non necessariamente insieme, né con la stessa dovizia di particolari – nella sostanziale totalità dei dispacci provenienti dalla Terraferma a seguito della comunicazione del Senato.

Per Mocenigo, dunque, la sola muta presenza dei consiglieri, il solo atto di presenziare solleciti e numerosi alla seduta consiliare, rappresentava un primo segno di fedeltà degno di essere notificato al Principe. Come si è già avuto modo di anticipare anche il capitano Bernardo Marcello, giovane come Mocenigo, accolse con la medesima soddisfazione la straordinaria partecipazione dei cittadini veronesi;230 ma vale forse maggiormente la pena soffermarsi sulle parole utilizzate da un patrizio moderato come l‟allora luogotenente della Patria del Friuli Francesco Erizzo, per dar conto della convocazione del Parlamento:

oltre i prelati et comunità vi sono concorsi più di ducento castellani venuti non uno per giuridittione, conforme all‟ordinario, ma si può dir tutti de tutte le case, non raccordandosi in alcun tempo convocatione più honorata e numerosa: feci leggerle la lettera della Serenità Vostra et l‟accompagnai con quell‟officio che stimai conveniente dicendole che dall‟estraordinario concorso io scoprivo la loro prontezza e divotione propria de honorati vassalli e degni feuddatarii, sicome ben meritata dalla Serenissima Republica, che protegeva e conservava loro i feudi e la reputatione.231

Del resto, solo poche settimane prima, Erizzo aveva guardato con il medesimo compiacimento l‟affollata sala consiliare della città di Udine.232 Una straordinaria presenza di consiglieri venne notificata con orgoglio anche dai rettori di Padova,233 e in maniera non meno significativa sia Leonardo Valier da Salò che Cristoforo Da Canal da Orzinuovi segnalarono invece il raggiungimento del plenum nelle assemblee di loro competenza.234

230 ASV, Sen., Disp. dei rettori, Verona, f. 3, c. n.n., alla data 24.04.1606, dispaccio di Bernardo Marcello,

capitano di Verona.

231 Ivi, Udine e Friuli, f. 3, c. n.n., alla data 07.05.1606, dispaccio di Francesco Erizzo, luogotenente

della Patria del Friuli.

232 Ivi, c. n.n., alla data 24.04.1606, dispaccio di Francesco Erizzo, luogotenente della Patria del Friuli. 233 Ivi, Padova, f. 3, c. n.n., alla data 21.04.1606, dispaccio dei rettori di Padova.

234 Ivi, Brescia, f. 6, c. n.n., alla data 26.04.1606, dispaccio di Leonardo Valier, provveditore e capitano

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Il silenzio tributato dalle élite consiliari al discorso introduttivo del rettore o ancora alla lettura della lettera del Principe non costituiva assenza di comunicazione, ma al contrario appariva agli occhi del rettore la miglior testimonianza di un‟intima e sincera preoccupazione per le sorti della Repubblica: per il provveditore di Orzinuovi dal «continuato silentio» dei convocati «si scopriva in cadauno grandissimo affetto, et tenerezza».235 Come si è visto, per Leonardo Mocenigo il fatto che alle sue prime parole tutti i consiglieri bresciani si fossero alzati in piedi e tolti il cappello costituiva un segno evidente di attenzione, ma soprattutto di modestia.236 «Io posso assicurar l‟Eccellenze vostre che detta lettera fu da ogn‟uno udita con particolar attentione», scrisse a Venezia Giulio Contarini, podestà e capitano di Belluno, e lo stesso fecero anche i suoi colleghi insediati a Verona237 e Padova.238

Un silenzio che si faceva ancora più eloquente se accompagnato dalle lacrime: «a gloria del Signor Iddio» e soprattutto a «consolatione» del Principe, Leonardo Valier, rettore di Salò, riferì che nel Consiglio della Magnifica Patria «non fu persona, la quale non lagrimasse» dopo aver ascoltato «con accurata attentione» la lettera del 20 aprile. 239 Anche a Rovigo le parole del Principe furono ascoltate «con grand‟attenzione, et riverenza» ma la sua lettura dovette essere sospesa per la «interrutione di grandissime lacrime».240 Come il silenzio, anche il pianto dei consiglieri si prestava a molteplici interpretazioni: per Michele Priuli, insediato a Feltre, le lacrime erano un segno di partecipazione emotiva ai «publici travagli»,241 mentre Francesco Erizzo lesse la stessa esternazione da parte degli udinesi come un segno di commozione per la gratuità con il quale il Principe aveva voluto partecipare loro le sue ragioni e i suoi travagli.242

Con maggior compiacimento Leonardo Mocenigo accolse le lacrime versate dai consiglieri bresciani non durante la lettura della lettera del Principe, bensì al termine delle orazioni di ringraziamento, ravvisando in esse il segno di una calorosa adesione

235 Ivi, c. n.n., alla data 25.04.1606, dispaccio di Cristoforo Da Canal, provveditore di Orzinuovi. 236 Ivi, c. n.n., alla data 23.04.1606, dispaccio di Leonardo Mocenigo, podestà di Brescia.

237 Ivi, Verona, f. 3, c. n.n., alla data 24.04.1606, dispaccio di Bernardo Marcello, capitano di Verona. 238 Ivi, Padova, f. 3, c. n.n., alla data 21.04.1606, dispaccio dei rettori di Padova.

239 Ivi, Brescia, f. 6, c. n.n., alla data 26.04.1606, dispaccio di Leonardo Valier, provveditore e capitano

di Salò.

240 Ivi, Rovigo, f. 3, c. n.n., alla data 23.04.1606, dispaccio di Marcantonio Balbi, podestà e capitano di

Rovigo.

241 Ivi, Feltre, f. 1, c. n.n., alla data 23.04.1606, dispaccio di Michele Priuli, podestà di Feltre.