• Non ci sono risultati.

Un possibile modello retorico: le orazioni per l‟elezione ducale

1. La lettera del 20 aprile 1606

1.10 Un possibile modello retorico: le orazioni per l‟elezione ducale

Le orazioni di risposta alla lettera del 20 aprile, per come ricostruite dai rettori, denotano la presenza di alcuni elementi ricorrenti: l‟esplicito riconoscimento della legittima autorità del Principe (inteso come personificazione del governo veneto); l‟ammissione dell‟utilità delle sue politiche ai fini del perseguimento del bene comune e del benessere dei sudditi; la promessa di ricambiare a tale azione tutoria con una ferma fedeltà alla Repubblica. In alcuni casi le prolusioni culminavano con un ideale rinnovamento del vincolo di figliale fedeltà stabilito tra Venezia e la comunità al momento della dedizione e temprato da secoli di (proclamata) imperturbabile lealtà. Contenuti che, come si è detto, la comunità non si preoccupava semplicemente di affermare per bocca del proprio oratore, ma che si riproponeva di esibire e comprovare attraverso gesti e atteggiamenti o, quantomeno, attraverso un richiamo metaforico alla gestualità. Alcune comunità ravvisarono invece la necessità di portare agli occhi del Principe una viva rappresentazione dei loro sentimenti inviando a Venezia una propria delegazione.

Chiamate a rispondere a un‟eccezionale richiesta di fedeltà, le comunità ricorsero a modelli retorici e linguaggi politici consueti e a loro largamente familiari: nella struttura argomentativa delle risposte alla lettera del Senato, nonché nelle tematiche

300 Ivi, Udine e Friuli, f. 3, c. n.n., alla data 24.04.1606, dispaccio di Francesco Erizzo, Luogotenente

106

affrontate dai rappresentanti locali è infatti ravvisabile una forte affinità con una ben più consolidata tradizione encomiastica veneziana e in particolare con le orazioni gratulatorie che proprio le comunità erano solite indirizzare al doge in occasione della sua elezione.301 A partire dalla seconda metà del Cinquecento l‟uso di mandare a stampa tali componimenti contribuì sensibilmente alla formalizzazione di un ampio repertorio di formule adatte all‟ossequio del Principe, al riconoscimento e all‟esaltazione della sovranità veneziana sulla Terraferma, all‟esibizione della propria pacifica sudditanza, all‟esaltazione del buon governo della Serenissima e alla promessa di difendere la Repubblica.302 Un repertorio che le élite di Terraferma reputarono quanto mai adatto a soddisfare le implicite richieste formulate dal Principe all‟indomani del monitorio.

Il florilegio di Orazioni recitate ai Principi di Venezia nella loro creazione dagli ambasciatori

di diverse città, mandato a stampa da Francesco Sansovino nel 1562,303 costituisce una fonte particolarmente utile per comprendere i significati di questa pratica, permettendo al contempo di apprezzare le profonde analogie tra questa forma encomiastica e le orazioni recitate nelle assemblee locali allo scoppio dell‟Interdetto. Più della dedicatoria e della prefazione del volume, è forse la scelta di principiare la raccolta con l‟orazione tributata dall‟umanista vicentino Gian Giorgio Trissino in onore del doge Andrea Gritti a suggerire un criterio di lettura del volume.304 A detta di Sansovino, quello del Trissino poteva considerarsi il primo componimento di tal genere scritto e recitato in volgare:

delle orationi volgari non ho potuto haverne di più antiche di quella del Trissino, percioché innanzi a lui si usavano latine, et io crederò ch‟egli fosse il primo che le recitasse in volgare, percioché la lingua era allhora per opera del Bembo uscita dalle tenebre.305

301 Cfr. M.L.DOGLIO, La letteratura ufficiale e l‟oratoria celebrativa, in Storia della Cultura Veneta, Vol. 4,

Tomo I, Il Seicento, a cura di Arnaldi, Pastore Stocchi, Vicenza, Neri Pozza, 1983, pp. 163-187.

302 Uno sterminata serie di tali orazioni è ricostruita in E.A.CICOGNA, Saggio di bibliografia veneziana,

Venezia, Merlo, 1847, pp. 319-349.

303 F. SANSOVINO, Delle orationi recitate ai Principi di Venetia nella loro creatione da gli ambasciatori di diverse

città, Libro I, Venetiis, apud Franciscum Sansovinum, 1562. Sulla figura e la prolifica produzione

letteraria di Francesco Sansovino si veda E.BONORA, Ricerche su Francesco Sansovino imprenditore librario e

letterato, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1994.

304SANSOVINO, Delle orationi recitate ai Principi di Venezia, c. 1r-9v. 305 Introduzione «ai lettori», ivi, c. n.n.

107

Oltre a rispondere a un più generale intento di nobilitazione della retorica volgare,306 la scelta di aprire l‟antologia proprio con l‟orazione del Trissino consentiva a Sansovino di fornire sin da subito al lettore una generale, ma oltremodo efficace, definizione della natura, delle funzioni e soprattutto delle implicazioni dell‟atto di presentare congratulazioni al nuovo doge:

Bella et honorevole consuetudine è questa, Serenissimo Principe et Illustrissima Signoria, che dopo la creatione di ciascun duce tutte le città suggette a questo felicissimo Stato mandano i loro ambasciadori a Sua Serenità. Il che, oltre che segno di ubidientia e di amore, è ancora assai buona occasioni di farsi grate e di raccomandare se stesse con questo mezzo al Principe nuovo. La quale consuetudine, volendo hora la vostra fedelissima città di Vicenza essequire, mi ha insieme con questi miei honorati colleghi eletto e mandato a Vostra Serenità; et appresso mi ha dato carico di fare la oratione.307

Già nel 1523 Trissino si riferiva all‟uso di encomiare il nuovo Principe come a una pratica consolidata, propria di tutte le città del Dominio. La provenienza delle orazioni edite da Sansovino – nonché di quelle riportate nel vastissimo repertorio bibliografico proposto da Emmanuele Antonio Cicogna –308 permette di definire meglio il concetto di città utilizzato dal Trissino. A lodare il Principe non erano solamente città nel pieno senso del termine, centri del calibro, ad esempio, di Vicenza, Padova o Brescia ma anche capoluoghi minori come Chioggia, 309 Cavarzere310 o come la già nominata Lendinara:

306 Solo un anno prima erano stati dati alle stampe i due volumi di ID., Delle orationi volgarmente scritte da

molti huomini illustri de tempi nostri, in Venetia, appresso Francesco Sansovino, 1561. Ma si veda anche

ID., L‟arte oratoria secondo i modi della lingua volgare, in Vinegia, per Giouanni dal Griffo et fratelli, 1546. In

particolare, attraverso l‟antologia di orazioni tributate in occasione dell‟elezione ducale, Sansovino intendeva contribuire alla formalizzazione di un canone per quello che egli considerava un vero e proprio sottogenere retorico, dotato di dignità propria. Dichiarato intento dell‟antologia, impresso sin dal suo frontespizio era quello di mostrare «con grandissimo utile de‟ lettori [...] la forza dell‟eloquenza di molti huomini illustri in una materia sola» (ID., Delle orationi recitate ai Principi di Venetia cit., frontespizio dell‟opera). Interessanti interrogativi sul tema del dibattito veneziano sulla lingua volgare ad inizio „600 sono stati proposti da M.INFELISE, La Crusca a Venezia. Solo tipografia? in «Il vocabolario

degli Accademici della Crusca» (1612) e la storia della lessicografia italiana. Atti del X Convegno ASLI (Padova- Venezia 2012)¸a cura di L. Tomasin, Firenze, Cesati, 2013, pp. 65-72.

307 SANSOVINO, Delle orationi recitate ai Principi di Venetia cit., c. 1r-4r. 308 CICOGNA, Saggio di bibliografia veneziana cit., pp. 319-349. 309 CICOGNA, Saggio di bibliografia veneziana cit., c. 66r-68v. 310 Ivi, c. 61v-62v.

108

Lendinara, Serenissimo Prencipe, quantunque picciola terra sia, non cede punto a quale si sia grande ampia et ricca città in fede et divotione verso Vostra Serenità et verso questa non mai a pieno lodata Republica. Il dolersi ne i danni et il rallegrarsi negli honori del Principe sono due segni di fede et divotione, tra gli altri divoti et fedeli i più veri, i più certi et i principali.311

Adusi a congratularsi con il doge, a lodare il buon governo veneziano e a promettere fedeltà alla Repubblica erano dunque quegli stessi soggetti politici e territoriali chiamati in causa dalla lettera inviata dal governo veneto il 20 aprile 1606.

Aprire l‟antologia con l‟orazione di Gian Giorgio Trissino consentiva inoltre a Sansovino di dar conto sin da subito delle modalità di redazione e consegna degli encomi al nuovo doge, nonché degli apparati istituzionali coinvolti nella cerimonia: ricevuta la notizia dell‟elezione ducale, il consiglio della comunità suddita procedeva con l‟elezione di appositi ambasciatori, incaricati di preparare un‟orazione da recitare di fronte al doge, il quale l‟avrebbe ascoltata assiso nella Serenissima Signoria (o per essere più precisi nel Pien Collegio).312 Il corpo centrale dell‟orazione vicentina presentava un compendio dei tòpoi encomiastici presenti nelle diverse orazioni raccolte nell‟antologia sansoviniana: le lodi del doge passavano da un excursus sulla sua carriera politica e sui fasti della sua stirpe, alla lode del suo sembiante – umana immagine di divina saggezza, gravità e giustizia – nonché alla celebrazione del buon governo veneziano, nonché della singolarità architettonica e politica della città di Venezia.313

L‟exordium del Trissino aveva tuttavia il merito di andare oltre gli aspetti formali dell‟encomio per mettere a nudo le finalità ultime della pratica gratulatoria: per le comunità suddite l‟orazione costituiva il pretesto per aprire i margini di un dialogo diretto e personale con il Principe, il mezzo per esibire di fronte ai suoi occhi «ubidienza» e «amore», per conquistare quella benevolenza e quella gratitudine necessarie per raccomandarsi alla sua protezione. In ultima analisi, si trattava delle

311 Ivi, c. 74r-76v; c. 74v, orazione di Orazio Toscanelli per Lendinara al doge Girolamo Priuli (1559).

L‟antologia sansoviniana accoglieva anche l‟orazione dell‟ambasciatore lendinarese Bartolomeo Malmignatti recitata in occasione dell‟elezione ducale di Francesco Venier, avvenuta nel 1544 (ivi, c. 51r-56v).

312 Per una più precisa definizione delle competenze delle due magistrature si veda infra paragrafo 2.1. 313 Sugli stilemi dell‟oratoria celebrativa veneziana cfr DOGLIO, La letteratura ufficiale e l‟oratoria celebrativa

109

medesime finalità perseguite dagli oratori incaricati di rispondere alla lettera del 20 aprile 1606.

Momenti dal forte carattere rituale, l‟invio dell‟ambasceria suddita, la sua accoglienza in Pien Collegio, l‟orazione gratulatoria, l‟inchino fisico e metaforico tributato al doge rispondevano all‟esigenza di ristabilire quel contatto tra sovrano e suddito idealmente interrotto dalla dipartita del Principe, a placare quel senso di aleatorietà e incertezza proprio dell‟interregno, a ristabilire quindi il naturale ordine sociale:

Per noi adunque Eccellentissimo Principe la devotissima nostra città di Rovigo alla Sublimità Vostra riverentemente s‟inchina e dona: come serva a signore e come figlia ad amorevolissimo padre, col quale quanto più può co‟l core aperto, con gli spiriti ardenti, con vivo animo si rallegra.314

Attraverso le congratulazioni i sudditi davano quindi un segno di «ubidienza», mostrando di riconoscere nella figura del nuovo Principe la sovranità esercitata dalla Repubblica sulla loro comunità, ma anche un segno di «amore», mostrando di accettarla con gratitudine. Esplicita in tal senso l‟orazione di Lendinara recitata da Orazio Toscanelli in onore al doge Girolamo Priuli (1559):

Fu veramente santissimo ordine quello che instituirono gli antichi di rallegrarsi nelle novelle creationi de Prencipi et di mandar loro oratori a questo fine, ma molto più delle città et castella soggette ad essi Prencipi novellamente creati, perché a questo modo i sudditi si conservano et accrescono l‟amor del suo Prencipe, perché è honesto che i servi riconoscano il suo signore et s‟allegrino del suo bene et honore [...]. A queste cose considerando, la magnifica communità di Lendinara ha eletto noi, ci ha mandati in nome sin a riconoscere Vostra Celsitudine per suo signore et ad allegrarci con esso lei di questa sua eccellentissima esaltatione.315

314 SANSOVINO, Delle orationi recitate ai Principi di Venetia, cit., cc. 48r-50v, c.49v, orazione

dell‟ambasciatore di Rovigo Giovan Domenico Roncale per l‟elezione ducale di Francesco Venier (1544).

110

L‟allegrezza della comunità suddita derivava in primo luogo dalla dichiarata consapevolezza che dalle (sempre) ottime qualità del nuovo Principe sarebbe derivato un ottimo governo e di come dall‟ottimo suo governo sarebbero venuti a dipendere il benessere e la prosperità dei sudditi. Si vedano le parole tributate da Michele Ben, ambasciatore dalla comunità di Crema al doge Marcantonio Trevisan (1553):

Non contenta la patria nostra di Crema del secreto testimonio della sua volontà, ardentissima sempre a desiderare et provocare la grandezza et esaltatione di questo Illustrissimo Dominio (dalla conservatione del quale depende la salute et felicità sua), ha voluto con la viva voce de suoi ambasciatori aprire et manifestare quanto si rallegri del ben locato officio nella Vostra Serenità.316

La lode del doge diveniva in questo modo occasione per celebrare il mito del buon governo veneziano e della paternità del Principe. In tal senso, risultano ancora una volta particolarmente evocative le parole recitate da Bartolomeo Malmignatti, oratore inviato da Lendinara per congratularsi con il doge Francesco Venier (1544):

Deh, siaci lecito hoggi (non per adulare, né acquistar gratia con Vostra Sublimità ma per consolatione nostra) considerare alquanto la felicità della nostra suggettione a sì giusti signori, signori et patroni di ragione et di nostra volontà, ma per gli effetti et portamenti loro amorevolissimi padri, li quali continuamente vigilate in defendere la nostra quiete dalli nimici con le vostre fatiche et in conservare il nostro riposo dalle guerre con vostro travaglio, facendoci gustare questo sommo bene et inestimabil commodo della pace con mediocri et honestissimi tributi, et dir possiamo con maggior beneficio et minori angarie di qualunque altro suddito. Imperò che mai c‟imponete gravezze per ampliare li confini del Stato vostro, mai per vendicarvi del nimico, mai per accumulare tesoro, mai finalmente per satiare alcun vostro appetito, ma solo per difesa della nostra roba, della nostra vita, del nostro honore et della nostra propria libertade.317

Si è già avuto modo di far notare come il 20 aprile 1606 il governo veneto avrebbe fatto ricorso alla medesima immagine, alla medesima costruzione di un‟identità di

316 Ivi, cc. 36v-38v, c. 36v. 317 Ivi, cc. 51r-56v, cc. 52v.

111

interessi tra governanti e governati per difendere le bontà delle proprie politiche anticuriali, varate – a suo dire – proprio per «conservare li beni, le vite et l‟honore di essi sudditi»:318 nell‟eccezionalità dell‟Interdetto, in un momento di straordinaria delegittimazione del potere sovrano, di fronte al vuoto di potere determinato dall‟imminente scomunica, governanti e governati scelsero di replicare modelli celebrativi riconosciuti e consolidati, di ricorrere a forme e formule della comunicazione politica specificatamente preposte al riconoscimento e alla legittimazione del vincolo di fedeltà e tutela che legava la Dominante al suo Dominio.

In tal senso risulta oltremodo significativo notare come l‟esplicito rimando al patto di dedizione, ricorrente nelle orazioni di risposta alla lettera del 20 aprile 1606, costituisca una costante delle congratulazioni per l‟elezione ducale. Idealmente, l‟ambasciatore suddito si presentava infatti ai piedi del doge per ribadire la validità del patto di sudditanza contratto da Venezia dai suoi avi, per ricordare come la sua comunità avesse sempre ottemperato ai suoi termini e per mostrare la sua gioiosa disponibilità a rinnovarlo. Si vedano, a puro titolo esemplificativo, alcuni passi dell‟orazione del friulano Cornelio Frangipane in onore di Francesco Donà (1545):

voi [veneziani] siete amati: [...] a voi i popoli per volontà si [danno], sì come già cento ventisei anni fece la mia patria, la quale volontariamente, anzi sforzata da la bontà, da la clementia, da la fede, da la giustitia vostra venne sotto al felice governo di questo inclito Dominio.319

In tanto la mia patria abbassando gli alti colli et arrestando i correnti fiumi, tutta humile et riverente si inchina et si dona ubidiente ancella de la vostra Serenità, et noi tutti lieti ci offeriamo perpetui et fideli servitori et vassalli de la vostra maestà, et io dedico et consacro la lingua et la voce et lo spirito al grande et honorato nome de la vostra Sublimità.320

Momento rituale, le congratulazioni al doge segnavano il perpetrarsi dell‟ordine politico stabilito con la conquista veneziana. Nel 1553 come sacerdoti, gli anonimi

318 ASV, Sen., Delib., Roma ordinaria, reg. 15,c. 19r.

319 SANSOVINO, Delle orationi recitate ai Principi di Venetia, cit., c. 7r. 320 Ivi, c. 9v.

112

ambasciatori di Pirano si presentarono al doge Marcantonio Trevisan, per offrire la loro città a titolo di «novo holocausto»:

Gli avoli nostri già dugento settant‟anni, [...] con quella maggior ferventia di cuore, con quella più affettuosa volontà che cader possa in petti humani, dal libero in che si trovavano del stato loro si gettarono nel dolce de la suggettione, nel tranquillo de la protettione, nel forte et sicuro de la difensione del potente braccio di lei che nel gratioso del suo grembo benignamente gli raccolse [...]. Onde desiderosi noi (sua degna prole) di conservare et perpetuar così antico et precioso thesoro ne la vostra più tarda posterità, ci è paruto et opportuna et convenevole occasione in questa dignissima et amplissima assuntione di Vostra Serenità al meritato et ottimamente collocato supremo grado del principato, presentarci al sublime throno della sua venerabile et augusta presentia per due effetti: l‟uno, accioché sodisfacendo noi ad un tratto et al predetto ardentissimo et vivace desiderio de cuori nostri et a quel debito che si conviene a veri sudditi et vassalli, gli havessimo ad offerire in novo holocausto la candida vittima de la detta antica, paterna, hereditaria, inviolata, constante et perpetua fede, con gli odorati incensi delle nostre inclinatissime menti et affettuose volontà verso di lei.321

Nella conclusio della già citata orazione del lendinarese Bartolomeo Malmignatti, compariva invece quella offerta di sangue, averi, vite e figlioli, quella formula rituale così frequentemente riportata dai rettori nel dar conto delle reazioni delle comunità alla notizia delle tensioni in atto con il pontefice:

Ma quanto potemo fare hoggi, humanissimo Prencipe, benignissima Signoria, a sodisfattione di quella sua fedelissima terra di Lendenara, sarà pigliando la sustanza e conclusione delle mandati suoi, dopo le debite congratulationi, riverentemente dirle che tutti quelli sviscerati sudditi suoi in confermatione di quell‟antico giuramento di fedeltà che porsero li loro maggiori con le mani et molto più con l‟animo, consacrano a vostra Sublimità et a questa santissima Republica la roba, li figliuoli et la vita propria, sicuri di non poter fare più grato sacrificio all‟altissimo Iddio quando saria spargere il proprio sangue per beneficio di questo christianissimo et giustissimo Dominio. Il quale tante volte

113

l‟ha sparso per la sua santa fede et per la difesa et salute di noi suoi sudditi, li quali piaccia a sua divina Maestà (come affettuosamente la supplichiamo) mantenere insieme con la nostra posterità in perpetuo sotto la felicissima sua ombra, et in sua buona gratia, dalla quale, humilmente raccommandandoci, pigliamo buona licenza.322

L‟oratore mostrava così di riconoscere tutti gli obblighi assunti dalla sua comunità al momento della dedizione, ma al contempo quella stessa esibizione di sottomissione richiamava il Principe al suo dovere tutorio: pratica già evidenziata nelle risposte alla lettera del 20 aprile 1606, l‟idilliaca rappresentazione del rapporto di sudditanza celava e rendeva accettabile un messaggio politico dalle forti implicazioni. Nel 1606, i rappresentanti di Feltre si congedarono da Leonardo Donà «raccommandandogli gli ordini, i statuti, i privilegi» della loro comunità:

quelli ordini, quei statuti, quei privileggi con li quali per somma nostra felicità siam volontariamente dati sotto la protettione di questa Republica Serenissima, sotto della quale con questi e siam vivuti per il passato e viviamo hoggidi felicissimamente; et a Vostra Serenità offeriamo ogni haver nostro e publico e privato: offeriamo le vite nostre proprie, quelle de proprii figliuoli, desiderosissimi, imitando i vestigi de nostri maggiori, di spendere le facoltà nostre tutte e‟l sangue stesso in servitio di questa Republica Serenissima.323

L‟antologia sansoviniana dimostra come, presentandosi al nuovo Principe, anche comunità minori come l‟istriana Pirano non mancassero quindi di ribadire la volontarietà della loro dedizione, il fatto di essere entrati nel Dominio per libera scelta e non per diritto di conquista:

vinti non da altre armi che da la giustitia, da la equità, da la clementia che rendeva come di continuo ha reso et rende illustre anzi maravigliosa al mondo questa santissima et da le mani d‟Iddio veramente fondata Republica, con quella maggior prontezza d‟animo, [...] facendo loro di sé et di noi sua futura

322 Ivi, cc. 56v-57r.

323 P.GESLINO, Oratione di Pietro Geslino Iure Consulto Ambasciatore per la Città di Feltre per la Creatione del

114

prosperità, spontanea deditione, volontario dono, fedele et inviolabile homaggio al sacro et etterno de la sua perpetuità.324

Allo stesso modo, nel 1554 Vicenza, per bocca di Girolamo Ferramosca, non mancò di far valere di fronte al doge Francesco Venier il peso della sua primogenitura, l‟aver indicato alle altre città della Terraferma veneta la via della