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1. La lettera del 20 aprile 1606

1.5 La mediazione del rettore

«Punto di contatto più immediato» tra ambiente veneziano e ambiente veneto, tra mondi regolati da culture giuridiche e politiche radicalmente diverse – separate – il rettore ricopriva un ruolo di delicata importanza per la tenuta dello Stato da Terra:92 podestà, capitani e provveditori, la loro veste rossa insieme allo sparuto numero di giudici, funzionari e birri che li accompagnavano, rappresentavano per la massa dei sudditi la principale, e in molti casi l‟unica, empirica esperienza del potere sovrano.93 Emanazione politica della Dominante ma al contempo integrato nel sistema di governo cittadino, il rettore vigilava sull‟operato degli uffici municipali e presiedeva il consiglio della comunità.94 Ai rettori spettava il mantenimento dell‟ordine pubblico, la gestione dell‟apparato militare, la realizzazione e la manutenzione di opere pubbliche

92 POVOLO, L‟intrigo dell‟onore cit., pp. 103-107, citazione tratta da p. 104. Particolarmente interessanti le

riflessioni sul tema della “separatezza giuridica” in ID., Un sistema giuridico repubblicano cit.

93G.COZZI, Ambiente veneziano, ambiente veneto. Governanti e governati nel dominio di qua dal Mincio nei secoli

XV-XVIII in Ambiente veneziano, ambiente veneto. Saggi su politica, società, cultura nella Repubblica di Venezia in età moderna, a cura di G. Cozzi, Venezia, Fondazione Giorgio Cini, 1997, pp. 291-352 [I edizione in Storia della cultura veneta, Vol. 4, Tomo II, Il Seicento, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza,

Neri Pozza, 1984 pp. 495-539]. Si veda anche G.CORAZZOL, Cineografo di banditi su sfondo di monti.

(Feltre, 1634-1642), Milano, Unicopli, 1997.

94 Scrive Gian Maria Varanini: «Va osservato [...] che spesso si considera il rettore, e ben giustamente,

come un rappresentante (anzi il rappresentante) del potere centrale; si sottolinea pertanto l‟importanza delle commissiones affidategli, gli “ordini di servizio” riservati e dunque concretamente operativi che gli vengono impartiti da Venezia che assumono un rilievo notevole nella gerarchia delle fonti del diritto. Occorre però non dimenticare neppure che uno dei rettori è anche pur sempre il podestà della città, assume cioè sulle sue spalle il peso simbolico di una tradizione plurisecolare di rappresentanza dell‟unità efficace del governo cittadino, della quale non può non tenere conto» (VARANINI, Il giurista,

il Comune cittadino, la Dominante cit., p. 368). Un simile dualismo della funzione rettoriale è stato peraltro

evidenziato evidenziato anche nello Stato territoriale fiorentino del „400 (cfr. P.SALVADORI, Dominio e

patronato: Lorenzo dei Medici e la Toscana nel Quattrocento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000, p.

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nonché la vigilanza sulle finanze, sull‟esazione fiscale e sull‟annona.95 Soprattutto, ai rettori – coadiuvati nelle podesterie maggiori ai giudici assessori che componevano le corti pretorie – competeva l‟amministrazione della giustizia in via ordinaria.96 In ambito penale, previa delegazione, ai reggimenti maggiori era dato giudicare in vece e con la stessa autorità delle più prestigiose magistrature lagunari.97

Come è stato adeguatamente dimostrato, il rettore veneziano non poteva essere considerato alla stregua di un funzionario di Stato, almeno non nell‟accezione di mero esecutore di politiche calate dall‟alto: le sue funzioni venivano svolte in ottemperanza a ordini, direttive e politiche generali maturate ai vertici della Repubblica ma applicate in loco entro i confini consentiti dagli articoli dei patti di dedizione, dall‟accordato rispetto per gli statuti municipali e per le giurisdizioni, seppur residuali, delle magistrature cittadine.98 Al di là delle inevitabili pressioni esercitate dal contesto sociale, erano lo stesso sistema giuridico repubblicano e il contesto amministrativo e giurisdizionale di Terraferma a garantire alle comunità suddite una serie di strumenti politico-istituzionali funzionali all‟esercizio di una certa influenza sull‟operato del rettore.99

95 Per un inquadramento generale sui compiti dei rettori si veda G. COZZI, Politica, società, istituzioni in

Storia della Repubblica di Venezia. Dalla guerra di Chioggia alla 1517, a cura di G. Cozzi e M. Knapton,

Torino, Utet, 1986, pp. 210-220 (pp. 3-274).

96 Di minore ampiezza le competenze e le giurisdizioni riservate ai rettori delle podesterie inferiori,

solitamente limitate al civile e in ogni caso largamente subordinate a quelle del reggimento urbano di riferimento (cfr. TAGLIAFERRI. Ordinamento amministrativo dello Stato di Terraferma in Atti del convegno

Venezia e la Terraferma cit., pp. 15-43). Sulla questione dell‟amministrazione della giustizia in Terraferma

e delle competenze dei rettori si vedano invece G. COZZI, Repubblica di Venezia e Stati italiani cit., pp.

217-318; C. POVOLO, Aspetti e problemi dell‟amministrazione della giustizia penale nella Repubblica di Venezia.

Secoli XVI-XVII, in Stato, società e giustizia cit., Vol. I, pp. 153-161 (pp. 153-258); VIGGIANO, Governanti

e governati cit., in particolare pp. 67-84. In merito ai giudici assessori si veda ID., Ascesa sociale e burocrazia

di stato: la carica di assessore nello stato di terraferma veneto, in “Annali Veneti”, 2 (1985), pp. 67-74 e C.

POVOLO, Il giudice assessore nella Terraferma Veneta, saggio introduttivo all‟edizione di G.BONIFACIO,

L‟assessore, discorso del Sig. Giovanni Bonifaccio. In Rovigo MDCXXVII, a cura di C. Povolo, Pordenone,

Sartor, 1991 [I edizione in Rovigo, appresso Daniel Bissuccio, 1627].

97 Sul tema dei processi delegati POVOLO, L‟intrigo dell‟onore cit. pp. 171-174; ID., Le rite inquisitoire du

Conseil des Dix, in Rite, justice et pouvoirs. France-Italie, XIVe-XIXe siècle, a cura di L. Faggion e C. Verdon,

Aix-en-Provence, Presses Universitaires de Provence (Aix-en-Provence), 2012, pp. 115-129; ID,

Introduzione in Il processo a Paolo Orgiano (1605-1607), a cura di C. Povolo, Roma, Viella, 2003, pp.

XXXIV – LXVI (pp. VII-LXVI).

98 COZZI – KNAPTON, Storia della Repubblica di Venezia cit., pp. 215-217; POVOLO, L‟intrigo dell‟onore cit.,

in particolare pp. 103-146; ZAMPERETTI, Magistrature centrali, rettori e ceti locali cit.

99 Sul tema del sistema giuridico veneziano riamando ai già citati ID., Un sistema giuridico repubblicano cit.,

e COZZI, Repubblica di Venezia e Stati italiani, cit. Della ormai vastissima bibliografia sul tema delle

persistenze municipali nell‟ambito dello stato territoriale veneziano mi limito per il momento a segnalare per l‟ampiezza delle prospettive indagate la miscellanea di VARANINI, Comuni cittadini e stato

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L‟ottimo rettore delineato dalla precettistica veneta trovava la sua principale virtù nella misura, nella capacità di tener salva la sovranità repubblicana evitando al contempo di dare ad essa una fisionomia tirannica e vessatoria, avulsa rispetto alla comunità locale, irrispettosa delle sue autonomie e sorda di fronte alle sue esigenze.100 Dall‟interpretazione data dal rettore alla carica e alle sue funzioni, dall‟oscillazione tra il rispetto per le prerogative locali e il loro sprezzo in nome delle superiori ragioni della Repubblica, o più propriamente dalla sua abilità nel conciliare tali istanze divergenti, veniva a dipendere in larga misura la percezione del dominio veneziano presso le popolazioni sottomesse.101 Un ruolo di delicata importanza, si è detto, quello del rettore, patrizio veneziano rappresentante del corpo sovrano e della Serenissima Signoria, garante del perseguimento dei superiori interessi della Repubblica, ma al contempo tutore delle prerogative locali e del benessere della comunità affidatagli.102 In qualità di organo di trasmissione, prima ancora che di

100 Eloquente sin dal sottotitolo il trattato di G. TAZIO, L‟ottimo reggimento del magistrato pretorio, in

Venetia, appresso Francesco de' Franceschi, senese, 1564: «Ove brevemente si discorre in che modo si doverebbe governare qualunque Rettore di qual si voglia Città, o Provincia, per conseguire laude da‟ sudditi, et honore appresso il suo Prencipe». Si veda inoltre ID., La imagine del Rettore della bene ordinata

città, In Vinetia, appresso Gabriel Giolito di Ferrarii, 1573, il sui sottotitolo recita: «Ove si discorrono i

modi, che dalla fanciullezza per fino alla età virile si debbono tenere da quello, che deve esser eletto al governo d‟alcuna città per dar di sé soddisfattione a sudditi, et haverne commendatione dal suo Prencipe». Si vedano anche le riflessioni di Cozzi sul De praetorio officio di Marcantonio Sabellico in COZZI –KNAPTON, Storia della Repubblica di Venezia cit., p. 211.

101 Secondo Alfredo Viggiano sulla funzione rettoriale «si proiettavano una sorta di mitologica e

atemporale immagine del buon governo, come anche gli accomodamenti congiunturali, le proposte più spregiudicate e gli arretramenti più timorosi che attraversavano la classe dirigente veneziana». E ancora: «Le funzioni inerenti la carica rettoriale erano avvolte da sostanziale ambiguità; difficile intuire quanto realmente congegnata dai saggi estensori delle leggi. I vari rappresentanti della Serenissima nel Dominio avrebbero dovuto da una parte comunicare ai sudditi l'idea di una giustizia saggia e paterna, ma anche capace di colpire inesorabilmente; dall'altra i margini di un intervento discrezionale erano limitati dal controllo esercitato dal centro per via legislativa o giudiziaria, dalla selva dei privilegi goduti e delle prerogative detenute dai corpi particolari soggetti» (A.VIGGIANO, Il Dominio da Terra: politica e

istituzioni, in Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima, Vol. IV, Il Rinascimento. Politica e cultura, a cura di A. Tenenti e U. Tucci, Roma, Istituto dell‟Enciclopedia Italiana, 1994, pp. 549-550

(pp. 529-575). Si veda inoltreID, Governanti e governati cit., p. 68-79). Di fondamentale importanza

anche il contegno personale del rettore: «Dispregio veramente suol partorire quando che i sudditi comprendono il rettore vario, irresoluto, volubile, feminile, pusillanimo, leggiero, arrogante, imprudente, cianciatore et simulatore della qual cosa si dee far molto avertito di non dar di sé alla universalità, né ad alcun privato una tale opinione, anzi è debito suo di dimostrar in ogni sua operatione stabilità, risolutione, fermezza, virilità, animo, grandezza, patienza, prudenza, taciturnità et sincerità: percioché a questo modo procedendo, il pretore potrà esser sicuro fuggendo l‟essere odiato et dispregiato, di acquistar amor et veneratione appresso i sudditi. Il che può apportargli grandissimo honore et far il suo nome per sempre illustre» (TAZIO, L‟ottimo reggimento del magistrato pretorio cit., pp.

49-50). Su questi temi si vedano anche CORAZZOL, Cineografo di banditi cit., passim; C. POVOLO,

Zanzanù. Il bandito del Lago (1576-1617), Tignale, Comune di Tignale, 2011, in particolare pp. 93-144).

102 SCARABELLO, Nelle relazioni dei Rettori veneti in Terraferma, aspetti di una loro attività di mediazione tra

governanti delle città suddite e governo della Dominante, in Atti del convegno Venezia e la Terraferma cit., pp. 485-

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esecuzione, degli esiti del processo repubblicano di decision making, al rettore spettava dunque l‟onere di dare corretta lettura alle volontà espresse e inespresse da quel principe multiforme costituito dal patriziato veneziano, di mandare a concreta applicazione le sue direttive, di calarne sui territori proclami, parti e sentenze senza tradirne il significato,ma evitando al contempo di urtare la sensibilità politica della comunità affidatagli.103

Problematiche che la lettera del 20 aprile 1606, insolita nella forma, complessa per contenuti ed estremamente eterogenea dal punto di vista dei linguaggi politici, sollevava in maniera particolare: nella conclusio della lettera il Principe ordinava al suo rappresentante in loco di preparare la lettura del dispaccio con un breve commento, di suffragarne e amplificarne i contenuti con «accomodata forma di parole».104 Il Principe si affidava all‟abilità retorica e alla sensibilità politica dei suoi rappresentanti per una corretta trasmissione del suo messaggio: dall‟interpretazione che ne avrebbe data il singolo rettore, dalle scelte retoriche operate per prepararne la lettura, dalle modalità della sua consegna sarebbe dipeso in larga misura il successo della strategia di risposta al monitorio pontificio varata dal governo veneto. I dispacci dei rettori in risposta alla missiva rendono conto delle reazioni delle comunità alla notizia della crisi ma ancor più della personale interpretazione che il singolo rappresentante veneziano seppe e volle dare a quella inconsueta comunicazione.105 Bisogna considerare inoltre come non pochi rettori, e in particolar modo quelli destinati ai reggimenti minori, fossero venuti a conoscenza dei termini della crisi nell‟atto stesso di darne comunicazione alle comunità loro affidate. Come si è già avuto modo di rilevare, la lettera si configurava in primo luogo una comunicazione interna agli organi di governo veneziani, centrali e periferici, alla quale il suddito era stato benevolmente chiamato ad assistere: per Tommaso Donà, podestà di Monselice, la lettera conteneva essenzialmente «ordeni» a lui destinati con la commissione di

illustrava ai rettori «quali fossero i doveri di ciascuno di essi, verso la Repubblica e verso i sudditi» (COZZI, Repubblica di Venezia e Stati italiani cit., pp. 271-277; 271).

103 Scrive Alfredo Viggiano: «Fondamentale cinghia di trasmissione della volontà del Principe ai sudditi

e delle inclinazioni di chi doveva obbedire alla legge rispetto a coloro che la legge erano tenuti ad emanare, la funzione rettoriale era composta da una pluralità di motivi spesso in conflitto l'uno con l'altro e postulava un‟ardua ricerca di equilibri». (VIGGIANO, Il Dominio da Terra cit., pp. 549. Si veda

anche DEL TORRE, Venezia e la Terraferma dopo la Guerra di Cambrai cit., pp. 232-235). 104 ASV, Sen., Delib., Roma ordinaria, reg. 15 c. 20r.

105 Sul rapporto tra fonti archivistiche e narrazione si veda N.ZEMON DAVIS, Fiction in the Archives.

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narrarli alla comunità; 106 per Leonardo Valier, provveditore e capitano di Salò, si sarebbe trattato di un «avertimento intorno il tentativo del pontefice, che vorrebbe privar la Serenissima Repubblica di quell‟antichissima libertà con la quale per tanti secoli s‟è mantenuta, con la volontà anco sempre pronta de Sommi pontefici predecessori».107 Il rettore di Pordenone riferì invece di aver provato lui per primo «non poco [...] dispiacere» venendo a conoscenza degli «indebiti tentativi promossi da Sua Santità».108 Francesco Valier, provveditore di Cividale del Friuli, notificò di aver letto quanto al doge«piacque di voler communicare [...] nelle materie vertenti con Sua Santità»e di averaccompagnato la lettura «con quel più efficace spirito di parole» possibile, e di averlo fatto per lo «zello» che sentiva per il «servitio publico et in negotio di tanta importanza».109 Consapevole della gravità del momento e delle sue responsabilità, il rettore di Rovigo scelse al contrario di limitarsi alla sola lettura della lettera, conscio che qualsiasi ulteriore commento ne avrebbe irrimediabilmente falsato il significato:

mi pareva che l‟ufficio che mi veniva imposto dalla Sublimità Vostra di communicar loro quanto le passa di disgusto col pontefice era un‟indubitabile testimonio di questa sua ottima dispositione verso questa Magnifica Città, et che non mi pareva di poter meglio essequir le commissioni della Serenità Vostra che col far leggere le medesime lettere nel loro Magnifico et Honorado Consiglio, perché dalla lettura d‟esse havriano più chiaramente compreso il paterno affetto col quale s‟è mossa la Serenità Vostra verso di loro che colle parole mie.110

Si trattò comunque di un caso isolato: la lettera stessa forniva al rettore una puntuale traccia per la costruzione del suo discorso introduttivo. Sei i punti da toccare, alcuni ampiamente sviscerati nel corpo della missiva e altri introdotti nella

106 ASV, Sen., Disp. dei rettori, Padova, f. 3, c. n.n., alla data 25.04.1606 dispaccio di Tommaso Donà,

podestà di Monselice.

107 ASV, Sen., Disp. dei rettori, Brescia, f. 6, c. n.n., alla data 26.04.1606 dispaccio di Leonardo Valier,

provveditore e capitano di Salò.

108 Ivi, Udine e Friuli, f. 3, c. n.n., alla data 23.04.1606 dispaccio di Alvise Minio, provveditore e

capitano di Pordenone.

109 Ivi, c. n.n., alla data 24.04.1606, dispaccio di Francesco Valier, provveditore e capitano di Cividale

del Friuli.

110 Ivi, Rovigo, f. 3, c. n.n., alla data 23.04.1606, dispaccio di Marcantonio Balbi, podestà e capitano di

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sola conclusio, in ogni caso tutti adeguatamente segnalati dal Principe nella recapitulatio: la bontà e l‟utilità per il suddito della legislazione osteggiata dal pontefice; la volontà della Repubblica di perseverare nella cura e buon governo dei suoi domini; la ferma certezza del contraccambio della Terraferma in termini di fedeltà e, in conseguenza di tutto ciò, l‟assoluta ingiustizia del tentativo romano. Il quinto punto, per quanto non contemplato nell‟argumentatio, a ragione poteva considerarsi il suo momento centrale, il cuore della comunicazione inoltrata dal Senato: il Principe dichiarava di voler resistere alle pretese pontificie e di farlo senza «scrupolo alcuno nella [propria] coscientia». In merito erano stati interpellati «huomini eccellentissimi nella teologia et nella Sacra Scrittura», dottori che avevano scritto a difesa delle «ragioni» della Repubblica sentenziando la nullità di qualsiasi scomunica fosse caduta su di essa.111 Evidente il riferimento al manipolo di teologi e consultori in iure del quale il governo veneto si era dotato alle prime avvisaglie della crisi, incaricandoli di supportare con i loro pareri tecnici il discorso politico-diplomatico.112 Già Paolo Sarpi nei suoi consulti aveva avuto modo di dimostrare quanto postulato dalla lettera con la laconica formula «dove non vi è peccato, non vi può esser loco di censura»:113 la Repubblica non aveva errato nel legiferare dacché si poteva concludere che, in assenza di errore, nessuna sanzione avrebbe potuto ritenersi giuridicamente valida.114 Il sesto punto si presentava come una doverosa precisazione, considerate le veementi critiche mosse dalla Repubblica all‟operato del pontefice e alla validità delle sue sanzioni: nonostante gli attriti con Roma, Venezia continuava a professarsi cattolica e a riconoscere l‟autorità spirituale del papa; sulle questioni temporali non intendeva, però, riconoscere alcun superiore se non Dio.115

Patrizio di provata esperienza politica, rappresentante dell‟ala più oltranzista dei

giovani, Leonardo Mocenigo, podestà di Brescia durante l‟Interdetto,116 concentrò tutti

111 ASV, Sen., Delib., Roma ordinaria, reg. 15 c. 20r.

112 Si veda l‟introduzione di Corrado Pin a SARPI, Consulti cit., Vol. I, Tomo I pp. 13-100; G.

BENZONI, I “teologi” minori dell'Interdetto, in “Archivio veneto”, CI, 1970, pp. 31-108. Sull‟ufficio di consultore in iure si vedaA.BARZAZI, I Consultori in iure, in Storia della cultura veneta, Vol. V, Tomo II: Il

Settecento, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza, Neri Pozza, 1986, pp. 179-199.

113 ASV, Sen., Delib., Roma ordinaria, reg. 15 c. 20r. 114 SARPI, Consulti cit., Vol. I, Tomo I, pp. 216-247. 115 ASV, Sen., Delib., Roma ordinaria, reg. 15 c. 20r.

116 Cfr. V. MANDELLI, Mocenigo, Leonardo, in DBI, Vol. 75, 2011, pp. 143-144. Sulla personalità e sulla

visione politica di Leonardo Mocenigo si veda inoltre POVOLO, Zanzanù. Il bandito del Lago (1576-1617)

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i suoi sforzi retorici in un‟accorata difesa delle ragioni della Repubblica condotta per opposizione alle pretese pontificie:

rappresentavo la pretensione et il tentativo del pontefice e le validissime ragioni della Serenissima Republica con la risolutissima et costantissima volontà di lei, fondata sopra il giusto, di non ceder, sumministrandomi le parole la forza della ragione et il debito co‟l quale io son nato per sostentar la publica libertà 117

Gli fecero eco tanto il provveditore e capitano di Salò118 quanto il provveditore della fortezza di Asola,119 ma una maggiore affinità con il discorso di Mocenigo è ravvisabile nelle parole spese da Bernardo Marcello, capitano di Verona, noto anch‟egli per la sua intransigenza anticuriale:120

Habbiamo anco detto a questi magnifici Proveditori [carica di governo della comunità di Verona] che facciano convocar il Consiglio generale della città per esponer a quelli Magnifici cittadini quanto indebite et ingiuste siano le pretensioni del pontefice contra la Serenissima Republica che è stata sempre zelante dell‟honor di Dio, et benemerita della Sede Apostolica. Ne mancheremo in questo ufficio oltre la lettura delle proprie lettere di Vostra Serenità piene di tanta prudenza di far loro appresso quelle considerationi che stimeremo a proposito per imprimergli nell‟animo le molte et validissime ragioni della Serenissima Republica et confirmarli in quella fede, colla quale sono tenuti di corresponder alla paterna charità della Serenità Vostra verso di loro, et di tutti i sudditi suoi. 121

et havendogli prima io capitano con quella miglior forma di parole, che mi è stata sumministrata dal Signor Dio, et da quell‟affetto che deve mover l‟animo di ogni buon cittadino et rapresentante della Serenissima Republica in tutte le attioni et essecutioni che tendono alla conservatione della libertà et dignità sua, esposto a che fine havevamo fatto congregar esso Consiglio, toccandosi molti

117 ASV, Sen., Disp. dei rettori, Brescia, c. n.n., alla data f. 6, 23.04.1606, dispaccio di Leonardo Mocenigo,

podestà di Brescia.

118 Ivi, c. n.n., alla data 26.04.1606, dispaccio di Leonardo Valier, provveditore e capitano di Salò. 119 Ivi, c. n.n., alla data 25.04.1606, dispaccio di Giustiniano Badoer, provveditore di Asola. 120 Cfr. R.ZAGO, Bernardo, Marcello, in DBI, Vol. 69, 2007, pp. 523-525.

121 ASV, Sen., Disp. dei rettori, Verona, f. 3, c. n.n. alla data 23.04.1606, dispaccio di Bernardo Marcello,

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particolari intorno alla molestia che indebitamente è data dal pontefice alla Serenità Vostra et le validissime ragioni, che ella ha di resiter à così ingiusto tentativo, li habbiamo poi fatte legger le lettere di Vostra Serenità. 122

Di diverso tono il discorso pronunciato nel Consiglio della città di Udine da un