(Soppressione albo direttori dei lavori e dei collaudatori - appalti a
contraente generale)
La norma abroga i commi 3 e 4 dell’articolo 196, che prevedono (al comma 3) l'albo dei soggetti che possono ricoprire i ruoli di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con la formula del contraente generale. Con la soppressione del comma 4, viene anche meno la previsione della fissazione di criteri, di specifici requisiti di moralità, di competenza e di professionalità (oltreché di modalità di iscrizione all'albo e nomina, nonché di compensi nei limiti normativi previsti) in materia di collaudatori e direttori di lavori per gli appalti aggiudicati con la formula del contraente generale.
In particolare, il comma 3 prevedeva, per gli appalti pubblici di lavori, aggiudicati con la formula del contraente generale, l'istituzione, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un albo nazionale obbligatorio dei soggetti che possono ricoprire rispettivamente i ruoli di direttore dei lavori e di collaudatore. La loro nomina nelle procedure di appalto si prevedeva nel comma soppresso avvenisse mediante pubblico sorteggio da una lista di candidati indicati alle stazioni appaltanti in numero almeno triplo per ciascun ruolo da ricoprire e prevedendo altresì che le spese di tenuta dell'albo fossero poste a carico dei soggetti interessati.
Il comma 4 demandava poi ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del codice, la disciplina di: criteri, specifici requisiti di moralità, di competenza e di professionalità, modalità di iscrizione all'albo e di nomina, nonché compensi da corrispondere che non devono superare i limiti di cui agli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge n. 201/2011 e all'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014. Fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 4, si disponeva l'applicazione in via transitoria dell'articolo 216, comma 21 del codice.
Si segnala che a seguito della novella in esame, viene soppressa quindi non solo la previsione dell'albo, ma anche la previsione della fissazione di 'criteri, specifici requisiti di moralità, di competenza e di professionalità' (oltreché le modalità di iscrizione all'albo e di nomina, nonché i compensi da corrispondere nei limiti normativi previsti), contenuta nel comma 4 della norma del codice in materia di collaudatori e direttori di lavori per gli appalti aggiudicati con la formula del contraente generale.
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Potrebbe essere chiarito se, per i soggetti chiamati a svolgere il ruolo di collaudatori e direttori di lavori valgano i requisiti previsti in via generale dalle disposizioni del codice.
La previsione era, nel testo originario del decreto-legge, alla lettera gg) dell'articolo 1.
In materia, si rammenta come la normativa dettata nel codice del 2016, rispetto al vecchio codice, con l'articolo 196 aveva inteso centralizzare il sistema di certificazione dei soggetti che possono ricoprire il ruolo di collaudatori e direttore lavori negli appalti aggiudicati con la formula del contraente generale, anche al fine di prevenire forme di corruzione.
La relazione illustrativa del governo evidenzia che la soppressione risulterebbe tesa a semplificare ed accelerare le procedure in materia di contraente generale, eliminando l'istituzione di un albo obbligatorio. Al riguardo, va inoltre rammentato che con nota di trasmissione del 31 gennaio 2019 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva chiesto il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto concernente "le modalità di iscrizione all’albo nazionale istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dei soggetti che possono ricoprire i ruoli, rispettivamente, di direttore dei lavori e di collaudatore negli appalti pubblici di lavori aggiudicati con la formula del contraente generale, le modalità di nomina degli stessi, nonché la definizione dei criteri, degli specifici requisiti di moralità, di competenza e di professionalità richiesti, ai sensi dell’articolo 196, comma 4, del decreto legislativo 18 aprile 2016". Nel parere espresso dal Consiglio di Stato, venivano svolte considerazioni di tipo sistematico sulla funzione di direttori e collaudatori dei lavori negli appalti aggiudicati con la formula del contraente generale, oltre a specifici rilievi su quello schema di regolamento, che rilevando in materia di seguito di sintetizzano.
Con il Parere Consiglio di Stato 15 marzo 2019, n. 830, dopo aver dapprima ricordato come la ratio della norma risiedesse nel rispondere all’obiettivo di garantire la terzietà e scongiurare i conflitti di interesse che avevano caratterizzato l’applicazione della disciplina del vecchio codice in materia di appalti di lavori affidati a contraente generale - conflitti di interesse che hanno determinato la riforma della relativa disciplina ad opera del nuovo Codice dei contratti pubblici - il Consiglio di Stato ha poi evidenziato nello specifico criticità nella scelta proposta di restringere l’ingresso all’albo nazionale de quo ai soli dipendenti delle amministrazioni aggiudicatrici, rilevando: come la stessa non trovi alcun aggancio normativo, non essendo assolutamente prevista nell’art. 196 del Codice dei contratti pubblici, potendo in tal modo dar luogo ad un cospicuo contenzioso; come essa si ponesse in netto contrasto con l’opposta impostazione adottata in sede di c.d. decreto correttivo (che, con l’articolo 114, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, è intervenuto sul testo dell’articolo 194, comma 3, lettera b) del Codice, abrogando le parole “con le procedure di cui all’articolo 31, comma 1,”, in tal modo svincolando, per gli affidamenti a contraente generale, le modalità di nomina del direttore dei lavori e del
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collaudatore dalle modalità di nomina previste, per il responsabile unico del procedimento (RUP), laddove si prevede invece che il responsabile unico del procedimento debba essere nominato “tra i dipendenti di ruolo” addetti all’unità organizzativa della stazione appaltante).
In tal modo - ha evidenziato il Consiglio di Stato in occasione di tale parere - "il Legislatore del correttivo ha voluto implicitamente, ma chiaramente, far intendere che, per gli appalti di lavori affidati a contraente generale, la nomina del direttore dei lavori e del collaudatore non deve affatto avvenire esclusivamente tra i dipendenti di ruolo dell’amministrazione (come invece avviene per il RUP), tanto è vero che anche nel successivo articolo 196 del Codice dei contratti pubblici, ove viene prevista, al comma 3, l’istituzione di un “albo nazionale obbligatorio dei soggetti che possono ricoprire rispettivamente i ruoli di direttore dei lavori e di collaudatore”, non è stata operata alcuna riserva in favore dei dipendenti di ruolo delle amministrazioni aggiudicatrici, riserva che invece erroneamente codesto Ministero ha inteso reintrodurre in via regolamentare".
Perplessità erano invece state sollevate dall’ANAC con riguardo all’apertura dell’albo nazionale anche a soggetti esterni all’amministrazione; al riguardo, il Consiglio di Stato profilava il possibile superamento delle stesse considerando che la scelta, per il singolo appalto di lavori pubblici affidato a contraente generale, del soggetto che andrà a ricoprire il ruolo di direttore dei lavori o di collaudatore avviene, "ai sensi dell’articolo 196, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, attraverso il meccanismo del “pubblico sorteggio” operato “da una lista di candidati indicati alle stazioni appaltanti in numero almeno triplo per ciascun ruolo da ricoprire”. Tale meccanismo del pubblico sorteggio, contemplato direttamente da una fonte primaria (articolo 196, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), ritenuto non incompatibile con le direttive UE del 2014 in materia di affidamenti di appalti di lavori, servizi e forniture, ben potrebbe essere considerato esso stesso quale procedura ad evidenza pubblica con la quale scegliere i soggetti (interni ed esterni all’amministrazione) cui affidare l’incarico di direttore dei lavori o di collaudatore per gli appalti di lavori pubblici affidati a contraente generale.
Si ricorda, infine, in riferimento ai limiti ai compensi cui faceva riferimento il comma 4 - abrogato dal decreto-legge - che: gli articoli 23-bis (compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni) e 23-ter (emolumenti o retribuzioni a carico delle finanze pubbliche nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali), richiamati dalla predetta disposizione, stabiliscono che il trattamento economico del Primo presidente della Corte di cassazione costituisca parametro massimo di riferimento per la definizione del trattamento economico annuo onnicomprensivo di chiunque riceva, a carico delle finanze pubbliche, emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo (inclusi i componenti degli organi di amministrazione, direzione e controllo) con pubbliche amministrazioni
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statali e con società dalle stesse partecipate. Secondo quanto stabilito dall’art. 13 del DL 66/2014 (conv. L. 89/2014), a partire dal 1° maggio 2014, il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione è fissato in 240.000 euro annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente. Sono inclusi nel computo cumulativo le somme comunque erogate all'interessato dalle amministrazioni pubbliche e le somme erogate dalle società da esse partecipate in via diretta o indiretta.
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