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2. DAGLI ANNI NOVANTA AD OGGI 1 Introduzione

2.6. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d.lgs 42/2004)

2.6.1. Articolo 29 Conservazione

L'articolo 29 del Codice dei beni culturali, rubricato “Conservazione”, ha apportato numerose innovazioni in materia, ma non risulta scevro da contraddizioni e imprecisioni, sulle quali si è soffermato in particolar modo Carlo Federici, nel corso dei suoi studi.

Secondo quanto stabilito dal comma 1:«La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro». Manca una definizione puntuale del termine conservazione, al contrario di quanto accade nei commi successivi, nei quali vengono analizzati i concetti di prevenzione, manutenzione e restauro. Si tratta di una carenza di non poco conto, ma è comunque importante sottolineare la bontà degli intenti del legislatore, spesso purtroppo disattesi nei fatti, nel prescrivere una “coerente, coordinata e programmata attività di studio,

185 http://beniculturali.regione.fvg.it/crcr_r/index_d.asp?CSez_ID=HOME&Cont_ID=1029

prevenzione, manutenzione e restauro”186.

L'attività di conservazione dovrà essere portata avanti senza contraddizioni, ogni azione di cui si compone dovrà essere legata alle altre e non potrà prescinderne. Ciascun istituto di conservazione dovrà valutare annualmente, in base al proprio budget economico, gli interventi di restauro da realizzare, assicurando la priorità a quelli più urgenti.

Lo studio, pur in assenza di una specifica definizione, è considerato ovviamente la premessa irrinunciabile, sarà quindi necessario conoscere sia il contesto in cui si trovano i beni da conservare, con riferimento anche alla storia dell'istituzione e alle caratteristiche fisiche dell'ambiente, che le caratteristiche specifiche del libro o documento in esame. La maggior parte delle informazioni che consentono al conservatore di contestualizzare storicamente il libro sono frutto del lavoro degli studiosi di filologia, paleografia, storia dell'arte, bibliologia e in generale di tutte le discipline che hanno ad oggetto la componente testuale, e che rivestono per il conservatore un interesse puramente strumentale.

La sua attenzione si deve focalizzare principalmente sulla storia delle tecniche e dei materiali utilizzati per la manifattura, ovvero l'archeologia del libro187, e

inoltre deve spendere le proprie competenze negli ambiti della chimica, della fisica e della biologia, indispensabili per lo studio dello stato di alterazione dei materiali di cui si compone il bene culturale.

Il Codice definisce la prevenzione come «il complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto»188.

L'utilizzo dell'espressione “complesso di attività” indica come un'azione singola non sia sufficiente ai fini della prevenzione, mentre l'utilizzo del verbo “limitare” con riferimento alle situazioni di rischio sottolinea come non sia possibile un loro completo annullamento. Deve comunque essere ricordato che non tutte le attività

186 C. Federici, 2009, p. 23. 187 C. Federici, 2009, p. 13.

di tutela sono attinenti all'ambito di competenza della conservazione, si pensi ad esempio ai sistemi antifurto o antincendio.

Per essere più chiari, tutti i beni culturali sono soggetti a rischio di furto, ma non si può aprioristicamente dire che l'eventuale furto inciderà negativamente sulla sua conservazione. Il bene potrà essere conservato in maniera altrettanto idonea, se non migliore, da colui che l'ha sottratto all'istituto possessore. Per questo l'antifurto non è un sistema conservativo, ma solo una difesa contro la perdita di capitale da parte dell'ente possessore del bene.

Secondo il comma 3 dell'articolo 29 «per manutenzione si intende il complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'identità del bene e delle sue parti».

La distinzione tra “attività” e “interventi” evidenzia la volontà del legislatore di distinguere prevenzione e manutenzione, anche se non è esplicitata l'effettiva differenza tra i due termini. L'ipotesi più accreditata è quella secondo cui debbano essere considerate attività tutte le procedure conservative che non prevedono il contatto diretto con il bene culturale, mentre gli interventi comportano sempre tale contatto. Si tratta però di interventi a carattere “indiretto”, cioè che non modificano, nei limiti del possibile, le componenti materiali del bene stesso, quali la realizzazione di custodie e contenitori, la spolveratura, la disinfestazione con l'impiego di atmosfere modificate a basso tenore di ossigeno. Si dicono diretti, invece, gli interventi che comportano un'interferenza con la materia di cui il bene è costituito189.

Per quanto riguarda il “controllo delle condizioni”, questo può consistere in un semplice esame visivo, da ripetere almeno un paio di volte l'anno, oppure in un'indagine di carattere fisico-chimico da effettuare più saltuariamente, anche a distanza di anni.Si tratta di analisi che di regola dovrebbero avere una natura non

distruttiva, qualora invece si ritenga di dover prelevare parti del bene sarà necessario eseguire preventivamente un'attenta valutazione tra i costi e i benefici dell'operazione, ovvero tra la qualità e la quantità delle informazioni materiali che andranno perdute e le eventuali informazioni che si potranno trarre dall'intervento. Il legislatore parla inoltre di “mantenimento dell'integrità”, ma tale obiettivo è nei fatti irraggiungibile: pur nelle migliori condizioni qualsiasi oggetto tenderà a degradarsi, anche se ciascuno con tempi differenti.

L'ultima tappa del processo di conservazione è costituita dal restauro, ovvero «l'intervento diretto sul bene, attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione ed alla trasmissione dei suoi valori culturali»190.

Gli elementi che distinguono il restauro dalle altre fasi della conservazione sono riassunti nei concetti “intervento diretto” e “complesso di operazioni”. Per “intervento diretto” si intende un'operazione capace di modificare la componente materiale del bene culturale, mentre l'espressione “complesso di operazioni” fa riferimento ad una serie articolata di operazioni più complesse rispetto a quelle previste per la fase di prevenzione e per quella di manutenzione.

Il limite della definizione data dal Codice risiede nel fatto che si considera il restauro capace di garantire “l'integrità materiale”, il “recupero” del bene, la sua “protezione” e la “trasmissione dei suoi valori culturali”. Un intervento diretto, modificando la componente materiale del bene, non potrà mai garantirne l'integrità materiale, a ciò si deve aggiungere che tutte le fasi della conservazione sono in realtà finalizzate al recupero, alla protezione e alla trasmissione dei valori culturali.

Per quanto concerne il concetto di “materia” è indispensabile fare ricorso, come è già accaduto più di una volta nel corso della trattazione, all'opera di Brandi Teoria

del restauro, secondo il quale “si restaura solamente la materia dell'opera d'arte”,

la quale si contraddistingue per la sua duplice “istanza”, storica ed estetica, la cui

conoscenza è fondamentale per eseguire qualsiasi intervento di restauro.

«Il restauro costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell'opera d'arte nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione al futuro»191.

Parafrasando, in termini contemporanei, i concetti espressi nella Teoria del

restauro potremmo affermare che “si restaura solamente la materia del bene

culturale” e che “la conservazione costituisce il momento metodologico di riconoscimento del bene culturale”.

Partendo quindi da tali considerazioni Federici ha elaborato una definizione, come si è visto non presente nel Codice, del termine conservazione quale «complesso delle azioni, dirette e indirette, volte a rallentare gli effetti della degradazione causata dal tempo e dall'uso sulle componenti materiali dei beni culturali»192.

Il riferimento al "complesso di azioni" serve a sottolineare come un'operazione singola ed isolata non possa garantire alcuna certezza sulla conservazione di un bene. Le azioni indirette includono la prevenzione, mentre le dirette la manutenzione. Da ultimo è necessario porre l'accento sul fatto che la definizione proposta si preoccupi di chiarire come la degradazione non possa essere in alcun modo essere arrestata, ma soltanto "rallentata", e che la conservazione possa essere operata solo sulla componente materica del bene culturale, mentre il suo contenuto testuale viene salvaguardato in altri modi, quali la riproduzione digitale o fotografica e la trascrizione.

Inoltre Federici propone delle definizioni ulteriori, rispetto a quelle previste dal Codice, per le attività di prevenzione, manutenzione e restauro. Definisce la prevenzione «come il complesso delle azioni conservative indirette che non implicano alcun contatto fisico con i beni culturali oggetto dell'intervento»193. Rientrano in questa categoria il controllo dei parametri ambientali (umidità

191 C. Federici, 2007, p. 281. 192 C. Federici, 2007, p. 281. 193 C. Federici, 2007, p. 281.

relativa, luce, temperatura, inquinamento), la formazione del personale e l'educazione degli utenti.

Per manutenzione intende «il complesso delle azioni conservative dirette che, pur implicando un contatto fisico con i beni culturali oggetto dell'intervento, non ne modificano la consistenza fisica e chimica»194. Fanno parte delle attività di manutenzione l'impiego di custodie protettive, la depolveratura e la disinfezione con atmosfere modificate.

Infine il restauro può essere definito come un «intervento diretto fisico e/o chimico sui materiali e sulle strutture del bene culturale»195. Tale operazione comporta una perdita delle informazioni deducibili dalla materia del bene, e pertanto deve essere praticata solo nelle circostanze più gravi e solo quando tutte le altre operazioni conservative si sono rivelate insufficienti.

Al comma 6 è contenuta un'importante innovazione: «gli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai sensi della normativa in materia». In questo modo vengono esclusi, dall'esercizio delle attività di manutenzione e restauro, archivisti e bibliotecari, ovvero quelle figure professionali che in passato si sono occupate di tutte le fasi della conservazione, dalla progettazione al collaudo degli interventi, lasciando ai restauratori solo la mera esecuzione materiale.

La netta riduzione della loro area di competenza può essere considerata come un decisivo passo in avanti per la definizione dei tratti della figura professionale del restauratore, che resta l'unico capace di intervenire su un bene culturale limitando al minimo le perdite di informazioni storiche ricavabili dallo studio della materia del bene.

194 C. Federici, 2007, p. 281. 195 C. Federici, 2007, pp. 381-382.

La definizione dei «profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobili e delle superficie decorate di beni architettonici» è demandata, dal comma 7, ad un regolamento interministeriale196.

I commi 9 e 11 dell'articolo riguardano le modalità di conseguimento della qualifica di restauratore e prevedono che l'insegnamento del restauro possa essere impartito soltanto dalle scuole di alta formazione e di studio (istituite ai sensi dell'articolo 9 del d. Lgs 368/1998), e dai centri istituiti tramite appositi accordi tra il Ministero e le regioni, anche con il concorso delle università e di altri soggetti pubblici e privati accreditati presso lo Stato. Le novità di maggior rilievo sono rappresentate dall'individuazione delle modalità di accreditamento dei requisiti minimi organizzativi e di funzionamento dei soggetti; dalle modalità della vigilanza sullo svolgimento delle attività didattiche; dall'attribuzione del valore legale di "esame di stato" alla prova conclusiva dei corsi di restauro approvati per legge; dall'equiparazione del titolo di studio così conseguito, che vale come titolo abilitativo all'esercizio della professione, al diploma di laurea specialistica o magistrale197.