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Il dibattito sul restauro negli anni Cinquanta e Sessanta

Negli anni Cinquanta, in Italia, il dibattito interno al mondo del restauro vedeva

99 P. Furia , 1992, pp. 66-67. 100 M. B. Caccialupi, 1991, p.18.

da una parte i sostenitori del restauro stilistico, basato sull'integrazione o sul rifacimento degli elementi perduti secondo lo stile originale dell'opera, e dall'altra i difensori di quello filologico, secondo i quali il lavoro del restauratore consisterebbe nel conservare e non nel rifare.

All'idea di restauro come integrazione stilistica sembrano ispirate le Norme per il

restauro dettate da Giuseppe Fumagalli nel 1927, in particolare relativamente al

restauro delle legature a proposito del quale scrive:

«Il legatore di buon gusto non farà uso, né avveduto bibliotecario lo tollererebbe, tanto nella riparazione, quanto nella rinnovazione di legature per manoscritti, incunaboli ad altri libri antichi e rari, di filetti, palette, rotelle, ed altri ferri in stile che contrasti al tempo e al genere del volume in lavoro»101.

Circa trent'anni dopo l'argomento venne nuovamente discusso in occasione del convegno internazionale del libro antico, tenutosi a Trieste nel 1956; fu puntualizzata ancora una volta la necessità di evitare ogni intervento non conservativo sia sugli elementi grafici che su quelli figurativi, mentre nel caso delle legature continuarono ad essere ammessi interventi di rifacimento e di integrazione stilistica.

Anche il paleografo Emanuele Casamassima trattò lo stesso argomento in un articolo pubblicato nel 1957, affermando però che il restauratore avrebbe dovuto basare il suo lavoro esclusivamente su criteri scientifici e filologici. Disapprovò il ripristino imitativo delle miniature e delle incisioni, le frequenti “lavature”, il rifacimento delle carte mancanti e delle legature. È importante notare che in particolare queste ultime, a causa delle loro principali funzioni di protezione, veste e decorazione del libro, erano invece, sino a quel momento, oggetto di un'intensa attività pratica svincolata dal rispetto di esigenze di carattere storico e filologico.

Il restauro inteso come conservazione non può essere considerato l'opposto di quello inteso come integrazione stilistica, ma anzi il secondo deve essere

considerato una derivazione del primo. A tal proposito Casamassima afferma:

«Sia dal punto di vista teorico che sul terreno della pratica, i fautori del restauro scientifico possono far valere più di una obiezione nei rispetti del merito storico-estetico. Questa a guardar bene è soltanto in apparenza la sintesi degli opposti: «restauro-conservazione» e «integrazione stilistica» sono termini inconciliabili, perché hanno origine da due modi diversi di valutare il restauro […]. In realtà il principio storico estetico non è altro se non la moderna, aggiornata presentazione del vecchio principio d'integrazione stilistica, divenuto col tempo più cauto e rispettoso della filologia. La preminenza che vi presenta il momento estetico ne è chiaro indice»102.

La legatura era stata considerata, sino a questo momento, un oggetto artistico, pertanto soggetta a rifacimenti “in stile”. Per Casamassima invece la legatura aveva la natura di documento storico e come tale si sarebbe dovuta trattare; per questo riteneva di fondamentale importanza il rispetto di principi scientifici.

Bisognava ripudiare le reintegrazioni imitative degli elementi decorativi perduti, anche nel caso in cui si potesse risalire al modello originario grazie alle parti superstiti della legatura, e procedere invece alla sostituzione degli elementi decorativi perduti con una loro rappresentazione schematica, che aiutasse a comprendere la forma autentica.

Di conseguenza le teorie e le tecniche di restauro-conservazione prevedevano la creazione di una legatura puramente funzionale, che rispondesse solamente alle esigenze strutturali del volume, alla sua funzionalità e alla sua conservazione.

La legge n. 1227 del 13 settembre 1957, “Stanziamenti straordinari per la difesa del patrimonio artistico, storico e bibliografico della Nazione”, diede avvio alla pianificazione dei progetti di restauro su tutto il territorio italiano, prevedendo finanziamenti e mezzi di gran lunga superiori rispetto al passato103.

Il 25 giugno 1959 il Ministero della Pubblica Istruzione promosse un Convegno di Direttori e Soprintendenti, il quale ebbe luogo presso l'Istituto di Patologia del

102 E. Casamassima, 1962, p. 69. 103 P. Furia, 1992, pp. 70-72.

Libro. In questa occasione Francesco Barberi, ispettore generale delle biblioteche presso il Ministero della Pubblica Istruzione, lesse la circolare del 25 settembre del 1958, firmata dal sottosegretario alla Pubblica istruzione Giovanni Battista Scaglia, che prevedeva una serie di norme relative alla scelta dei materiali, allo scopo e all'entità degli interventi di restauro. Tra le prescrizioni si ricorda, vista la limitatezza dei mezzi a disposizione, l'invito a dare sempre priorità al restauro dei libri più pregevoli (manoscritti, incunaboli, edizioni illustrate, legature artistiche) e a quelli maggiormente degradati e deteriorabili, in particolare perché soggetti a frequente consultazione. È inoltre evidenziata la necessità di svolgere una preventiva valutazione del rapporto tra spese di restauro e valore economico del bene da restaurare, in modo da contenere le prime al di sotto del secondo, e sono vietati tutti i restauri che non abbiano carattere conservativo104.

Il libro non veniva ancora tutelato in quanto considerato portatore di un valore storico, ma era classificato in base al suo mero carattere economico ed estetico. L'idea che un libro possa non valere il costo del restauro è una concezione di origine antiquariale, che ai giorni nostri non può che essere considerata deplorevole.

La circolare del 1958 rappresenta comunque, almeno dal punto di vista del restauro conservativo, il necessario aggiornamento delle Norme del 1927, basate, come si è visto, su un'idea di restauro come integrazione stilistica105.

Il concetto di restauro come intervento conservativo venne ribadito da Barberi in occasione del convegno dei restauratori tenutosi presso l'Istituto di patologia del libro, dal 29 al 31 maggio 1967.

La sua relazione, intitolata Il restauro nel rispetto del libro, sottolineava la necessità di considerare il libro come un documento significativo nel suo insieme, ricco di informazioni che vanno oltre il puro e semplice piano testuale.

104 F. Barberi, 1959, pp. 44-46. 105 P. Furia, 1992, p. 72.

«Il progressivo affermarsi del retto principio del restauro consiste soprattutto nel prestare sempre maggiore cura al libro nel suo insieme, anziché al solo testo.»106

Rivolta alle componenti non testuali del libro era anche l'attività di alcuni filologi e paleografi franco-belgi, ideatori della rivista "Scriptorium”. Ancora una volta però lo studio delle componenti materiali era subordinato allo studio del contenuto, in quanto considerato utile ai fini della datazione e della localizzazione dei testi. Il progetto ebbe breve durata, ma diede comunque un importante stimolo alla successiva evoluzione della figura del restauratore nel settore librario107.

Per lungo tempo l'attenzione si era concentrata quasi esclusivamente sulla conservazione dei manoscritti, perché considerati degli unica, mentre la produzione a stampa, caratterizzata dalla diffusione di numerose copie, veniva trascurata, e anche in questo caso le motivazioni dell'interesse riguardavano principalmente la possibilità di conoscenza del contenuto testuale dei documenti.

Un dato importante riguarda l'attenzione mostrata, a partire dagli anni Cinquanta, a livello legislativo e istituzionale, nei confronti della conservazione e del restauro del patrimonio archivistico e librario italiano. Non risulta però un'attiva partecipazione al dibattito da parte dei lavoratori del settore.

1.8.1. Ripresa dei lavori sui papiri di Ercolano

Dopo la pausa imposta dagli eventi bellici ripresero i lavori di srotolamento dei papiri di Ercolano.

Nel 1950 a Novara, la società Montecatini eseguì sui rotoli alcuni trattamenti chimici con l'intento di eliminare lo strato di fanghiglia lavica depositata tra i diversi strati, purtroppo l'operazione comportò anche la cancellazione degli inchiostri.

106 P. Furia., 1992, p. 73. 107 C. Federici, 1981, p. 15.

Tra il 1965 e il 1970, Fackelmann classificò i papiri in base allo stadio di deterioramento: papiri totalmente carbonizzati, papiri anneriti che presentano tracce di scrittura, papiri di tinta bruno-scura soggetti a svolgimento. Riuscì inoltre a svolgere e spianare diversi papiri.

All'iniziativa di Marcello Gigante si deve la nascita, nel 1969, del Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi (C.I.S.P.E.), che ha tra le proprie finalità programmatiche il coordinamento delle attività editoriali e che collabora con la Nazionale di Napoli alla valorizzazione del fondo ercolanese.

Anche altri ricercatori si dedicarono allo studio dei papiri ercolanesi, tra i quali possiamo citare Knut Kleve, al quale si deve la rivalutazione dei papiri latini, e che insieme a Brynjulf Fosse ed a Fredrik C. Störmer mise a punto un sistema di apertura dei rotoli non svolti, detto “metodo osloense”108.

1.9. Il Centro di fotoriproduzione, legatoria e restauro degli Archivi di