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Il restauro negli anni Ottanta e la nascita dell'archeologia del libro

Le vicende legate all'alluvione fiorentina ebbero il merito di favorire una

121 C. Prosperi, 1991, p. 76. 122

M. B. Caccialupi, 1991, p. 14.

riflessione sul restauro librario e, in ultima analisi, quello di agevolare lo sviluppo di una nuova concezione del restauro basata sui concetti di conservazione e valorizzazione, diffusasi non soltanto tra i restauratori ma anche tra gli archivisti e i bibliotecari, ovvero coloro cui è affidata la gestione dei beni all'interno degli istituti di conservazione e che quindi per primi devono vigilare sul loro stato di salute, tra le altre cose monitorando i parametri ambientali all'interno dei depositi e disciplinando il loro corretto utilizzo da parte degli utenti.

Uno dei primi esempi di questa presa di coscienza è rappresentato dall'emanazione dei “Principles of Conservation and Restoration in Libraries”, da parte dell'International Federation of Library Associations and Istitutions (IFLA). Il documento, emanato nel 1979, pone in evidenza come ogni intervento di restauro causi sempre un impoverimento delle informazioni deducibili dal volume124, e per questo suggerisce di curarne scrupolosamente la prevenzione, in

modo da ricorrere alla pratica del restauro solo quando questa si rivela veramente indispensabile125.

Nel 1980 l'Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Ambientali della Regione Emilia Romagna ha organizzato, a Bologna, un incontro dedicato al tema delle metodologie e delle tecniche di conservazione e restauro del materiale archivistico e librario. Durante il seminario, Gisella Guasti e Libero Rossi hanno presentato un modello di prontuario sul quale annotare i dati relativi al volume oggetto di restauro: provenienza, componenti materiali, struttura, stato di conservazione e ogni singolo intervento. Tale strumento è stato in seguito utilizzato per registrare i manoscritti appartenenti alla Biblioteca Malatestiana di Cesena126.

In questo stesso periodo si registra un avvicinamento tra le discipline della conservazione, del restauro e dell'archeologia del libro, quest'ultima nata ufficialmente solo nel 1981, anno di pubblicazione del saggio Archeologia del

124 Si tenga presente che il concetto di "informazioni potenzialmente deducibili" non è contenuto

nel documento IFLA del 1979, giacché compare per la prima volta nel 1983 in Federici-Rossi. Manuale di conservazione e restauro del libro. Tuttavia si è scelto di adoperare questa terminologia poiché risulta essere la più consona nella spiegazione di tale concetto.

125 M. B. Caccialupi, 1991, p. 15.

libro, conservazione e restauro, scritto dal prof. Carlo Federici e contenuta nell'opera Oltre il testo, a cura di Rosaria Campioni. L’archeologia del libro è la disciplina che studia le tecniche e i materiali utilizzati nella manifattura del libro antico, manoscritto e a stampa, in vista della ricomposizione storica delle diverse professionalità che hanno concorso all’evoluzione del libro come manufatto127.

Questi cambiamenti hanno portato alla definizione della figura del restauratore quale esperto capace, non solo di agire materialmente, ma anche di decidere in autonomia le modalità d'intervento da adottare. Grazie al suo ricco bagaglio culturale è infatti in grado di occuparsi sia degli aspetti teorici che di quelli manuali relativi al restauro, con competenze che spaziano dalle scienze umane e quelle naturali. Il suo è ovviamente un lavoro che si svolge in collaborazione con le altre figure professionali coinvolte nella conservazione del libro, ma non di meno, questa sua nuova veste teorico-pratica, ha causato un indebolimento della leadership finora detenuta in ambito teorico da filologi, paleografi, storici dell'arte e bibliotecari.

Negli anni Ottanta l'Istituto di Patologia del Libro ha promosso il censimento delle legature medievali conservate nelle biblioteche italiane. È stato così possibile catalogare e descrivere più di quindicimila legature, per ciascuna delle quali è stata redatta una scheda, messa a punto per l'occasione, corredata da una ricca documentazione fotografica. Nel corso del tempo si è arrivati a censire circa il 90% del materiale esistente128.

L'esperienza, seppur non portata a termine, ha comunque messo in risalto la complessità della manifattura medievale del libro, superata soltanto, secondo l'opinione di William Morris, da quella architettonica risalente allo stesso periodo, motivo per cui il libro medievale dovrebbe essere studiato approfonditamente, prima di diventare l'oggetto di un qualsiasi intervento di restauro129.

127 C. Federici, 1981, pp. 13-20 128 Vedi C. Federici, 1993. 129 C. Federici, 2005, p. 66.

Sulla base dei principi elaborati in seno alla neonata archeologia del libro e dei nuovi metodi di conservazione, negli anni Ottanta sono stati condotti ulteriori studi sui papiri di Ercolano. Nel 1983, sotto la guida dell'istituto Centrale per la Patologia del Libro, si è proceduto ad alcuni nuovi tentativi di srotolamento. In seguito la direzione dei lavori è passata ad un'équipe norvegese che, in due sessioni annuali, si è occupata dell'apertura dei rotoli e della microfotografia dei papiri latini, avvalendosi della collaborazione del personale specializzato proveniente dalla Biblioteca Nazionale di Napoli. Le operazioni si sono svolte sulla base di un metodo innovativo, e le singole fasi sono state oggetto di documentazione fotografica. Su ogni papiro sono stati indicati numero e data del trattamento, nonché generalità dell'operatore incaricato130.

Sin qui sono stati ricordati gli sviluppi di una nuova pratica del restauro influenzata dagli apporti dell'archeologia del libro e i diversi tentativi portati avanti dagli istituti centrali, volti alla formazione e al perfezionamento di personale altamente qualificato, ma si deve comunque sottolineare la diffidenza con la quale molti restauratori hanno accolto tali novità ed iniziative, viste come possibili cause di impoverimento del proprio “mercato”. Soltanto una piccola minoranza di restauratori, prevalentemente impiegati nelle pubbliche amministrazioni, hanno accolto con interesse le conseguenze derivanti dalle nuove problematiche proposte.

In ogni caso detrattori e sostenitori della riforma hanno continuato a lavorare basandosi su una formazione di stampo artigianale, in tutto e per tutto paragonabile a quella che avrebbero potuto ricevere nella bottega di un artigiano. Infatti, nonostante le nobili dichiarazioni d'intenti, i corsi di formazione non sono mai andati oltre la mera trasmissione di conoscenze relative alla realizzazione pratica del manufatto, tanto che i corsi di formazione per restauratori effettuati all'interno dell'Istituto di patologia del libro furono sospesi nel 1987. Il lavoro manuale e quello intellettuale hanno così continuato, secondo una prassi

130 http://www.bnnonline.it/index.php?it/165/i-papiri-ercolanesi-libri-antiquiores-inbiblioteca#uno

consolidata e frequente, ad essere concepiti come nettamente distinti.

Il già citato Christopher Clarkson articolò un'attenta analisi di denuncia al sistema durante il convegno tenutosi a Firenze il 20-22 novembre 1986, a vent'anni di distanza dal tragico evento che aveva segnato il capoluogo toscano.

Il suo intervento mirava a sottolineare come gli addetti ai lavori, in Italia ma anche in Inghilterra, non avessero ancora acquisito la “consapevolezza storica” necessaria per occuparsi di conservazione131. A tal proposito portò l'esempio dei

processi di deacidificazione di massa realizzati indiscriminatamente senza una preventiva selezione del materiale, e la generale carenza di schede di restauro e di riproduzioni fotografiche indispensabili ad attestare la struttura del libro precedente all'intervento.

Secondo Clarkson tali mancanze andavano imputate al fatto che il restauro venisse ancora considerato un'arte minore e che la formazione di legatori e restauratori continuasse a basarsi, negli anni Ottanta del Novecento, sugli stessi metodi e principi utilizzati tra Settecento e Ottocento. Analogo discorso fu fatto a proposito della formazione degli archivisti e dei bibliotecari i quali, proprio a causa delle scarse competenze maturate, avevano contribuito alla svalutazione del concetto stesso di conservazione del patrimonio archivistico e bibliografico.

Sicuramente una delle cause che, nel corso del tempo, hanno contribuito al consolidamento di tale situazione deve essere identificata con la precaria condizione economica nella quale da sempre versano gli istituti di conservazione. La necessità di spendere il minor quantitativo possibile di denaro li porta ad esercitare forti tagli, a discapito della qualità dei materiali e della precisione delle tecniche impiegate Negli anni Ottanta la strada da fare affinché tutti gli addetti del settore potessero prendere coscienza della moderna concezione del restauro che si andava definendo, legata alle discipline dell'archeologia del libro e della conservazione, era ancora lunga. Il primo indispensabile passo sarebbe dovuto

essere quello di garantire a restauratori-conservatori, archivisti e bibliotecari, sia pubblici che privati, un'adeguata formazione, in modo da favorire la costruzione di un profilo professionale altamente specializzato, che potesse anche ottenere il dovuto riconoscimento legislativo.

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