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E ARTINI (1866-1928) celebre petrografo e mineralogista, fu direttore del Museo

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 69-73)

Risultati analitici T (°C) pH O 2 disciolto

20 E ARTINI (1866-1928) celebre petrografo e mineralogista, fu direttore del Museo

di Scienze naturali di Milano e socio nazionale dell’accademia dei Lincei. Autore dei due celeberrimi volumi I Minerali e Le Rocce, editi a Milano da Hoepli, ancora reperibili nelle

riedizioni del 1941 e nel 1969.

21 G. G. VITTORIO BIANCONI (1809-1878) fu l’autore di Prospectus d’une collection

des roches des appennines … (1838) e Cenni storici sugli studj paleontologici e geologici in Bologna e catalogo ragionato della collezione geognostica dell’appennino bolognese (1862).

22 D. SANTAGATA (1812-1901) scrisse Dei metamorfismi del calcare compatto nel bolo-

gnese (1848), sull’Origine delle argille scagliose (1855), uno Studio geologico sul puddingo di Carpineta e della Serra de Frascari (1859), Dei cristalli di gesso nelle argille del bolognese

(1860) e Idee geologiche intorno alle roccie serpentine (1867).

23 Si tratta senza dubbio dell’arenaria “macigno”

24 La località è meglio raggiungibile, per chi provenga da Prato, da Mercatale di Vernio

grazie ad una strada che si stacca dalla regionale 325 e sale fino ai 415 metri di San Poto (sampotini gli abitanti). Si tratta di un paese antichissimo la cui pievania, dedicata ai Santi Ippolito e Cassiano, viene già ricordata in documenti del X secolo. L’attivissima Biblioteca Petrarca, fondata nel 1916 dal cavaliere Ferdinando Ricci, è cosa che pochi piccoli centri, soprattutto se, almeno fino a non troppi anni fa, pressoché isolati, possono vantare. Il Car- nevalino è una festa tradizionale curata dalla burlesca Compagnia dell’Aringa, che si svolge il mercoledì delle Ceneri con mascherate, sfilate e pastacciutta condita con sugo di tonno (è giorno di magro) che viene distribuita agli ospiti.

25 Chi volesse vedere una natura ancora forte, sana e riccamente biodiversificata, deve

risalire il torrente Carigiola dal Ponte omonimo, ovvero portarsi ad esso da Gavigno. Avrà modo di passare momenti indimenticabili. La penetrazione nel territorio intorno al torrente è oggi facilitata dalla presenza di una serie di importanti sentieri del Club Alpino Italiano, entrati, a pieno titolo, a far parte della RET (Rete Escursionistica Toscana) e come tali rile- vati e fatti propri dalla Regione Toscana. Due in particolare ne dobbiamo ricordare: 1) il sentiero di crinale della vallata del Carigiola e 2) l’Anello delle Cascate del Carigiola.

Il sentiero percorre il crinale appenninico, seguendo il segnavia CAI di spartiacque, •

lo 00, partendo dall’alpe di Cavarzano per arrivare al Tabernacolo di Gavigno. Nel percorso attraversa prima dense faggete poi il profilo nudo del Monte delle scalette (m 1193) dal quale si possono godere visioni panoramiche di estrema ampiezza e bellezza.

L’anello parte dal Tabernacolo della Tavoletta, segue il corso del Carigiola passando •

dalla centrale (quella realizzata per volere, tra gli altri, del cavalier Luigi Pacini) sno- dandosi tra vertiginose pareti di roccia a strapiombo, cascate e pozze d’acqua lim- pidissima. Raggiunge infine il sentiero CAI 62 che chiude il percorso riportando al Tabernacolo. L’interesse naturalistico è enorme: questa parte dell’Area protetta Alto

Carigiola e Monte delle Scalette ospita una fitta e particolare vegetazione e una

quantità di rari anfibi e pesci. L’Anello si percorre in circa due ore e mezzo con media difficoltà. Si incontrano però alcuni tratti che presentano ripide scarpate.

26 Il pliocene (dal greco, più nuovo) è l’ultimo periodo dell’era cenozoica o terziario, cui

seguì l’attuale era quaternaria. Durante questo periodo i continenti e gli oceani comincia- rono ad assumere la forma presente.

27 Il toponimo Vernio, secondo Robazza in Vernio, storia, arte, leggende, deriverebbe

dal latino Hiberna = quartieri d’inverno, o, come altri vorrebbe, da Verus = primaverile.

28 Il Club Alpino Italiano, fondato nel 1863 a Torino da Quintino Sella, è presente a Prato

dal 1895. L’Associazione è attiva per offrire sicurezza in ambiti montani agli escursionisti, per promuovere e diffondere forme di turismo compatibile a bassissimo impatto ambienta- le e l’uso responsabile del territorio, per far conoscere e valorizzare la cultura della monta- gna, e per consentire la tutela delle aree di maggior pregio (ad esempio biotopi e geositi).

Per questo cura, segna e mantiene leggibile una rete di sentieri che, sul territorio nazionale, si stima abbia uno sviluppo di oltre 60 mila chilometri. Questi sentieri vengono evidenziati con segnavia bianco - rosso, numerati e muniti di segnaletica verticale per indicare il punto di arrivo del sentiero e il tempo necessario all’escursionista medio a percorrerlo.

29 A. PETRI, Val di Bisenzio, edizioni del Palazzo, Prato, 1974.

30 Le composite Helichrysum italicum G.Don e Helichrysum angustifolium DC sono estre-

mamente simili e conosciute volgarmente con vari nomi che le indicano come una sola specie vegetale: Tignamica, Zolfino, Semprevivo, Perpetuino e, dulcis in fundo, Everlasting. Si tratta di arbusti aromatici, piccoli, fittamente ramificati di colore grigio-verdastro e fiori di un bel giallo. Il colore dei fiori spiega il nome scientifico: Helichrysum = sole d’oro. I Greci e i Romani usavano incoronare le statue dei loro dei con questi capolini che “non putrefanno

mai”. La pianta veniva usata nella farmacopea tradizionale come espettorante e mucolitico.

31 G. GUANCI, La Briglia in Val di Bisenzio tre secoli di storia tra carta, rame, lana - Pro-

vincia di Prato, Morgana edizioni, 2003

32 Il nostro fiume ha provocato, in Val di Bisenzio e nella piana pratese, danni ingenti con

le sue piene. Tralasciando quelle del XIX e del XX secolo, di facile e immediata memoria, ci basti quanto scrive l’abate Vanni di Vaiano circa la piena del 1756:

“ … notte del dì 12 ottobre. … il Rio di Vaiano poi portò tanta quantità di sassi, terra, legname che turò tutta la luce del ponte che attraversa Vaiano, l’acqua passò di sopra il ponte e allagò tutto il paese dal ponte verso la Badia, le case restarono tutte allagate. … Le acque passarono ad allagare e riempire di sassi, ghiaia i campi di Borgo Vecchio che sono sotto l’orto fino al fiume Bisenzio, il quale uscito dal suo letto distendeva il suo corso fino a detti campi. … Danni uguali soffersero anche i signori Vai, Buonamici, Spedale di Prato e tutti gli altri. Al signor Tenente Desii la piena di Bisenzio rovinò la villa, una bella peschiera e l’orciaia, in cui perì tutto l’olio che vi era da qualche anno. Il danno recato da questa piena nella Valle di Bisenzio dicono che passasse i 30 mila scudi”.

Per evitare gli straripamenti nel corso dei secoli sono stati interpellati tutti i maggiori esperti; tra questi anche Galileo. Questo grande studioso di idraulica si pose a dimostrare l’errore contenuto nella proposta dell’ingegnere Bartolotti di addirizzare il corso tortuoso del Bisen- zio. Dimostrò che l’acqua partendo dallo stesso luogo posto alla stessa altezza giunge con pari velocità ad un punto comune a due differenti canali, uno quali sia breve e l’altro lungo. Da questo era logico dedurre che non erano necessari addirizzamenti del corso, perché avrebbero determinato un quasi impercettibile incremento della velocità di scorrimento. Pur- troppo gli abitanti della montagna continuarono con i disboscamenti e a coltrare la terra dei pendii più ripidi per trarne sostentamento. Due cose che non potevano non avere tragiche conseguenze sul fiume.

33 G. DE GASPERI, Bollettino sezione fiorentina CAI 1911, 1912 e 1913

34 Ogni zona, in base alle caratteristiche geografiche ed ecologiche che la contraddistin-

guono, presenta una determinata “vocazione” produttiva: una vasta zona pianeggiante, con terreni profondi, facilmente lavorabile e abbastanza ricca di acqua avrà una vocazione agri- cola; una zona sempre di pianura ma più povera di acqua, con terreni scheletrici avrà una più spiccata vocazione pastorale; una zona collinare fortemente boscata avrà vocazione silvi- cola; e così via. Prato, già dal medioevo, si è trovato in una situazione ideale per lo sviluppo dell’industria tessile perché si trovò ad avere:

rifornimento di materie prime: alle sue spalle insistevano zone ricche di armenti produt- •

tori di lana (la Valle del Bisenzio, il Mugello, il Casentino, etc);

gli spazi necessari per la costruzione dei vasti opifici necessari ad una produzione non •

pianeggiante;

grande ricchezza di acqua. L’industria tessile è consumatrice di enormi volumi di ac- •

qua, ma questa deve anche avere caratteristiche tali da non creare problemi per i manu- fatti. L’acqua delle falda pratese era ottima, forse appena un po’ troppo “dura”. possibilità di sfruttare l’energia posseduta dalle acque del Bisenzio su una vasta area •

grazie al geniale sistema delle gore. Queste hanno fornito per secoli l’energia necessa- ria a mulini, magli e gualchiere.

facili collegamenti con l’esterno: una delle grandi vie, la Cassia-Clodia, congiungeva •

Prato con il Nord. La viabilità è indispensabile per far arrivare in città il materiale da trasformare e per far uscire il prodotto finito.

il cardo dei lanaioli (Dipsacus follonum): un supplemento indispensabile per la gar- •

zatura dei panni di lana, che cresceva, e in maniera molto ridotta cresce ancora, spon- taneo e in notevole quantità sui terreni incolti della Calvana e dei monti in destra del Bisenzio;

un validissimo ausiliare per la gualcatura dei panni lana. Non sappiamo quando siano •

state scoperte le qualità della cosiddetta “terra da follone”. Questa terra si cavava, e il comune di Prato ne fece subito una redditizia privativa, dalla località oggi detta Galceti - toponimo che deriverebbe proprio dall’uso della sua terra nelle gualchiere: gualcare - gualcheto - galceto - Galceti. Questo almeno almeno secondo la lezione del Bisori (G. BISORI, Origini e sviluppo dell’industria laniera pratese, Prato, 1963, edizione speciale per il 60° anniversario della fondazione del lanificio Pecci) -

Se a tutto questo insieme di cose si unisce una certa qual propensione, direi genetica, dei pratesi all’imprenditoria, ecco che non poteva esistere una zona più vocata all’industria tessile di Prato.

35 Per industrializzazione selvaggia intendo quel modello di sfruttamento del territorio

che, incurante delle reali capacità che questo ha di supportare un certo tipo di industria, tessile nel caso di Prato, ne persegue lo sviluppo e il radicamento nell’ambiente senza cu- rarsi, anzi, come se non esistessero, delle limitazioni oggettive a tutto questo. Emblematico il titolo del film pratese “In nome di Dio e del guadagno”. Eppure sono stati proprio gli economisti tra i primi ad informarci che non è possibile perseguire uno sviluppo illimitato in un ambiente limitato.

36 U. MANNUCCI, La Retaia ha il cappello, Roma, Trevi, 1971

37 La nascita dei depuratori, centralizzati o a piè di fabbrica, divenne un obbligo dopo

l’entrata in vigore della legge 316 del 1976, più famosa come legge Merli. Il comune di Prato, in ossequio a questa, progettò un impianto centralizzato per il trattamento delle acque civili ed industriali di tutta la città che venne realizzato a Baciacavallo e divenne ope- rativo nel 1980. Per la gestione dell’impianto venne creata una società mista partecipata al 51% dal comune di Prato ed al 49% dagli industriali pratesi: G.I.D.A. (Gestione Impianti Depurazione Acque) s.p.a.

38 I Monti della Calvana, sono interessati da una infinita serie di fratture derivanti dalla

messa a posto della massa rocciosa in seguito alle spinte orogenetiche. Queste spinte agiro- no su una roccia rigida ma fragile creando due tipologie di frattura:

faglie: fratture accompagnate dal dislivellamento degli strati dei due lati della fessura; •

diaclasi: fratture semplici che interrompono per lungo tratto gli strati rocciosi. •

Tutte queste fratture, costituiscono una soluzione di continuità nella massa rocciosa entro cui l’acqua può circolare. Tale fenomeno prende il nome di “permeabilità in grande” (in contrapposizione alla porosità o “permeabilità diffusa”).

terreno, che si inzuppa, arrivano ai torrenti che le portano ai fiumi e questi, finalmente, le riportano al mare. Nel caso dei monti carsici invece il massiccio si comporta come una spu- gna: l’acqua mentre scorre sui pendii incontra una miriade di fratture di tutte le dimensioni che la fanno penetrare all’interno della montagna. Una volta penetrate nella massa rocciosa le acque prima o poi arrivano ad incontrare uno strato impermeabile, solitamente argilloso, sul quale tenderanno ad accumularsi e a formare una zona di saturazione. Si potranno al- lora formare fiumi e laghi delle più svariate dimensioni che quando vanno ad incontrare la superficie formeranno una, ma molto spesso due, sorgenti: la più bassa perenne; la più alta temporanea come scarico di troppo pieno. Le fratture più piccole, che sono innumerevoli, restano piene di acqua e continuano a scaricarne, goccia a goccia, per mesi dopo l’ultima pioggia. Questo fa sì che le sorgenti carsiche continuino a dare acqua anche nei periodi di siccità prolungata.

Solo quando il terreno è completamente inzuppato e tutte le fratture sono piene, le acque vengono smaltite completamente dai torrenti. La stessa cosa può accadere quando la piog- gia arriva copiosa e violenta su terreno asciutto da gran tempo. In questo caso il suolo non riesce ad assorbire l’acqua meteorica, che gli scivola sopra e prende a scorrere lungo i col- lettori. Data questa situazione è chiaro perché i torrenti che scendono dalla Calvana sono spesso secchi, mentre le sorgenti poste al livello di base continuano a fornire importanti quantità d’acqua durante tutto l’anno.

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 69-73)