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DI GIUSEPPE GUANC

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 135-138)

l Bisenzio da sempre ha costituito una profonda divisione nel territorio, riflettutasi poi anche nell’assetto geopolitico dell’omonima valle, rappresentando tuttavia anche la principale ri- sorsa energetica delle varie attività produttive, nate lungo le sue sponde. Ma pur costituendo, senza alcun dubbio, la principale ragione dello sviluppo industriale nel territorio da esso attraversato, soprattutto nella parte valliva, esso ha sempre rappresento anche un elemento di grande pericolosità, spesso origine di ingenti danni e catastrofi, da trattare con cautela ed attenzione. La storia produttiva del territorio che il Bisenzio attraversa è, infatti, costellata da numerosissime cronache di rovinose piene, che spesso travolgevano quegli stessi edifici che da esso traevano l’energia necessaria all’azionamento delle macchine ivi alloggiate, come at- testa una cronaca del Guardini: «L’anno 1548 d’agosto 20, fece Bisenzio per le grande acque

gran rovine, di mulini, di gualchiere, di magli, e di altre belle e utili fabbriche, che haveva sopra la riva; e menò giù le case e le famiglie intere»1, mentre un’altra piena rovinosa si era già

verificata il 17 settembre del 1542. Fig 1 aa - piena al cavalciotto 1984

Altri manufatti particolarmente esposti alle furie del Bisenzio furono i numerosi pon- ti, che come vedremo, ebbero nel corso della storia sempre una vita piuttosto travagliata, come nel caso del ponte di Gamberame che, a metà del Cinquecento, fu travolto insieme

I

GIUSEPPE GUANCI

al rettore di Faltugnano, il cui corpo, insieme a quello del ciuco che cavalcava, arrivò fino a Prato. Ma immune dalla furia del fiume non fu nemmeno la stessa città murata di Prato, la quale, almeno in un paio di occasioni, fu invasa dalle sue acque che penetrarono attraverso la Porta del Mercatale, probabilmente anche a causa dell’alveo abbastanza elevato in sua corri- spondenza2. Di una piena gravissima, avvenuta il 15 settembre 1575, ce ne fornisce un vivo

affresco il cronista Lazzero del Sega3 raccontandoci come, pur non avendo piovuto in città,

ma evidentemente in maniera copiosa nell’alta valle, verso le 17,30 il Bisenzio si gonfiasse improvvisamente e numerose persone, come probabilmente era consuetudine, si accalcassero sul ponte del Mercatale per assistere allo straordinario fenomeno, ma qualcosa di anormale cominciò ad essere percepito: «Mi par di sentire il ponte tremare! Dicendo: Udite! Avete voi

sentito? Alcuni credevano, e alcuni il contrario: ma tutto era vero; e questo rispetto ai legnami (i quali legnami venivano da Vernio); quale con furia e ‘mpito grandissimo da essi era sbattuto: imperocchè alcuni, che dettono fede alle parole, et anco per la certezza d’aver sentito, si ritras- sono nella terra; e altri montorono in sul portone et in su le muraglie (…) A ore 18 ½ in circa si vedeva cascare qualche isgalcinata e sassolini e aperture delle spalliere murate in accompagna- mento del muricciolo, dove era ancora certe feritoie, a l’entrare a punto della porta: a un tempo medesimo andato giù detta parte del ponte; (cioè il vacuo di braccia 29, misurato per li nostri muratori et legnajoli) et andato giù con èmpito grandissimo, insieme a tutti quelli che ci erano sopra; e tutti per il fiume notando e non notando, putti uomini e donne, si vedevano per detta acqua aiutandosi…». Ma un grosso problema dovette essere anche per quei poveri ottantacin-

que sventurati, che erano rimasti dall’altra parte del ponte, senza alcuna prossima possibilità di attraversare il Bisenzio, in quanto a sud il ponte Petrino era ormai diroccato, come del resto lo era, a nord, il ponte a Zana; ed infatti rimasero nei pressi della riva per ventiquattro ore, dopodiché si dispersero per i monti in attesa che la piena si ritirasse.

Nel 1596 una nuova piena causò lo spianamento degli argini nella parte bassa del suo corso, allagando tutta la piana di Campi, fino ai possedimenti medicei di Poggio a Caiano4.

Una piena, del 16 gennaio 1625, creò invece numerosi danni ai beni della Badia di Vaiano travolgendo sia la chiusa, che gran parte della gora del suo mulino5. La puntuale cronaca

riportata da don Willebaldo Maria Vanni, dal 1557 al 1801, è costellata da continui guasti ed allagamenti sia al mulino che alle sue opere idrauliche, le quali, nel corso dei secoli furono più volte rifatte. Ma dove il Bisenzio sembra accanirsi di più, è in corrispondenza del Merca- tale di Prato, che in occasione delle piene, costituiva il punto debole della città, come aveva sottolineato l’ing. Francesco Guasti, evidenziando come, nel tratto immediatamente a monte, l’alveo del fiume incontrasse, dopo alcune sezioni fin troppo ampie, alcuni restringimenti costituiti dai bastioni delle mura, fino alla vera e propria strozzatura del ponte del Mercatale6.

Ed infatti ancora il Mercatale, nel 1809, fu teatro di un’altra disastrosa inondazione7. Era il

18 dicembre, ed ancora una volta, una folla di cittadini si accalcava sul ponte, ad osservare le minacciose acque del Bisenzio che sfioravano le sponde. Tra la folla c’era anche il Maire Nicola Mazzoni, il quale viste le acque lambire il parapetto del ponte, ordinò l’immediato allontanamento della gente, ma nel frattempo queste superarono il ponte stesso ed irruppero in città attraverso la porta, intrappolando nel mezzo dello stesso, nel punto più alto, Angelo di Francesco Chiani, un ragazzo che non era stato troppo sollecito nell’allontanarsi. Ma seppure il ragazzo fu salvato, grazie al gesto intrepido di un certo Antonio Magnolfi che si gettò nel fiume, le acque che ormai avevano travolto il parapetto del ponte, si sparsero per la città, an- dando a raccogliersi in Santa Chiara, ove avevano ormai raggiunto i primi piani degli edifici. Probabilmente in seguito a questo episodio si corse ai ripari, costruendo un’enorme cateratta proprio sulla porta del Mercatale, affinché in caso di nuove escrescenze del fiume la si potesse chiudere, evitando almeno le inondazioni dell’attigua piazza8. In effetti questa si dimostrò

utile alcuni decenni dopo, quando nel 1848 il Bisenzio fu oggetto di un’altra straordinaria piena9. Infatti nel primo pomeriggio del 31 ottobre, dopo alcuni giorni di incessanti piogge

nella Val di Bisenzio, il fiume tornò a gonfiarsi; ma questa volta, impeditogli di entrare dalla porta Mercatale, fece comunque numerosi danni, prendendosi come tributo di vite umane, un povero disgraziato che, con il suo barroccio, stava prelevando la ghiaia dal greto del fiume.

Nella valle travolse anche due mulini, mentre i maggiori guasti li causò in pianura, e divelti nuovamente i parapetti del ponte Mercatale, non potendo entrare in città, si sfogò dalla parte del sobborgo della Pietà. La furia delle acque andò poi a sfogarsi in quello che da secoli era stato il punto debole del suo corso in pianura, ovvero la brusca curva che il Bisenzio fa a Mezzana, ove superati gli alti argini artificiali, produsse ben quattro rotte, spargendo le acque per le campagne circostanti. Anche in tempi più moderni, tralasciando quelle recenti trattate in un’altra sezione del volume, si sono registrate altre piene che hanno prodotto in- genti danni sia in termini economici che di vite umane. Di una di queste, in particolare nel 1932, fu protagonista lo stabilimento Sbraci della Cartaia, in Val di Bisenzio10. Una piena

conseguente ad un terribile nubifragio colpì, infatti, la Valle del Bisenzio, nella notte del 27 settembre producendo numerosissimi danni ovunque11. In particolare, in questa fabbrica, il

direttore Godi Noris, allarmato dalla minaccia del fiume si era recato a fare un sopralluogo nei magazzini delle materie prime, ove erano depositati anche quattro vagoni di stracci di seta, ma il cedimento improvviso di un muro dal quale si era affacciato lo travolse, insieme al suo cane, trascinandoli nelle acque limacciose del Bisenzio. Tutti i tentativi di soccorso furono vani e del resto l’allagamento in più punti della provinciale, non permise nemmeno l’arrivo di mezzi si soccorso. Lo stesso ponte di accesso allo stabilimento fu completamente sommerso dalle acque, mentre alcuni stanzoni erano crollati ed altri completamente allagati. Il corpo del povero direttore non fu mai più ritrovato, mentre alcuni giorni dopo fu rinvenuto, nella gora di Gamberame, il corpo del cane. Ma se nella parte alta il Bisenzio dava luogo a rovinose quanto violente escrescenze, poteva comunque contare nell’azione di contenimento naturale dei contrafforti vallivi, mentre in piena pianura, soprattutto dopo Mezzana, il suo al- veo diviene sostanzialmente “pensile” e quindi da sempre di difficile gestione. Ed infatti tutto il territorio, attraversato dal Bisenzio, che dai confini di Campi, va fino ai Renai, fu nel corso dei secoli, interessato da numerose rotte ed allagamenti delle pianure circostanti che, come vedremo, indussero alla realizzazione di numerose opere di raddrizzamento e contenimento, nel tentativo di controllare questo fiume, così irrequieto nel suo percorso, prima di gettarsi in Arno12.

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 135-138)