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il CasTello dell’imperaTore a praTo

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 123-125)

Il Castello dell’Imperatore come è ben visibile oggi nel centro della città di Prato ha origini su un preesistente fortilizio della cui esistenza si hanno notizie già a partire dal 1035, periodo in cui il territorio pratese era sottoposto al dominio feudale della famiglia Alberti, casato designato con il titolo di conti di Prato a partire dall’anno 1103.

Con l’assedio alla città del giugno del 1107, episodio che mise fine alla guerra contro Matilde di Canossa e le città toscane alleate, il complesso fu fortemente danneggiato; da questo momento in poi la famiglia Alberti abbandonò progressivamente il territorio, cedendo il feudo ai Bardi, e la fortezza fu identificata con la curia dell’imperatore o palatium impe-

ratoris. Sull’origine del complesso, a conclusione di un dibattito circa le effettive origini del

complesso, si espresse definitivamente lo studioso professor Agnello che partecipò agli studi per il restauro del complesso architettonico eseguito negli anni Trenta del secolo scorso e che condusse un esame sistematico degli elementi architettonici del castrum, potendo affermare che il castello pratese è opera organica guidata da una intima unità costruttiva e che stilistica- mente appartiene all’ultimo periodo dell’attività edilizia di Federico II.

Dopo le vicende susseguitesi sul territorio pratese nel XII secolo si provvedette ad una nuova edificazione del castello, operazione che si realizzò a partire dal 1247; secondo le ri- costruzione del Giani, fu Federico d’Antiochia, sotto le direttive del padre di Federico II, che, “deliberò certissimamente per tutela dei ghibellini di Prato ed a maggior protezione e assicura-

zione del predominio imperiale di Prato, in Firenze e generalmente in Toscana”.

Quindi, finita la costruzione di Castel del Monte, iniziarono i lavori per la costruzio- ne del castello dell’Imperatore su progetto del magister Riccardo da Lentini. Non si hanno notizie certe su quando i lavori furono terminati: è certo che nel 1250 essi furono interrotti in occasione della morte di Federico II e la campana, che fu calata dalla torre nel 1754 che marcava: “Leonardo Pisano, 1254”, non può essere testimonianza certa del completamento della fabbrica. In ogni caso il castello fu costruito su una precedente struttura inglobando due torri del precedente palatium, originariamente più alte e utilizzate quindi come punti di avvistamento. La pianta quadrata, il cui lato misura circa 40 metri, è affiancata da torri angolari, anch’esse a base quadrata; ad esse si aggiungono, a metà del lato, ulteriori torri a pianta pentagonale. L’architettura del fortilizio è assimilabile ad uno schema comune con altri fortilizi dell’edilizia imperiale edificati tra il 1239 ed il 1246, come gli esempi siciliani di Siracusa, Catania e Augusta.

L’elegante portale federiciano che funge da ingresso principale è realizzato a file di alberese e serpentino verde ed è incorniciato da elementi decorativi di gusto classicheggiante che rimandano agli esempi delle costruzioni di Castel del Monte e direttamente al castello di Andria. La funzione del Castello dell’imperatore, come affermava il Fiumi, era quella di rappresentare “in definitiva, per tutto il tempo che fu in efficienza la seconda cerchia muraria,

il cassero del castello di Prato; lo stesso castello sarebbe stato in comunicazione con la cerchia pratese per mezzo di un ponte levatoio gettato sulla carbonaia, così da poter svolgere, secondo le circostanze, compiti di offesa e di difesa”.

L’altro ingresso, opposto a quello principale, che presenta più semplicemente motivi a fasce bianche e verdi, fungeva da collegamento con il sistema di fortificazione esterna al castello; l’importanza di questo accesso crebbe nel momento in cui, a partire dal 1350, fu realizzato il “cassero”, un vero e proprio collegamento coperto e inaccessibile che univa il ca- stello alla porta fiorentina. A partire dal 1528, per l’espansione dei domini, venne a decadere la funzione militare del complesso; a testimonianza di ciò anche una relazione di Francesco da Sangallo che suggeriva del “permanere di due torri alte, per le quali si consiglia che si sca- pezzassero al piano delle mura”.

La fortezza non subì particolari modifiche fin quando nel 1742 il colonnello d’artiglie- ria granducale non dichiarò disarmato ufficialmente il castello; da quel momento volumi si andarono ad aggiungere all’interno ed all’esterno delle mura perimetrali e le alte torri ancora esistenti furono cimate. A tal proposito l’allora soprassindaco Uguccioni scriveva al grandu- ca: «siccome vi sono delle torri a forma di campanile o di osservatorio, sarei di sentimento che queste pure potessero demolirsi, non tanto per servirsi del loro materiale, che per scansare qualche improvvisa rovina, trattandosi di fabbriche alte ed antiche e che si rende inutile il lasciarle in essere tuttavia».

Dal 1767 al 1850 circa il castello ospitò i veterani dell’esercito, i cosiddetti invalidi; in seguito ebbe la funzione di prigione, fino al 1875; poi a partire dal 1932 il bene divenne di proprietà del comune di Prato, il quale già a partire dal 1908 iniziò le procedure di acquisi- zione. Da questo momento in poi si diede inizio ad una campagna di restauri che si concluse in parte nell’aprile del 1934 alla presenza del Re e delle personalità al suo seguito. Il recupero fu volto all’eliminazione dei volumi superfetativi e delle aggiunte stratificate nei secoli: furono smantellate, ad esempio, la porta che gli invalidi avevano traslato, in seguito al loro trasferi- mento, dal palazzo del Mercatale, e la tettoia sui sostegni di ferro fuso che copriva parte del cortile. Si avviarono le trattative per l’acquisizione e l’eliminazione di tutti quegli edifici che

erano stati costruiti in addossato alle mura: l’ultimo ad essere demolita fu la palazzina giu- stapposta su tre lati a fianco dell’ingresso principale che fu acquisita nel 1940 in correspon- sione di una somma pari a Lire 110.000. Gli studi per il recupero del castello evidenziarono come nel periodo granducale gli interventi di realizzazione dei volumi interni avessero cancel- lato le tracce delle strutture originali; infatti il generale abbassamento del piano di calpestio di 1,60 metri che comportò la demolizione del portico interno, la cui testimonianza residuale è data dalle mensole di sostegno lavorate a foglie di acanto stilizzate.

La demolizione di questi elementi permise l’individuazione dell’originale merlatura, allora solo parzialmente visibile a causa della presenza dell’intonaco delle sopraelevazioni. La merlatura ghibellina, una volta liberata dalle murature aggiunte, fu restaurata ed integrata per le porzioni perimetrali andate perdute.

I lavori si limitarono quindi al riordinamento delle mura ed al ripristino del cammina- mento di ronda. Vista la volontà di avere la piena disponibilità del piazzale interno si rinunciò alla ricostruzione del pozzo, rivestito in filareto di alberese, il quale aveva un diametro di 2,50 metri e che con i suoi 17 metri di profondità fu da sempre fonte di approvvigionamento idrico per il castello. Per migliorare le proporzioni delle due torri di vedetta scapitozzate nel ‘700 si provvedette a rialzarle alla quota delle altre. Ulteriori interventi furono effettuati negli anni Settanta del secolo scorso a cura del professor Francesco Gurrieri che si occupò di effettuare il “restauro del restauro” ovvero di consolidare quegli elementi architettonici già interessati dal recupero precedente. Oggi il castello dell’Imperatore ci appare dall’esterno nella sua forma originaria, ad eccezione ovviamente delle merlature e delle torri di avvistamento ricostruite, mentre all’interno risulta pressoché privo di elementi architettonici significativi; con la sua po- sizione rialzata rispetto al piano stradale, il castello si colloca in posizione dominante rispetto al suo intorno. L’ingresso è garantito solo dalla porta principale le cui decorazioni in pietra costituiscono senza dubbio l’aspetto più significativo dal punto di vista stilistico; le rampe di accesso sul prospetto principale sono ottocentesche.

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 123-125)