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le opere di regimazione idrauliCa

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 138-142)

L’impeto del Bisenzio nel corso dei secoli, come abbiamo visto, è spesso stato deva- stante, rendendo necessarie opere di regimazione come briglie, tori e muri di contenimento, nel tratto vallivo, e giungendo in pianura anche a vere e proprie rettifiche del suo corso, soprattutto tra il Cinque e Seicento13, prima di gettarsi nell’Arno. Della necessità di costruire

manufatti all’interno degli alvei, soprattutto degli affluenti del Bisenzio, se ne resero ben presto conto tutti i tecnici che si confrontarono con il problema, durante il corso dei secoli. Si trattava di traverse in muratura dette serre, atte a trattenere i detriti e legnami portati dalle piene, ma che nell’asta principale del fiume spesso assolvevano anche al compito di deviare le acque in un canale artificiale, detto gora, a servizio di qualche opificio idraulico, ed in quel caso, più correttamente si parlava di pescaia.

Fig. 1 a opere difesa argini Anche la configurazione stessa di Piazza Mercatale, deriva in gran parte dalla realizzazione di opere di difesa dall’impeto delle acque; risalgono infatti al 1328 la costruzione di vari pezzi di mura, che la modellarono sull’alveo del fiume,

estendendosi dalla porta delle Fornaci, poste nel borgo di porta San Giovanni, fino al Grem- biule, che era appunto sul Mercatale14. Uno degli ingegneri, dell’Ufficio dei Capitani di Parte,

che più di altri seppe fotografare la situazione idraulica del Bisenzio è senz’altro il pratese Girolamo di Pace che, nel 1558, redasse un accurato “Memoriale” sulla situazione idrografi- ca del territorio fiorentino15, descrivendo puntualmente i «… gran disordini …» a cui esso è

soggetto soprattutto dai confini di Prato fino alla sua confluenza in Arno. Ad occuparsi del Bisenzio furono però chiamati anche personaggi illustri come Bernardo Buontalenti e Galileo Galilei; il primo fu particolarmente attivo tra il 1573 ed il 1576, realizzando numerose opere di sistemazione dell’alveo, mentre il secondo operò prevalentemente dopo il 1633-34.

Il Buontalenti nel suo ruolo, d’ingegnere fluviale del Granduca, si recò spesso sul Bi- senzio, soprattutto in compagnia dell’architetto Gherardo Mechini e di David Fortini16, anche

se la sua attività riguardò soprattutto il rifacimento di ponti. Egli fu prevalentemente a favore di un continuo controllo degli argini in quanto secondo lui « … posticciare è la miglior cosa

che si possa fare per i ripari dei fiumi …»17. Dello stesso avviso fu anche Gherardo Mechini

il quale, anzi, rimprovera spesso il Magistrato dei Fiumi di non essere abbastanza severo con chi danneggiava le lame, eseguendo il taglio delle posticce stesse, arrivando a proporre, nel 1611, l’istituzione di guardie per la vigilanza delle posticce lungo il Bisenzio. In ogni caso il Bisenzio continuerà a dare problemi, soprattutto nella sua parte più bassa, ove gli straripa-

menti e rotte ricorrono quasi sempre negli stessi punti: il Poggione, Capalle, la Galera degli Strozzi, l’Ulivo ecc. È proprio per dare una soluzione definitiva a tali inconvenienti che, nel 1586, David Fortini propose un insieme di ben 53 tagli, da effettuarsi lungo il corso del fiu- me, per una spesa complessiva di 5193 scudi. Il progetto non fu però realizzato per la strenua opposizione che il Buontalenti vi fece. Tuttavia dall’anno successivo iniziò un insieme siste- matico di lavori lungo il corso del fiume, che vedranno una pausa solo nel 1592, quando ci si dedicherà soprattutto alla ricostruzione della pescaia del Cavalciotto. Il Buontalenti, ormai anziano, è spesso sostituito, nelle ricognizioni sul Bisenzio da Raffaello Pagni il quale come vedremo, sarà anch’esso impegnato nei lavori al Cavalciotto. In generale, tuttavia, i lavori sul Bisenzio saranno seguiti dal Mechini, che con alterne intensità si protrarranno fino agli inizi del Seicento, concentrandosi soprattutto nella zona di Campi, con l’allargamento sistematico del letto del fiume, fino al suo sbocco nell’Arno.

Verso la fine del 1630, dovendo riparare diverse rotture agli argini del Bisenzio, nel suo tratto in pianura, il Granduca Ferdinando II de’ Medici, invitò Galileo Galilei, in qualità di suo matematico primario, a partecipare ad un sopralluogo presso il fiume Bisenzio, insieme all’architetto granducale Giulio Parigi e agli ingegneri Alessandro Bartolotti e Stefano Fanto- ni. Della questione in realtà si era già interessato Andrea Arrighetti, senatore di Ferdinando II, studioso, letterato, accademico della Crusca, discepolo e amico di Galileo, il quale con una lettera chiede al suo maestro di dirimere la questione sui lavori al Bisenzio: «…Trattandosi a

questi giorni in villa del S.re Niccolò Arrighetti, dove erono alcuni Signori interessati, del nuovo

disegnio di addirizzare Bisenzio da Campi in giù, proposto da Alessandro Bartolotti, mi venne detto che mediante le continue giravolte che fa detto fiume, con tornare molte volte formata- mente in dietro per molte centinaia di braccia e simili stravaganze, giudicavo che il vero modo di riparare alle spesse rotture et a’ continui trabocchi che seguirono [nel]le svolte e sopra di esse, fussi stato quello proposto dal detto Bartolotti, cioè di diramarlo o, per dir meglio, farli un nuovo letto che dal luogho detto la Galera fino al Colle a Signia, a dove sbocca di presente, andassi in una sola dirittura; et a questo mi persuadeva il vedere per esperienza che i fiumi per lo più fanno i maggiori danni nelle svolte e sopra di esse, dove conviene per tal conto alzare gl’argini molto più che ne’ luoghi lontani da esse. Mi fu dal S.re Niccolò replicato in contrario

per molte ragioni et esperienze da lui addotte (…) In somma mandiamo a V. S. il processo di tutta questa nostra lite, supplicandola a pigliarsi fastidio di vedere queste nostre debolezze per darci animo a continuare in simili trattenimenti e per farci restar capaci d’una verità tanto curiosa e necessaria; assicurandola che io in particolare ne resterò a V. S. obbligatissimo in qualsivoglia maniera, non aspirando ad altra vittoria che il venire in cognizione della verità di questo negozio...»18 Quindi probabilmente fu proprio l’Arrighetti a consigliare il Granduca di

rivolgersi a Galileo, al quale si chiedeva di pronunciarsi e confutare le tesi dei due ingegneri: quella del Bartolotti, che pensava di eliminare le tortuosità del fiume riducendolo ad un ca- nale diritto, e quella del Fantoni, il quale riteneva che il fiume dovesse mantenere il suo corso naturale, soprattutto rafforzandone gli argini, intervenendo soltanto nei punti più pericolosi. Probabilmente alla base di questa richiesta c’era anche una certa diffidenza nei confronti del Bartolotti19, il cui progetto avrebbe peraltro portato a sostenere ingenti spese, sollevando

sicuramente le proteste dei proprietari dei terreni interessati. La visita fu però rinviata per dar modo a Galileo e al Parigi di esaminare le proposte elaborate dai due ingegneri.

Le riflessioni del Galilei furono riportate in una lunga lettera del 1631 a Raffaello Staccoli20, nella quale, si ha l’impressione che oltre a nutrire una non troppo dissimulata av-

versione per certe affermazioni del Bartolotti21, ne approfitti anche per esporre una sua teoria

di carattere generale, che poi avrebbe potuto essere applicata anche ad altri corsi d’acqua, ma soprattutto sembra che cerchi di applicare alla questione del Bisenzio, le sue teorie sul moto: in È

«… Tornando dunque sulle tortuosità del fiume, dirò un altro mio concetto, il quale penso,

che sia per giunger nuovo, ed anco esorbitante all’Ingegnere, e forse ad altri, ed è questo, che, posta l’istessa pendenza tra due luoghi, tra i quali si abbia a far passare un mobile, affermo la più spedita strada, e quella che in più breve tempo si passa, non esser la retta, benchè brevissi- ma sopra tutte, ma esservene delle curve, ed anco delle composte di più linee rette, le quali con maggior velocità , ed in più breve tempo si passano (...) E queste sono conclusioni vere, e da me dimostrate nei sopraddetti libri del moto...»

Da questa ed altre deduzioni, ne traeva che non fosse necessario raddrizzare le svolte del fiume le quali, quand’anche fossero state particolarmente tortuose, avrebbero creato un ritardo impercettibile. Da tali considerazioni ne trasse che: «... intorno alla deliberazione da

prendersi pel restauramento del fiume Bisenzio, che io inclinerei a non lo rimuovere del suo letto antico, ma solo a nettarlo, allargarlo, e per dirla in una parola alzare gli argini dove tra- bocca, e fortificarli dove riempie. E quanto alla tortuosità, se non n’è alcuna oltremodo cruda, e che con qualche taglio breve, e di poco incomodo e danno alle possessioni adiacenti si possa levare,la leverei, benchè il benefizio, che si possa ritrarne, non sia di gran rilievo...»22

Successivamente, Galileo denunciò la presenza dello stesso problema per altri fiumi dell’Osmannoro, per i quali esortò a prendere analoghi provvedimenti. Gli studi sul Bisen- zio costituirono anche motivo di scambi epistolari tra Galileo, Benedetto Castelli, Andrea e Niccolò Arrighetti sul problema della velocità delle acque correnti. A Castelli, Galileo inviò copia della sua lettera a Raffaello Staccoli. Anche Cesare Marsili, nel 1631, scrisse a Galileo a proposito del Bisenzio, sottolineando le analogie tra questo fiume e il Reno. In ogni caso, la tesi del Galilei, e quindi quella del Fantoni dovettero in qualche modo prevalere, non dando luogo alla progettata rettificazione del Bartolotti. Ovviamente le problematiche in pianura furono di carattere assai diverso e l’opera dell’uomo si concentrò, fin dal medioevo o forse prima, nel contenere e regolare lo spandimento delle acque nelle campagne circostanti, oltre a cercare di regimare e correggere il corso del fiume.

Per quasi tutta la seconda metà del Seicento ad occuparsi del Bisenzio fu il matematico Vincenzo Viviani, allievo dello stesso Galilei; egli infatti si trova, in questo periodo a dirigere i tecnici dell’Ufficio dei Capitani di Parte23. Ancora una volta egli deve rilevare lo stato di in-

stabilità del corso del Bisenzio nel suo percorso in pianura e, fin dal 1691, inizierà una nuova serie sistematica di lavori di raddrizzamenti ed allargamenti del suo letto, per i quali furono spesi migliaia di scudi. Ma anche in epoche più recenti ci si è posti lo scrupolo di regolare le acque del fiume, questa volta però intervenendo nella parte alta. Risale infatti al 1940 uno studio dell’ing. Giovanni Bellincioni, il quale sostenne che questo fiume, nonostante il suo corso breve ed il suo modesto bacino imbrifero, fosse certamente il meglio sistemato e maggiormente utilizzato di tutta Italia in virtù, oltre che del sistema originato al Cavalciotto, delle numerose derivazioni del tratto vallivo, sfruttate dai numerosi opifici “… i quali cedono

successivamente le acque dall’uno all’altro senza la perdita di un metro di salto …”24. Proprio

per far fronte a questo intenso utilizzo delle acque del fiume, tuttavia reso discontinuo dai periodi di magra, oltre che per difendersi dalle rovinose escrescenze in tempo di piena, egli propose di costruire ben tre invasi lungo il primo tratto dello stesso. Il primo di questi avrebbe dovuto sorgere proprio all’origine del fiume, ovvero presso il Mulin della Sega, con una diga alta 37 metri, capace di contenere mc 2.000.000 di acqua; il secondo immediatamente a valle della confluenza con il torrente Carigiola, mediante uno sbarramento alto 67 metri, capace di contenere mc 17.000.000 di acqua; il terzo invece sarebbe sorto direttamente sul Carigilola a quota 400, con una diga di 76,50 metri, in grado di trattenere mc. 14.000.000 di acqua. Tali opere, nella logica del Bellincioni, avrebbero assicurato un regime costante ai numerosi opifici presenti su tutta l’asta del fiume, oltre a prevenire, in caso di bisogno, le disastrose piene che

periodicamente si verificavano. Quella degli sbarramenti, poi mai realizzati, come vedremo, era un’idea già espressa agli inizi del secolo dall’ing. Cerutti, sia pure in altra posizione ed ad altro scopo.

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 138-142)