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degli Etruschi di Gonfient

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 98-102)

PRIMA FOTO SERIE GONFIENTI SBAT Il 4 novembre 1996, alle ore 10,15, una telefonata di Silvio G. Biagini, ricevuta dalla dott.ssa Perazzi della Soprintendenza Archeolo- gica della Toscana, informava del rinvenimento, in località “Pantano 2”, lungo una scarpata della strada che costeggiava lo scalo container del costruendo interporto, di una “quantità im- pressionante di frammenti di vasi, … in due buche lì vicino una serie di strutture murarie”37.

Si apriva in quel momento la scheda di segnalazione di una delle scoperte archeologiche che possiamo considerare in assoluto tra le più rilevanti dell’Etruria Settentrionale, certamente tra quelle dell’ultimo quarto del secolo scorso. Certamente per la testardaggine di un appassio- nato cultore dell’archeologia nostrana, forse non disgiunta da una mera casualità, trent’anni dopo l’alluvione dell’Arno, la Piana vedeva riemergere dai depositi alluvionali di un anonimo pantano un’inaspettata ricchezza e, con essa, la possibile risposta all’enigma rimasto innatu- ralmente sospeso sull’origine dell’insediamento bisentino.

Questo pantano, di nome e di fatto “costituito da una stratigrafia di limi, limi argillosi e rari livelli di ciottoli relativi ad antichi paleoalvei”38, frutto di una esondazione di 2500

anni più antica, restituiva una verità sepolta che non altrimenti si sarebbe potuta forse mai conoscere.

Dal sopralluogo che seguì nei giorni successivi e soprattutto dallo scavo di un limitrofo fosso, condotto per la realizzazione di un bacino di compenso a servizio della lottizzazione industriale che si stava edificando per conto della società “Interporto della Toscana S.p.a”, in prossimità di via Madonna del Ciliegio, poco distante dalla Villa Niccolini, storico complesso gentilizio con annessa fattoria, si ebbero le prime conferme della straordinaria quanto “for- tuita” scoperta. In particolare la scoperta prendeva forma dall’osservazione di un “notevole quantitativo di ceramica e strutture murarie in ciottoli di fiume (fondamenta a cassaforma) inequivocabilmente della stessa epoca dei precedenti ritrovamenti”.39

Le caratteristiche costruttive delle muraglie rinvenute in quel primo casuale ritrova- mento davano già avviso di un sito archeologico speciale, come pure di una sua più che pro- babile grande estensione. Singolarmente questi reperti erano però come riemersi dal nulla, in un luogo per altro non privo di suggestioni, a cominciare dal nome della località conosciuta come “le prese di Roselle”. Queste strutture murarie apparivano fin dal primo momento come porzioni non sporadiche o isolate, per quanto situate in un contesto reso anonimo dalle tra- sformazioni urbanistiche poste in essere, ma si presentavano anzi in sequenze ininterrotte e disegnavano tra loro precisi e già ricorrenti allineamenti che preconizzavano, senza ombra di dubbio, l’esistenza di un sistema urbanisticamente assai articolato, ben più ampio di quello immediatamente percepibile. In effetti si trattava, come verrà poi confermato dalle introspe- zioni geofisiche sui terreni limitrofi e dai saggi archeologici di verifica, di “un vero e proprio agglomerato urbano”40 che verrà in una prima fase di rilievo rubricato come semplice luogo

di stazionamento, poi, avvertendo dimensioni del sito progressivamente più rilevanti, come insediamento proto urbano che, in attesa di una più chiara identificazione toponomastica, veniva definito come la “Città degli Etruschi di Gonfienti”.

TERZA FOTO SERIE GONFIENTI SBAT In verità, a parere di molti, il moderno ter- mine di “città” attribuito all’antico insediamento bisentino appare tuttavia inadatto e alquan- to riduttivo, in quanto generico nella definizione di un insediamento composito e variegato come quello che stava emergendo dagli scavi, riducendo forse ad una formula stereotipata quella che invece si configurava essere, fin dai primi ritrovamenti, come la struttura di una

grande pòlis, probabilmente una matrice urbana dell’antichità pre-classica, ovvero - come diremo più avanti -una “metropoli”, a tutti gli effetti, costituita intorno ad una grande plateia pubblica. Questa grande area stradale acciottolata, centrale nell’abitato, intercettata nei primi saggi di scavo, individuava un preciso indizio circa la possibile presenza di un centro civico (agorà) da associare ai sistemi abitativi multipli che si stavano ritrovando, già impostati su comparti rettangolari ben strutturati, delimitati geometricamente da un reticolo ortogonale di strade tra loro ben connesse con arterie territoriali. Un centro quindi, quello di Gonfienti, assai rilevante nello scacchiere politico delle pòlis etrusche del periodo. Si tratta, infatti, di un insediamento sui generis dotato di attrezzature portuali e darsene interne, ma anche di aree mercantili e residenziali di pregio, come dimostra il ritrovamento di originali e preziosi reperti fittili (ceramica depurata, bucchero e raffinate produzioni artistiche) che vanno ad aggiungersi alla già accertata esistenza di laboratori domestici di tessitura. Inoltre, una peculiarità della Gonfienti etrusca potrebbe essere costituita dalla presenza, in aree limitrofe al nucleo urbano, di articolate ed evolute strutture di tipo agrario e produttivo. Il rinvenimento di scorie metal- liche, probabilmente derivanti dalla riduzione in loco di metalli e, semmai, dalla lavorazione di bronzo e ferro, comproverebbe poi l’esistenza di specifici atelier artigianali e, inoltrandosi in Val di Marina (zona della Chiusa di Calenzano), di vere e proprie officine di produzione metallurgica41. La presenza diffusa di opere di canalizzazione accompagnate da un ingegnoso

sistema di regimazione delle acque, lasciava altresì intravedere la connessione dell’insedia- mento con l’ampio retroterra agrario che già si sarebbe potuto preliminarmente ipotizzare, ovvero prima della scoperta della città, dall’analisi archeologica di superficie, per la presenza di terrapieni, (12) acquidocci e isole coltive quadrate innalzate su ampie scogliere terrazzate (zona di Sommaia), interessando quindi gran parte della conca valliva dominata dalla spina rilevata profilata da Calenzano Castello, quasi fosse l’acropoli della città fluviale così com’è posta a monte della prima, in direzione est sud est rispetto all’area propriamente urbanizzata di Gonfienti.

D’altro canto, fin dal 2002, dallo studio dei segni presenti nel paesaggio antropico caratterizzante i versanti orientali dei Monti della Calvana e il versante occidentale del Monte Morello, emergevano con chiarezza ulteriori indizi, sufficienti a far ritenere che il territorio della bassa Val di Marina (da Pizzidimonte a Travalle, da Carraia a Calenzano Castello) e la città etrusca sul Bisenzio si potessero collocare al centro di un vasto sistema territoriale, ben presidiato tutt’intorno alle conche vallive dei vari affluenti del Bisenzio da roccheforti e da estesi segmenti fortificati, muniti di possenti muraglie, interessando anche la limitrofa vallecola del torrente Chiosina (ad est di Calenzano) e la stessa zona di Settimello, dove nel passato era stato rinvenuto l’omonimo monumentale cippo cipolliforme con il basamento scolpito con quattro leoni rampanti e regali palmette (VII-VI sec. a.C.) quale possibile ter- mine confinario (tular spural) della metropoli bisentina.42 INSERIRE FOTO DEL CIPPO DI SETTIMELLO Al di là delle ipotesi, le indagini archeologiche, ancora frammentarie e largamente incomplete per l’assoluta parzialità delle aree fin qui saggiate rispetto al reale potenziale sviluppo della città, confermeranno in ogni caso, nel giro di pochi anni, a partire dagli accertamenti del 1999-2001, l’esistenza di un composito assetto insediativo.

L’impianto urbano che stava emergendo da quei terreni, considerata la presumibile datazione di riferimento (VII-V sec. a.C.) e la sua possibile cronologia evolutiva, poteva co- munque considerarsi straordinario e all’avanguardia per concezione urbanistica.

L’insediamento etrusco di Gonfienti, al pari di quello di Marzabotto (etr. Kàinua = città nuova) è di fatto precursore di sistemi urbanistici che si affermeranno solamente alcuni decenni più tardi nel mondo greco seguendo le teorie di Ippodamo da Mileto ed altri abili agrimensori.

A Gonfienti l’etrusca Disciplina, applicata all’urbanistica, aveva però anticipato am- piamente queste teorie, facendo del modo di fondare la città un’arte ed una scienza insieme, come d’altronde avverrà nel 540 a.C. a Roma con le opere pubbliche e le mura erette dal re etrusco Servio Tullio.

Lo dimostrerebbe il tracciamento ben più esteso del solito del “sacro pomerio”, qui da ricercarsi nella nuova perimetrazione dell’area urbana che viene ad occupare vaste porzioni pianeggianti di territorio,per decine di ettari, con la contestuale disposizione di un più ampio giro di difese, quali fossati e valloni fortificati distanti dai nuclei preesistenti e dall’acropoli, assecondando quindi una diversa visione ambientale prima ancora di una nuova dimensione territoriale dello spazio urbano. La metropoli è piuttosto da riferirsi ad un sistema territoriale che alla mera delimitazione castellare del sito, fino ad arrivare a cingere e riunificare villaggi disposti in luoghi tra loro diversi, ancorché disposti su siti separati. Questi fattori introdotti nell’urbanistica osservabile nell’insediamento etrusco posto alla confluenza della Val di Mari- na con il Bisenzio, corrispondono contemporaneamente agli aspetti evocativi della sacralità del territorio propria della concezione e delle ritualità del popolo etrusco, come pure ad una effettiva razionalizzazione degli ambiti territoriali più strategicamente importanti da protegge- re e da contenere funzionalmente all’interno del sistema abitativo nel territorio.

La specifica valenza degli elementi e dei manufatti di volta in volta evidenziati dagli scavi, quali assi stradali rigorosamente orientati nella ricercata proiezione della volta celeste, alla quale riferirsi quale templum per i riti fulgurali, si riconoscono soprattutto come sistemi abitativi ben relazionati tra loro in coerenza con i nuovi impianti urbani che di volta in volta si realizzavano ancora nell’accrescimento naturale del sito edificato, rende del tutto evidente la paternità dell’ideazione urbanistica al mondo etrusco.

La potenziale grandezza del sito fu presto confermata dalla scoperta nel 2002 di una grande dimora gentilizia a pianta quadrata, munita di corte interna centrale, architettonica-

mente concepita sul modello contemporaneamente in uso a Tarquinia, introdotto da De- marato di Corinto, padre del re etrusco Tarquinio Prisco che lo introdusse anche nei nuovi quartieri capitolini. Un palazzo ad un piano con ballatoi superiori, innalzato utilizzando un robusto telaio strutturale ligneo impostato su di un substrato murario di sostruzione e com- pletato con travature di copertura. (7)(6) (11)

Le pareti della casa erano tamponate con graticci lignei e impasti di argilla armati su cannicci, scialbate e finemente dipinte con motivi geometrici nella vivace bicromia dei rossi e dei bianchi, l’esterno era privo di finestre, fatte salve le botteghe frontistanti il decumano e l’unico accesso al vestibolo interno, protetto da ampie smensolature; il tetto sormontato da grandi embrici e coppi laterizi muniti a loro volta di decori policromi “a zig zag”, ulterior- mente impreziositi da simboli apotropaici di coronamento e nell’atrio da bellissime antefisse angolari poste ai vertici di gronda dell’impluvio. Vi erano poi ambienti di lavoro e domestici, sapientemente distribuiti all’interno, valorizzando al massimo l’atrio del ricevimento, portica- to ed affrescato, e la visibilità della sala del convivio (tablinum) con annesso triclinum, ritrovo d’eccellenza dei commensali ospitati e fulcro, con le cucine, della casa.

Si trattava in effetti di una sorta di reggia, di dimensione più che doppia della do-

mus regis edificata dai Tarquini ai piedi del Palatino, anch’essa caratterizzata tipologicamente

dall’icnografia “ad atrio” con pozzo interno, tipologia che si consoliderà nei secoli a venire come il modello architettonico più diffuso della domus patrizia romana. QUARTA E QUIN- TA FOTO SERIE GONFIENTI SBAT Le dimensioni inusitate di questa domus di Gonfienti, oltre 1400 mq., fornivano, infine, ulteriore e definitivo indizio circa la rilevanza urbanistica del luogo di appartenenza. L’indiscutibile importanza delle porzioni urbane che venivano portate alla luce, ancor prima che si completassero i riscontri documentali sugli scavi e sui vari dati archeologici raccolti, stabilivano ante quem i primati assegnabili a questo luogo, assolutamente riconoscibili da un punto di vista costruttivo e distributivo sui modi stessi dell’edificazione, specialmente se contestualizzati al periodo storico entro il quale si era an- data formando la città. SECONDA FOTO SERIE GONFIENTI SBAT L’area edificata dell’in- sediamento bisentino, interessata dai primi scavi di verifica, anch’essi portati avanti solo per una minima parte, poteva avere comunque un’estensione di alcune decine di ettari, anche se, in mancanza di precise referenze di rilievo, resta ancor oggi, a distanza di quasi 15 anni dalla sua scoperta, assai arduo precisarne la potenziale superficie.43

Nel 2003, per le finalità di una variante urbanistica affidatami per dare dignitosa si- stemazione degli accessi da ovest all’area di scavo, già in parte compromessa dalla presenza dei lotti industriali, che si ipotizzava di includere in un grande parco archeologico, e la messa in protezione ambientale dei terreni a rischio, eventualmente da sottrarre al piano di utilizzo dell’interporto anche poter assicurare un futuro di fruibilità all’area archeologica, fu mappata una prima area di circa 27 ha, confermando in questo dato quanto allora indicato nel “Pro- getto di indagini geoarcheologiche per la perimetrazione della città etrusca”, redatto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. 44

Nel documento Bisenzio. Un fiume nella storia (pagine 98-102)