GIORNALE D’ ISTRUZIONE E D’EDUCAZIONE
1 V B bmbo , Lettere , V enezia, 560, pag 53.
« ... C resce tu tta v ia l’ obbligo mio con V. S., poiché E lla dice che a m ia soddisfazione h a dato principio ai distendere i particolari della g u erra de’ B aroni, raccolti da Lei con ta n ta fatica, e 1’ assicuro che ci riuscirò, nè si p entirà giam m ai di averm i com piaciuto; perchè molto ben conosco che a farlo non le m anca nè p a ro la , nè arte , nè ingegno. Duoimi solo di non av erla persu asa a scriv erla to s c a n a m ente; non perchè il suo stile latino non mi soddisfaccia (a n z i lo reputo elegante e g rave ) m a per d esiderare che l’ opera sia orribil documento a tutti gli uomini del R eg no; per il che a ssa i volentieri 1’ apprenderebbero volgare. E pure fa tta che l’ av rà di questa m a niera , non le si to rrà di farla in quell’ a ltra ancora ; siccom e usò il Bembo che lasciò sc ritta la sua storia nell’ uno e nell’ altro idioma. Diaci dunque dentro, e m andim ene alcuna p a rte ; che la leggerò vo lentieri in quelle ore che tirannicam ente mi avanzano, ricordandole che i servigi accelerati si reputano duplicati. S tia san a, e scrivam i.
« Di Trento — Di V. S. come p adre — G iro la m o S e rip a n d o . »
S’ inganna pertanto il T afuri, asserendo che il Porzio aveva scritto la sua storia latinam ente, e che più tard i, per ap p ag are i desiderii del Seripando, la voltò in italiano (Istoria, d e g li s c r itto r i n a ti n el regn o d i N a p o li, Tom. Ili, p arte 2.a, Napoli, 1792).
Credo poi utile p er la storia della chiru rg ia re c a r qui la seg u en te le tte ra del Porzio al Seripando, rip o rta ta anche dal Monzani n ella sua P refazione alle opere dello storico napoletano, pubblicate dal Le M on nier, 1855:
« Ill.mo R.mo signor mio e P adrone Oss.mo,
« Questi di addietro ricevei una di V. S. 111.ma e R e v .m a , alla quale se di subito non risposi, ne fu cagione che mi trovò in letto ; e certo ne presi ta n ta consolazione, che non solo mi diede ajuto a g u a rire , m a anche mi portò seco 1’ ultimo com pim ento del mio naso ; il quale, la Iddio m ercè, ho quasi che ricuperato, e tanto simile al primo, che da coloro che noi sapranno, difficilmente p otrà essere conosciuto. È ben vero che ci ho patito grandissim i travag li, essendo stato di bi sogno che mi si tag liasse nel braccio sinistro duplicata carne della p e r s a , dove si è cu ra ta anco ra p er più d’ un m ese; e poi m e l’ han cucita al naso, col quale mi è convenuto tenere attaccato quindici di il predetto braccio. Signor mio, quest’ è un’ opera incognita agli antichi, m a di tan ta eccellenza e tanto m e ra v ig lio sa , eh’ è un g ran vitupero del presente secolo che per beneficio universale non si pubblichi e non s ’ im pari da tutti i chirurgi, essendo che oggi sia ris tre tta in un uomo, solo *; il quale non è quel medico nè altro suo creato che , come la
1 II Tiraboschi, invece, nella sua S to ria della L ettera tu ra , tom. V I, afferma che un’ intera famiglia di cerusici calabresi esercitavano l’arte della restituzione del naso-
dice, le pose i denti in P o rto g allo ; perchè colui, p er quant’ ho veduto,
fu.it im ita to r n a tu ra e ; m a costui fa quel medesimo che l’ istessa natura. 10 molte volte, per il ben pubblico, ho desiderato di veder V. S. Ill.ma e Rev.ma principe, m a ora per questo particolare via più lo desidero, m assim e che quest’ uomo da bene, per picciol pregio rispetto alla g rande utilità del rimedio, il daria alle stam pe. Ma chi sa ? —
« P er un’ a ltra m ia 1’ ho dato avviso del motivo de’ L uterani di qua; non gli scrissi poi il successo p er la sopravvegnente inferm ità: b asta che per m ancam ento del viver si disfecero, essendo assediati da molti di questi popoli. Son venuti (d a dugento in fuori) tutti in poter della giustizia; si son fatti niorire certi principali ostinatissim i; e gli altri, m ediante 1’ autorità dell’ arcivescovo di Reggio m andatoci da S. B. con larg a p o te s tà , si spera che si ridurranno. Il dì di S. G iovanni, molto favorevole a ’ Turchi, si persero qui rincontro sette galee di Si cilia dov’ era il vescovo di C atania, e furono com battute da nove v a scelli di corsali. Ciascun dice che in Lipari si avrebbono potute rico- vrare, se il soverchio ardire del lor generale spagnuolo non l’avesse precipitate. Altro p er adesso non occorse: pertanto umilmente alla buona g razia di V .a S.a Ill.m a e R ev.m a di cuore mi racco m an d o , con
pregargli lunga e felice vita. » T ropea, 9 luglio, 1561.
D ed itissim o se rvito re
Ca m il l o Po r z io.
Che g rande e cordiale fosse 1’ am icizia che string eva il Seripando a Camillo Porzio, si prova ancora da una lettera di quest’ ultim o, che si trova nel codice seripandiano della Biblioteca N azionale di Napoli (codice 448, scaff. V) e di cui, per esser troppo lunga, riferisco soltanto 11 contenuto. Avendo il Porzio acquistato il feudo di Centola nel P rin cipato Citeriore, appartenente un tempo a certi nobili napoletani ; questi 1’ ebbero molto a male. Onde fecero ricorso al Seripando, pregandolo che volesse indurre il Porzio o a ridonar loro il fe u d o , o a ritenerlo sotto altre condizioni. Il Porzio nella sua lettera al Seripando dim ostra la ingiustizia di queste pretensioni, ed espone le ragioni eh’ egli h a di non tenerne conto.
Di Scipione Capece si ha questa affettuosa e bellissim a elegia 1
Quod Te non adeam, ooelo neque cannine tollam Ausa piae mentis propositumque tuae,
Dum plausus vulgi coetusque perosus inanes Te Patriae optatum subtrahis in gremium,
Il chirurgo poi che curò il Porzio, probabilmente fu Pietro Vianeo, di cui il Barri in una sua opera sulla Calabria dice: Vicit et P etru s Vianeus, qui, praeter eccetera,
labia et nasos m utilos in territa ti restituii. 1 V. Elegiae et E pigram m ata, Neapoli, 1594.
Et nigri imperituri et rubri consortia coetus Negligis, et dominae respuis Urbis opes, A c Superum sedes magnique arcana Tonantis,
Quaeque nefas aliis cernere, solus adis :
Haec ego quod sileam , tua nec, Seripande, frequentem Limina, nec blando perfruar alloquio;
Ingrati memorisque parum non signa putabis Illa animi, aut constem quod minus ipse mihi; Sed quia dum vulgi mores et saecula damno,
Tutius urbana vivimus usque procul;
Quae colimus, nostras non multant rura querelas : Nil hic quid faciam, quid loquar, excipitur ; Atque impune licet per fas, en praemia, vitam
Ducere, perque artes excoluisse pias.
B ernardino R ota co’ seguenti versi ne piange la m orte :
R es nova, res nimium tristis, res digna querelisi Jam furit in magnos mors violenta Deos. Tune ille heu moreris, pravi spes ultima saecli !
Tune taces, sacri lux, Seripande, cbori? Ah! quantum amisit Christi respublica! quantum
Lucrata est coeli regia morte tua!
Giano Anisio ne loda le qualità dell’ ingegno e dell’ animo :
Ut nihil est homine praestantius ortum, ita major R es inter ortas ulla non proportio est;
Namque ut quisque animi est vi, claroque altius ore Provectus, ita homine major ad Superos redit. A rs, patria, ingenium, si Te retulere Deorum,
Hieronyme, in coetum, illud a Deo optimo est.
E il M inturno nella sua opera D e P o è ta (Venezia, 1559, pag. 18) ne com m enda la dottrina con queste parole: S i qu id de rebus d iv in is, qu od sit ex p o n en d u m in e id e r it, co n su la n t S e rip a n d u m f a m ilia r e m n o s tr u m , ut in e ju sm o d i d o e trin a et in con cion an do s u m m u m , ita f a m a sa n ctita tis p r im a s a d ep tu m in te r eos D e i cu ltores, qu i ab A u g u stin o ilio san ctissim o scien tissim o q u e a n tistite , e t n om en et p r in e ip iu m du cu nt.
Il F la m in io , raccom andandogli un am ico, m ostra ne’ versi che seguono, in qual conto lo ten esse :
Commendo tibi, Seripande magne, Gulielmum hominem pium, eruditum, Et candore animi parem colum bae, Doctum praeterea utriusque linguae, Quodque existimo pluris aestimandum, Pauperem, juvenes tamen docentem Gratis pauperie mala gravatos. Illuni Graecia magna procreavit Dignum Pythagora virum, tuaque Dignum amicitia, idque ita esse, certo Sciens, liunc tibi, magne am ice, dono,
Virtutique tuae dico, nec alter Cliens aptior est tibi, nec ipse Patronum inveniet sibi aptiorem.
Anche del poeta spagnuolo, G argilasso della V ega, fu molto amico il Seripando. A proposito del modo di tradurre così egli scrive a P la cido di Sangro : « Non voglio dir p iù , ricordandom i d’ averne scritto « assai anni sono, quando ero posto in questi studi, a quell’ on o ratis- « simo e virtuosissim o cavaliere, G argilasso della V ega, amico nostro « comune, richiesto da lui (che, come sapete, era studiosissim o di Orazio, « e l’ im itava ne’ suoi scritti felicemente) come io m ’ intendessi questo « passo ec. »
Il P arrasio fu altresì amico del fratello di Girolamo, Antonio Se ripando , a cui lasciò in eredità la sua ricca e preziosa b ib lio teca, e che ad onorare la m em oria del suo am ico, fece porre in S. Giovanni a C arbonara una lapide con la epigrafe rip o rtata più sopra. Il P arrasio nella sua O ratio an te p ra e lec tio n em epist. Cic. ad Att. pag. 147 del suo
L ib e r de rebus p e r ep isto la m q u aesitis (P arisiis, per Henricum S tepha- num , 1567) così dice: A n to n iu s S e rip a n d u s in illa à cid issim a n o stra N e a p o li sum m o loco natus, alu m n usqu e m u saru m , de nobis o p tim e m eritu s.
Girolamo C arbone, illustre letterato di quel tempo, nella su a E legia al Nifo così cantò di lui:
Invisit cultos Seripandus sedulus hortos, Ingenii repetens tot monumenta sui,
Doctaque Parrhasii scripta et memoranda per aevum, O fidum sanctae pectus amicitiae!
Quem non alterius Seripandi fulmina terrent, Cum tonat, et coeli numina laesa dolet! Ille tamen pietate gravis vitaque verendus
Excolit hos sancta relligione lares.
V ili.
Dopo tanti servigi resi alla religione e alla p a tria , in Trento fu colpito da g rave m alattia, e morì il 17 marzo 1563. E volendo qui de scrivere alcune particolarità della su a m o rte , credo far cosa g ra ta ai le tto ri, riportando le parole stesse del P allavicino, che ritra e gli ultimi atti di religione, e la ferm ezza e l’ affetto, onde in quegli estrem i momenti si accom iatò da’ suoi amici :
« Avealo assalito una febbre nella congregazione ch e si teneva il giorno ottavo di m arzo, e subito incominciarono gli altri a tem ere, ed esso a dubitare della sua morte. Onde non tardò e non 1’ arrestò un’ora di far come da vicino quelle preparazioni, le quali aveva fatte da lo n tano in tu tta la sua religiosissim a v ita; prese 1’ eucaristia, non dispo-
gliato ed in letto, siccome gli persuadevano i teneri della su a corporal salute, m a vestito e ginocchione, dicendo che voleva pigliar quell’estrem a licenza nel modo più conveniente. E negli ultimi com m iati da’ colleghi, da’ P ad ri e da’ fa m ig liari, assa i m osse di te n e r e z z a , assaissim o di devozione. Ambedue questi affetti si accrebbero in volerne egli re p ri m ere l’ uno ne’ circostanti, allorché veggendo pianger m olti principali prelati suoi am o rev o li, disse loro quelle parole dell’ Apostolo : Q uare c o n tr is ta m in i, q u a si in vobis non sit s p e s ? Nel qual tem a latinam ente seguì con un bellissimo se rm o n e , e tale di cui andaron le c o p ie, o perchè 1’ uomo allora è più eloquente quando rag io n a più d ad d o v e ro , o perchè il p arla re affettuoso è a g uisa del fuoco , il quale non solo più incende, m a più risplende n atu rale che dipinto. E perchè gli era giunto qualche susurro che taluno so sp ettasse intorno alla sincerità della sua credenza, forse p er le opinioni speciali che aveva già tenute nel concilio sotto Paolo III sopra la m ateria del peccato originale e della giustificazione, fece chiam are a sè molti teologi principalissim i, e recitati in loro presenza ad uno ad uno gli articoli della n o stra fede, giurò per quel Dio che tosto dovea giudicarlo, d’averli sem pre creduti senza veruna dubitazione. F u adoperato nella sua cu ra Simone P asqua, genovese, uomo eccellente in varie scienze, m a ra ro nella m ed icin a; m a del tutto tornarono vane le sue diligenze. »
« Così allora il concilio p atì (sono parole di Carlo B o tta ) e con lui la corte di Rom a, anzi tu tta la cristianità una g rand issim a ja ttu ra , essendo passati da questa all’ a ltra vita, 1’ uno dopo 1’ altro, i C ardinali Ercole Gonzaga e Girolamo Seripando. Noi non istarem o a descrivere le loro v i r tù , perchè da ciò che si è detto nelle ca rte p re c e d e n ti, si può acconciam ente fare avviso quanti e quali fossero. Certo nè più dotti, nè più costum ati uomini di loro due adornarono m ai questa um ana ra zza che loda i buoni e segue i tristi. Questo solo diremo , de’ due prelati egregi favellando, e con L utero e Calvino parag on and oli, che ebbero dottrina ed eloquenza uguali a quelle de’ due famosi e re s ia rc h i, m a assai m aggiore vir*ù, assai m aggiore dignità di vita, assai m aggiore pacatezza di anim o; nè in loro mai si vide, nemmeno in m enom a p arte, quel fare disordinato e fazioso, per cui 1’ alem anno e il francese dottore turbarono il mondo, e di sangue e di ruine il riem pirono 1 »
Gli furono celebrati i funerali con gran dissim a pom pa, e il P ad re M archesini recitò il funebre elogio, che fu pubblicato dall’ O ssinger nella B iblioteca A gostiniana e fu sepolto nella chiesa di S.a M aria del suo o rd in e 2. Sulla sua tomba fu posta la seguente epigrafe rip o rtata
1 Ca r l o Bo t t a, S to ria d ’Ita lia , Milano, Borroni e Scotti, voi. I, lib. IX, pag. 576.