H) Orientamento alla qualità
I) Orientamento alla RSI e alla RSP
2.3. Nuovi profili professionali: Energy Manager e CSR Manager
2.3.3. Aspetti peculiari dell’Energy Manager e del CSR Manager
Entrambe queste figure sembrano accomunate da uno stesso destino, infatti le organizzazioni che decidono di avvalersi delle loro competenze considerano spesso la posizione da loro occupata come pro tempore, che quindi se si verificano determinate condizioni non risultano più necessarie. L’Energy Manager, per esempio, quando il mercato energetico risulta stabile, viene visto come una figura sovrabbondante. Questa condizione si registra nonostante esista un preciso obbligo nella nomina di tale figura per le organizzazioni che superano un determinato tetto di consumi energetici. La medesima situazione si può verificare per il CSR Manager. Tale ruolo viene previsto quando si rende necessaria la promozione della sostenibilità con riferimento all’operato svolto da tutte le funzioni che compongono una data struttura e proprio per questo una volta raggiunto tale obiettivo i vantaggi, che potrebbero scaturire dalla esecuzione ulteriore dei suoi compiti, si riducono. Ovviamente questo non riguarda la totalità delle organizzazioni che istituiscono tali funzioni ma è comunque una tendenza riscontrabile e che denota come l’importanza di queste figure non sia ancora stata realmente assimilata.
Da questo primo ambito risulta già una contrapposizione tra queste due figure, in quanto l’Energy Manager raggiunge il picco della sua utilità nel momento in cui si manifesta
spesso, ma in modo erroneo, tale ambito è tra i primi ad essere ridimensionato, situazione che si verifica nell’altro caso, invece, quando siamo di fronte ad un momento di stabilità economica.
Il responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia è un profilo previsto dalla normativa e proprio per questo è stato reso obbligatorio se l’organizzazione consuma una quantità di energia superiore a una determinata soglia, mentre per quanto concerne la figura del CSR Manager la situazione è esattamente opposta, infatti non esiste nessuna legge che li riguardi e da ciò si deduce che l’implementazione di tale ruolo è assolutamente volontario. Su questo punto possiamo fare un parallelo su tali profili e sulla loro numerosità. Ovviamente dobbiamo escludere chi ha effettuato la nomina in quanto obbligato e in questo modo arriviamo a confrontare un valore medio di 500 Energy Manager contro i 327 professionisti che si dedicano alla CSR. Da questo primo accostamento potremo propendere ad attribuire un maggior successo alla prima figura rispetto alla seconda, mentre in realtà se si pensa che il responsabile per l’uso razionale dell’energia è sorto negli anni Ottanta e ha avuto la sua precisa definizione nel 1991 si comprende che sono 22 anni che si conosce questo ruolo professionale. Il CSR Manager invece è una figura più recente, infatti è all’inizio del nuovo millennio che si è iniziato a parlarne, quindi sono all’incirca 13 anni. Se si pensa che nel 2005 i soggetti che operavano in tale settore erano 90 e nel 2012 ben 327, è facile prevedere che, quando raggiungerà il medesimo arco temporale considerato oggi per la figura dell’Energy Manager, gli individui che agiranno seguendo le tematiche sociali e ambientali supereranno le 500 unità.
Grafico 13: confronto livello gerarchico 37% 13,5% 46% 40,5% 16% 45,9% 0% 10% 20% 30% 40% 50% Impiegato Quadro Dirigente
Energy Manager CSR Manager
Fonte: nostra elaborazione
Come è facilmente intuibile dal grafico appena presentato il CSR Manager assume mediamente una posizione molto più elevata rispetto al partner che si dedica alla tematica energetica[129]. Infatti ben quasi il 46% dei responsabili della sostenibilità risulta essere un Dirigente al contrario dell’Energy Manager in cui tale situazione si riscontra solamente nel 16% dei casi.
Questa situazione si riflette molto probabilmente anche sulla differenza che si registra nella retribuzione annuale lorda. Se si considera il responsabile della sostenibilità, questo valore si assesta in media poco oltre i 79 mila euro (79.100 euro) mentre per quanto concerne il responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia, il dato ottenuto è minore e si inquadra in media nella fascia compresa tra i 40 e i 60 mila euro. Se si considera invece una retribuzione maggiore a 100 mila euro si nota che questa è superata dal 2% dei soggetti che si occupano della tematica energetica mentre, al contrario, da ben il 32,3% nel caso in cui si concentra sull’analisi di coloro che operano nel settore sociale ed ambientale.
Per quanto riguarda il budget a disposizione, che quindi viene gestito direttamente dal CSR Manager, il suo valore si aggira intorno ai 200 mila euro, anche se, come specificato nella ricerca La professione della CSR in Italia sono state individuate anche dei casi in cui il valore raggiungeva la ragguardevole cifra di 950 mila euro. Purtroppo
non è possibile effettuare un diretto parallelo, tra le due figure descritte, su questo argomento, per due motivazioni:
1. per quanto riguarda il budget destinato alle pratiche di CSR abbiamo il valore assoluto ma non il commento qualitativo da parte di chi lo gestisce e per questo non sappiamo nulla sulla effettiva adeguatezza o meno di tale somma per lo svolgimento delle mansioni a lui assegnate;
2. per quanto concerne, invece, il budget ottenuto dall’Energy Manager si presenta il problema esattamente opposto, infatti abbiamo a disposizione i commenti dei responsabili senza però avere a disposizione un numero che potesse permettere un immediato confronto [vedi Grafico 3].
È anche vero che il 62% degli Energy Manager intervistati dichiara di non avere a disposizione un proprio budget e questa situazione è difficilmente ipotizzabile se si estende l’analisi ai loro colleghi. Quindi, seppur con le dovute cautele, si potrebbe propendere ad affermare che il responsabile della sostenibilità ha un margine di manovra e di autonomia più ampio rispetto al responsabile per la conservazione e l’uso razionale dell’energia, almeno considerando come variabile discriminante il budget. In conclusione sembrerebbe quasi che una figura nata in modo assolutamente spontaneo come quella del CSR Manager abbia avuto un maggior successo e gradimento rispetto all’Energy Manager, il cui profilo invece è stato espressamente previsto dalla normativa. Queste considerazioni potrebbero portare a sostenere la teoria che forse la reale chiave di svolta, che ha garantito questo risultato, derivi proprio dalla semplice volontarietà di una iniziativa più che dall’obbligo imposto dalle istituzioni per ottenere il medesimo risultato.
CAPITOLO TRE
RSI E RSP: LA CRESCENTE IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE
3.1. Premessa
Il lavoro che è svolto dalle nuove figure professionali appena descritte, cioè il CSR Manager e l’Energy Manager, non può restare confinato all’interno della organizzazione. Infatti con le moderne evoluzioni, soprattutto nel campo dei mass media, sono finiti i tempi in cui le informazioni riguardanti l’attività e le iniziative intraprese da una impresa, sia essa pubblica che privata, restavano circoscritte al loro interno mentre al di fuori di tale ambito si cercava di far trapelare il meno possibile. Oggi tutti gli stakeholder desiderano, o forse è meglio dire vogliono, avere a disposizione tutte le notizie rilevanti che riguardano una determinata struttura economica e/o politica, per poter decidere quale sia il corretto comportamento da tenere nei suoi confronti.
Proprio per questo motivo le imprese e gli enti devono dotarsi di sistemi di comunicazione più immediati, come può essere, per esempio, l’aggiornamento costante della propria home page personale, con la quale si ha la possibilità di interagire con tutti i portatori di interesse attraverso la condivisione di annunci e di documenti che contengono informazioni utili.
Il bisogno derivante dalla comunicazione richiama alla mente, in modo abbastanza immediato, la necessità di garantire ai terzi un certo livello di trasparenza su cui basare ogni qualsiasi relazione futura. E questo vale in ugual modo sia nell’ambito privato che nell’ambito pubblico. La sola ed unica divulgazione del risultato economico, finanziario e patrimoniale non è da considerare, in nessun caso, più sufficiente per soddisfare la crescente richiesta di informazioni da parte dei portatori di interesse.
Attualmente, infatti, si riscontra, in aggiunta a tali dati (che è bene precisare devono essere comunque esposti per rispettare la vigente legislazione e non andare incontro a pesanti sanzioni), la precisa e chiara richiesta di sapere anche come tali risultati sono stati raggiunti (in questo ambito invece si esula dagli obblighi divulgativi imposti dalla normativa italiana e si entra nel campo della semplice volontarietà). Ciò è
ottenimento di tali valori, che devono essere sempre connessi al rispetto di “vincoli” ambientali e sociali.
Questo cambio di mentalità comporta l’esigenza di un adeguamento da parte delle imprese e delle pubbliche amministrazioni per poter continuare ad avere la giusta legittimazione da parte della società civile, fattore necessario per essere in grado di proseguire ad operare in modo credibile sul mercato. Essa si deve registrare innanzitutto all’interno della organizzazione dove saranno i dipendenti stessi a volere che l’immagine data all’ambiente esterno di tale struttura sia positiva e quasi “un vanto” per loro che hanno la possibilità di lavorarci.
Tali cambiamenti devono però riguardare anche l’introduzione di nuovi strumenti che consentano di poter analizzare a tutto campo l’impresa o l’ente che decide di aprirsi nei confronti dei propri stakeholder.
Infatti considerando solamente il bilancio tradizionale si ottiene un quadro generale ormai soltanto incompleto, nel quale le lacune informative sono ad oggi in continuo aumento. Esattamente per questo motivo tale documento, sempre di più, si dimostra inefficace a mostrare chiaramente e correttamente la realtà dei fatti di gestione posti in essere dai diversi soggetti economici. I vari limiti presenti nella struttura del bilancio d’esercizio si sono ampliati con il passare degli anni. Soprattutto da quando si è registrata l’affermazione della maggiore importanza degli aspetti finanziari sugli altri e, di conseguenza, si è assegnato un più grande peso a tale attività rispetto, per esempio, a quella commerciale e/o industriale.
La possibilità di poter negoziare immediatamente valori che in pratica si realizzeranno solo in futuro, e che quindi risultano essere per loro natura intrinseca incerti, favorisce la perdita di uno dei fondamentali cardini su cui si basa l’intero impianto del bilancio d’esercizio tradizionale che è proprio il principio di competenza economica[130]
.
130 Nell’articolo 2423-bis del codice civile, denominato principi di redazione del bilancio, nel primo
comma sono elencati i seguenti principi da osservare per una corretta redazione del bilancio
la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato;
si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio;
si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento;
si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo;
gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente; i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro.
“Il bilancio che contabilizzava i “fatti certi del passato” finisce per contabilizzare i
“fatti incerti del futuro”. Metaforicamente si potrebbe affermare che da “specchietto
retrovisore” diviene “cannocchiale”, con rischi facilmente intuibili”[131]
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Proprio per questo non è più sufficiente fermarsi alla comunicazione dei soli dati richiesti dalla normativa vigente ma si deve in ogni caso andare oltre, anche attraverso la misurazione e il rendere pubblicamente noti i risultati raggiunti in campo ambientale e sociale.
Per raggiungere questo obiettivo, che allo stato attuale possiamo iniziare a considerare come primario per le strategie che le imprese e gli enti devono attuare in futuro, risulta utile adoperare degli strumenti che consentono di rendere visibili, a favore di chiunque ne abbia un interesse diretto o anche unicamente indiretto, i valori realizzati dagli stessi in tali ambiti. I suddetti strumenti sono: il bilancio ambientale[132] e il bilancio sociale. Anche l’Università di Pisa ha sentito l’esigenza di attuare un processo interno che ha portato alla produzione del primo bilancio sociale seguendo una sempre più diffusa volontà di aprirsi all’esterno per poter mostrare le varie sfaccettature che contribuiscono a costituire la vita universitaria. L’attività svolta per arrivare alla redazione di tale documento sarà presentata alla fine di questo capitolo.