• Non ci sono risultati.

I modelli di “integrazione”: dall’assimilazione, alla multiculturalità, all’interculturalità

2.1 Assimilazione: il valore dell’uguaglianza

Il modello dell’assimilazione ha le sue origini nella Francia coloniale, che nel diciannovesimo secolo, intendeva annettere le colonie in Africa alla madrepatria attraverso i processi di colonizzazione ed acculturazione87, per poi estendere nell’Occidente il mito della «civilisation française»88 capace per presunzione di superiorità o di eccellenza, di poter innalzare le altre società al valore dell’eguaglianza, fratellanza, universalità.

La “civiltà francese” poteva riconoscersi solo nella “civiltà europea” per potersi distinguere da “tutti gli altri popoli colonizzati”, che per assumere i connotati di “civiltà” dovevano rinunciare a tutti i costi alle proprie “barbarie”. Solo così essi

86 Melucci A (2000). op. cit., p. 53.

87 Il concetto di acculturazione si riferisce all’apprendimento e alla modificazione dei

comportamenti di un individuo quando entra a contatto con un altro individuo o gruppo di altra appartenenza culturale.

88 Costantini D. (2006). Una malattia europea. Il “nuovo discorso coloniale” francese e i suoi

potevano essere “illuminati dalla civiltà francese, occidentale”, detentrice dei modelli culturali di riferimento per tutta l’umanità.89 Quale maggior privilegio per “il selvaggio”, “il barbaro”, “l’inferiore”, dell’essere cittadini francesi, dell’Occidente!? D’altronde «il fardello dell’uomo bianco»90 era quello di promuovere il “progresso” delle società primitive” e dai colonizzati ci si aspettava che fossero ansiosi di adeguarsi, conformarsi, “di assimilarsi” ai modelli occidentali.91Scrive D. Defoe nel romanzo “Robinson Crusoe”:

« (…) he had all the sweetness and softness o fan European (...) His hair was long and black, not curl’d like wool (...) The colour of his skin was not quite black, but very tawny; his skin was not of an ugly yellow nauseous tawny, as the Brazilians, and Virgilians, and other Natives of America are; but of a bright kind of a dun olive colour (…) his Nose small, not flat like the Negroes..Teeth well set, and white as Ivory»92.

La civiltà francese, europea, occidentale, per affermarsi non poteva che unire il concetto di assimilazione con quello di integrazione, dando per scontata l’integrazione del colonizzato ( e oggi dell’immigrato) attraverso la sua fusione nel sistema dominante. Eppure i concetti di assimilazione e di integrazione non hanno necessariamente lo stesso significato, anche se entrambi tendono a non lasciare spazi di espressione alla diversità. Il concetto di assimilazione deriva dal latino «assimilatio», rendere simile, viene definito come: «un processo di fusione che spinge individui e gruppi di una determinata cultura a “perdere” la propria cultura per assumere completamente quella della società dominante».93

89 In Francia, nel millesettecentottantanove è stata promulgata la Dichiarazione universale dei

diritti dell’uomo e del cittadino il primo documento a livello europeo a stabilire che gli uomini nascono liberi e sono legati tra di essi sulla base del principio di eguaglianza e fratellanza. Cfr

Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen de 1789. In: http://www.assemblee-

nationale.fr/histoire/dudh/1789.asp

90 Questa espressione si riferisce alla missione dell’uomo bianco di portare la civiltà agli altri

popoli. E’ stata coniata da Kipling, l’autore del Libro della giungla. Kipling (1899). The White

Man’s Burden, poesia pubblicata online su: http://www.online-literature.com/keats/922/

91 Mantovani G. (2008). Intercultura e mediazione. Teorie ed esperienze, Roma, Carocci

Editore, p. 26.

92 Defoe D. (1965). Robinson Crusoe, London, Penguin Classics, pp. 208-209.

93 Mantovani G. (2009). Integrazione. Che cosa significa? Psicologia contemporanea, n. 212, p.

Il concetto di integrazione, anche se meno radicale dell’assimilazione in quanto inteso come processo di adattamento, senza necessariamente perdere completamente le proprie appartenenze, si fonda comunque sul pregiudizio secondo cui le culture di altre società sono “primitive”, meno evolute, meno civili, incapaci di “adattarsi”.94 Un pregiudizio che si serve di una visione etnocentrica del mondo, fortemente presente in tutte le culture che si riconoscono al di sopra di tutte le altre. Basti far riferimento ad alcuni noti scrittori letterari e filosofi europei, per far emergere come questa tendenza di “affermazione della superiorità culturale” sia fortemente presente:

«During the long time that Friday had now been with me, and that he began to speak to me and understand me, I was not wanting to lay a foundation of religious knowledge in his mind (…). From these things I began to instruct him in the knowledge of the true God..(..) I endeavoured to clear up his fraud to my man Friday, and told him that the pretence of their old men going up the mountains to say O to their god Benamuckee was a cheat»95.

«(…) les cranes sont vastes, plus, en thèse gènèral, les individus auxquels apparposèe est donc celle-ci: Le dèveloppement du cràne est-il ègal chez toutes les catègories humaines? (…) Ainsi, les nations europèeennes, par l’èctat de leurs sciences et la nettetè de leur civilisation, ont les rapports les plus èvidents avec l’etat lumineux, et, tandis que les noirs dorment dans les tènèbres de l’ignorance, les Chinois vivent dans un demi-jour qui leur donne une existence sociale incomplète, cependant puissante. Pour les Peaux- Rouges, disparais sant peu à peu de ce monde, où trouver une plus belle image de leur sort que le soleil qui se couche!»96

Attraverso l’etnocentrismo97, la società dominante mette al centro la propria visione del mondo per categorizzare e valutare tutte le altre, sulla base del criterio di

94 Mantovani G. (2008). Intercultura e mediazione. Teorie ed esperienze, Roma, cit. p. 19. 95 Defoe D. (1965). Robinson Crusoe, London Penguin Classics, pp. 218-219.

96 Gobineau (1884), Essai sur l’inègalitè des races humaines, Paris, Firmin-Didot et C.ie, p.

114.

97 Il termine “etnocentrismo” venne coniato per la prima volta dal sociologo ed economista

Sumner W.G per indicare la tendenza a giudicare i membri, la cultura, l’organizzazione, la storia, i valori di un determinato individuo o gruppo sociale ritenuto “estraneo”, sulla base dei

vicinanza/lontananza, che fa sì che “l’Altro” venga visto come più o meno “diverso”, “gestibile”, “integrabile”, “assimilabile”, “non integrabile”. Si tratta di una visione che mette al centro il pregiudizio, guardando alle culture come entità statiche, immutabili, incapaci di relazionarsi alla pari. “Razze”, etnie, “nazionalità buone”, “nazionalità cattive e pericolose”98, diseguali,99 che secondo la società dominante devono compiere “sforzi più o meno elevati di acculturazione”, per ottenere “il privilegio” di essere completamente assimilate.