• Non ci sono risultati.

I modelli di “integrazione”: dall’assimilazione, alla multiculturalità, all’interculturalità

2.2 I limiti dell’assimilazionismo e i suoi risch

Il modello dell’assimilazionismo non può che essere ricco di contraddizioni, dal momento in cui la violenta spinta all’acculturazione, ovvero all’apprendimento dei codici culturali emergenti, rischia di sfociare in negazione o cancellazione dell’Altro, percepito da un punto di vista etnocentrico come “naturalmente inferiore”, passivo, incapace di portare qualsiasi contributo alla società, “colui che non appartiene”, “colui che non esiste, se non riconosciuto con meno valore”.

La scala per l’assimilazione una volta intrapresa, lascia nel colonizzato o nell’immigrato un’indelebile ferita fatta di annullamenti e negazioni anche irreversibili. Scrive Fanon propri sistemi culturali ed educativi di riferimento. Con la tendenza di attribuire alla propria cultura un valore superiore rispetto alle altre. Cfr. Istituto Giovanni Treccani ( a cura di) (2010),

Enciclopedia Italiana, Milano, Bestetti & Tumminelli, voce: etnocentrismo. L’etnocentrismo,

aggiunge Mantovani è il pensare che il proprio mondo culturale sia l’unico, il più importante, quello con maggior valore, e quindi superiore a tutti gli altri. Cfr. Mantovani G. (2008). Comunicazione interculturale. Psicologia Contemporanea, n. 207, p. 8.

98 La Francia di ieri e di oggi, nelle sue politiche migratorie tende a distinguere tra alcuni

“immigrati desiderabili” e altri “non desiderabili”, sulla base del criterio etnico, che fa sì che si venga a creare una “gerarchia” tra le popolazioni immigrate. Tale concetto è stato ripreso dal presidente del consiglio francese N. Sarkozy, che durante il suo mandato (tra il duemilasette e il duemiladodici), ha riproposto la politica dell’”immigration choise”. Cfr. Costantini D. (2010), Le discriminazioni contro gli immigrati di origini coloniali nella Francia di ieri e di oggi, in Basso P. (a cura di), Razzismo di Stato. Stati Uniti, Europa, Italia, Milano, cit., p. 276.

La distinzione tra “immigrati buoni” e “cattivi” è parte anche dei discorsi pubblici sull’immigrazione in Italia, tant’è che si è venuta a creare una rappresentazione gerarchica delle nazionalità immigrate sulla base del criterio etnico e culturale. Per un ulteriore approfondimento si veda: Basso P. (a cura di) (2010). Razzismo di Stato. Stati Uniti, Europa, Italia, Milano, cit., p. 395.

99 Rispetto alla concezione sulla disuguaglianza delle razze e la loro rappresentazione

gerarchica, uno dei testi più rappresentativi è quello di Gobineau sul saggio dell’ineguaglianza delle razze umane. Cfr. Gobineau (1884) op.cit.

nel suo romanzo “Pelle nera maschere bianche”, rispetto al desiderio profondo di “essere l’Altro”, prendendo come riferimento la diseguale condizione del “nero” e del “bianco”: «Il nero cessa di comportarsi come individuo azionale. Lo scopo della sua azione sarà l’Altro (sotto forma del bianco), perché solo l’Altro può valorizzarlo»100. E così che pur di essere accettato il colonizzato o l’immigrato cercherà di “nascondere” le proprie appartenenze, se non addirittura negarle, anche se questa costante violenza senza alcun pieno riconoscimento da parte del colonizzato o dalla società dominante, farà sì che egli stesso si renda conto di «un’assimilazione impossibile». Infatti, scrive Memmi: «per essere assimilato, non basta che (il colonizzato o l’immigrato101) si congedi dal gruppo, bisogna che entri in un altro: e qui incontra il rifiuto del colonizzatore (e della società dominante)»102. D’altronde, come afferma Costantini «la sottomissione non basta al colonizzato per guadagnarsi l’agognata assimilazione»103.

Se il colonizzatore o la società dominante hanno assicurato l’integrazione completa del colonizzato o dell’immigrato, non necessariamente questa viene garantita, perché proprio la condizione di illusione ed incertezza, si rivela essere un’arma vincente di sottomissione dell’Altro, anche se destinata prima o poi ad essere messa in crisi. La scoperta della “falsa promessa” non può che produrre sentimenti di rabbia, frustrazione, da parte di chi “è stato ingannato”, che per ripristinare una qualche forma di “giustizia sociale” non può che ricorrere alla violenza. Ecco perché autori come Ambrosini, Molina, Catherine Wihtol de Wenden,104 si affrettano a collegare il concetto di

assimilazione con le problematiche delle seconde generazioni, come quella dei maghrebini in Francia, che non possono che “vivere una crisi d' identità” o pretendere il riconoscimento della “origini negate”, anche attraverso il ricorso alla violenza.

Se le prime generazioni sono riuscite ad “assimilarsi”, ad “essere integrate”, la domande che sorge spontanea è “come mai questo non sia avvenuto per le seconde generazioni”, che manifestano un alto insuccesso scolastico, alta disoccupazione e uno scarso ed ostile

100 Fanon F. (1996). Pelle nera maschere bianche: il nero e l’altro, trad. it. a cura di Sears M.,

Milano, Marco Tropea Editore, p. 134.

101 L’aggiunta è mia.

102 Memmi A. (1979). Ritratto del colonizzato e del colonizzatore, trad. it. a cura di Angeloni

Accatino O., Napoli, Liguori editore, p. 104.

103 Costantini. (2006), op. cit., p. 253.

104 Ambrosini M., Molina S. (2004). Seconde generazioni. Un’introduzione al futuro

“inserimento sociale”, come nel caso delle seconde generazioni di maghrebini in Francia.105 Forse, è proprio l’eterna messa in dubbio alla lealtà francese e percezione di inferiorità alla stessa che ha fatto sì che le seconde generazioni di maghrebini in Francia venissero continuamente discriminante e riconosciute come “perennemente estranee”, “non completamente assimilabili”. Una condizione che Catherine Withol de Wenden cerca di cogliere come: «una generazione sovente senza radici, senza punti di riferimento, senza speranza, certa tuttavia di non voler ricadere nell’identica condizione dei genitori»106.

Il modello assimilazionista nega in tutti i modi una possibilità di comunicazione paritaria tra culture, riproduce i rapporti di forza dominanti per avvalersi di una visione etnocentrica del mondo, nemica di ogni altra “Weltanschauung”107 e differenza, si rivela essere incapace di rispondere alle richieste di riconoscimento delle culture nella società plurietnica.