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I modelli di “integrazione”: dall’assimilazione, alla multiculturalità, all’interculturalità

2.5 Interculturalità: culture in gioco

Il passaggio dal multiculturalismo all’interculturalità richiede il respingimento del presupposto della concezione multiculturale secondo cui la cultura è una realtà immutabile.118 L’idea dell’omogeneità delle culture è fortemente messa in crisi anche perché ignora le sottoculture e non tiene conto dell’opzione di assunzione di più ruoli ed identità. Identità che nascono dalla relazione con l’Altro,119 “colui che con la sua presenza ci convoca, ci interroga, ci chiede di definirci, ci influenza, ci trasforma, attraversa i nostri confini”.

L’interculturalità deve quindi tener conto della sua dimensione di “inter”, ciò che indica relazione, scambio, scontro120, e reciprocità. Per poter esistere richiede uno sforzo, una disponibilità nel “tendere verso l’altro”, perché solo il contatto con l’Altro può facilitare la decostruzione del “pregiudizio”, “il sentimento di paura” e di “estraneità”. Richiede il

116 Kundnani A. (2010), Gran Bretagna: l’integrazionismo, la politica del razzismo anti-

musulmano, in Basso P. (a cura di), Razzismo di Stato. Stati Uniti, Europa, Italia, Milano, cit., p. 259.

117 Cfr. Sartori G. (2000), op. cit., p. 69.

118Mantovani G. (2008). Intercultura e mediazione. Teorie ed esperienze, Roma, cit. p. 20. 119 Ivi, p. 22.

“saper riconoscere i propri limiti”, i propri atteggiamenti, simboli, miti, cogliere l’incontro con l’Altro come una chance per la riscoperta di un’etica e di una responsabilità umana.121 Essa non può essere che un’opportunità per “valicare i confini”, sempre più permeabili e non può fare a meno anche di liberarsi della visione etnocentrica del mondo che pone la società di riferimento al centro, con il rischio di respingere o sottovalutare le altre. Si tratta di far sì che le culture «entrino in gioco»122, si mostrino disponibili ad aprirsi a processi di continuità e discontinuità, anche se l’incontro con l’altro non è sempre scontato ed è fortemente impregnato della componente emotiva. Come afferma Mantovani: «I contatti interculturali rimettono in questione certezze, pongono interrogativi sui sistemi di rappresentazioni, di valori, sulle pratiche, sui bisogni, sulle aspirazioni, e continuano a innestare dei movimenti dialettici di parziali destrutturazioni e ricomposizioni verso nuovi traguardi».123 Occorre fare uno

sforzo per “decentrare se stessi”, ampliare gli orizzonti, cogliere le sfide dell’età globale, adottare “mappe pluricentriche del mondo”, liberarsi dell’arroganza etnocentrica, andare oltre il mero relativismo culturale, decostruire i pregiudizi, promuovere una comunicazione ed un’educazione interculturale, «mettersi in gioco».124. La società post-moderna si caratterizza per essere complessa, crocevia di influenze culturali e fenomeni sociali interdipendenti come la globalizzazione, la trasformazione del ruolo della donna, della famiglia, della società, dei media che contribuiscono a creare un “mondo virtuale” parallelo a quello reale, in cui tutto può essere il contrario di tutto.

Pensare l’interculturalità significa attraversare le culture, sforzarsi di andare oltre ad un reciproco riconoscimento, saper cogliere le innovazioni dei cambiamenti sociali che richiedono continue ridefinizioni del concetto di cultura. La cultura che si costruisce attraverso il logos, la messa in relazione con altre culture, l’immaginazione, la capacità di saper cogliere le polisemanticità, andando oltre le rappresentazioni che vengono date per scontate sull’altro, ripensare la storia e le relazioni interetniche.

121 Per una riscoperta della responsabilità umana occorre, secondo l’autrice Pulcini Elena una

riscoperta della “paura di perdita del mondo”. Cfr. Pulcini E. (2009), La cura del mondo. Paura

e responsabilità nell’ètà globale, Torino, Bollati Boringhieri, p. 14.

122 Melucci A. (2000), op. cit. , p. 14. 123 Rizzi F. (1992), op. cit., p. 40.

124 Mantovani G. (2005). Non siamo al centro del mondo. Quattro tappe per una educazione

La costruzione di una società interculturale è ardua, richiede capacità complesse, come le capacità di narrazione, di mediazione. Richiede il “lasciarsi interrogare”, il «riconoscere nell’altro un interlocutore attivo e responsabile»125, la rinegoziazione continua dei ruoli, di spazi attraverso uno sforzo di decentramento dal proprio universo di valori, rappresentazioni ed esperienze. Queste consentono di saper cogliere nuove opportunità, chance, che vanno oltre l’individualismo e il comunitarismo,126 intese come affermazione del sé individuale o del “noi” che automaticamente esclude “gli altri”. L’interculturalità consente di pensare scenari possibili, a cogliere la molteplicità del sistema dei segni, di passare da un sistema di riferimento all’altro, di abituarsi a decifrare e ad utilizzare una pluralità di codici, visto che è proprio l’interculturalità a consentire la messa in crisi alla spinta omologante di tutte le culture.127 Così come consente allo stesso tempo la riscoperta dell’alterità128, e di poter vedere la dimensione

del conflitto per la prima volta come un valore, “terreno di scoperte ed apprendimenti”. Consente anche di ripristinare una dimensione consapevole ed interattiva tra soggetti nella dimensione locale e globale, impegnati a mettere a disposizione idee e sentimenti per la costruzione di un cambiamento che riguarda entrambi129, quello di una «cultura che com-prende»130.

Uno di questi cambiamenti è quello di imparare a vedere l’altro oltre la sua mera riduzione a “differenza”,”estraneo”, “oggetto”, al sistema fisso delle appartenenze, cercando di andare oltre l’esteriorità di come si presentano le forme, le abitudini di pensiero e le convenzioni comuni che tendono a semplificare, ridurre, essenzializzare chi viene visto dai nostri occhi.131 Occorre essere consapevoli che anche noi siamo costantemente visti agli occhi dell’”Altro” che ci richiama ad “entrare in contatto”, in interazione, all’interno di un contesto che per essere compreso deve essere necessariamente considerato. Così come la capacità di saper cogliere gli aspetti della

125 Rizzi F. (1992), op. cit., p. 38.

126 Secondo l’autrice Pulcini Elena vi sarebbero due patologie dell’età globale, l’individualismo

illimiato e il comunitarismo endogamico. Cfr. Pulcini E. (2009), op. cit., pp. 31-97.

127 Lafont P., Pariat M. (2012), Parcours de formation universitaire et démarche interculturelle,

in Pedagogia Oggi-Intercultura e cittadinanza, vol. 1, p. 1.

128 Rizzi F. (1992), op. cit., p. 58.

129 Padoan I. (2012), Pensare l’intercultura, in Pedagogia Oggi- Intercultura e cittadinanza, vol.

1, p. 10.

130 Ivi p. 12. 131 Ivi, p. 14.

comunicazione non verbale, oltre a quella verbale,132 di saper connette, mediare, di saper costruire una comunicazione interculturale133 capace di destabilizzare le cornici delle asimmetrie di potere tra i soggetti, e le strutture che possono entrare in conflitto. Pensare l’interculturalità è possibile se nelle strutture della società si ristabiliscono condizioni di maggiori parità tra autoctoni ed immigrati, se le agenzie di socializzazione, come la scuola fanno propria la trasmissione di valori incentrati sulla dimensione dell’”inter”, anche all’interno di programmi scolastici che abbandonino la visione eurocentrica del mondo a partire dalle percezioni.

Oggi più che mai è necessario riscrivere la storia delle relazioni interetniche,134 ripensare la formazione in un’ottica che consenta lo scambio tra le culture, lo sviluppo della creatività, adottare una formazione interculturale che vada oltre i confini nazionali, comunitari, etnici, che sappia ribaltare il modo di vedere le cose e di costruire la dimensione del futuro.

Adottare una prospettiva interculturale significa riscoprire la dimensione umana, il sistema delle interdipendenze, delle connessioni, saper fare comparazioni a livello internazionale, saper comprendere l’importanza dei contesti e dell’”essere nelle diverse situazioni”, saper cogliere le continuità e le rotture della società dell’oggi, che sono state storicamente determinate da relazioni disuguali tra società e culture.135 Occorre ristabilire un equilibrio capace di ridare dignità alle culture e di consentirne la “messa in contatto”, la costruzione condivisa dei processi e dei mutamenti sociali che le riguardano. Un equilibrio che è possibile attraverso il confronto, la negoziazione, la

132 Lo psicologo e filosofo Paul Watzlawick ha condotto moltissimi studi sulla comunicazione,

tra questi sono particolarmente significativi i cinque fondamentali assiomi della comunicazione umana, ovvero: l’impossibilità di non comunicare, i livelli di contenuto e di relazione nella comunicazione, la punteggiatura nella sequenza degli eventi, la comunicazione numerica ed analogica, l’interazione complementare e simmetrica. Cfr. Watzlawick, Janet Helmick B. J., Jackson D. D. (2008), Pragmatica della comunicazione umana : studio dei modelli interattivi,

delle patologie e dei paradossi, trad. it. a cura di Ferretti M., Roma, Astrolabio.

133 La comunicazione interculturale richiede capacità di saper cogliere il modo che l’”Altro”

esperisce la sua lingua, cultura, il suo modo di esprimersi e di comunicare, tenendo presente l’influenza dei forti tratti culturali di appartenenza. Cfr. Villano P., Riccio B. (2008), Culture e

mediazioni, Bologna, Il Mulino, p. 68.

134 Per una piacevole lettura sulle opere più importanti dei critici post-coloniali e sostenitori

dell’interculturalità, Cfr. Gnisci A. (2004), Biblioteca intercultuale: Via della Decolonizzazione

europea, n. 2, Roma, Odradek.

135 Lafont P., Pariat M. (2012), in Pedagogia Oggi-Intercultura e cittadinanza, vol. 1, op. cit.,

mediazione, la ricerca del compromesso.136 Non significa affatto sommare le diversità o i diversi gruppi culturali, al contrario favorire un “gioco dinamico” delle culture, la creazione di un bricolage, reinterrogare il sistema delle appartenenze, l’identità, favorire l’immaginazione, la creatività e partire da lì per la costruzione di un progetto il più possibile condiviso, che vada oltre il mero riduzionismo culturale.137

All’idea dell’identità “unica” ed indiscutibile, va sostituita quella dell’ “identità in relazione”, così come le categorie a priori che vanno sostituite con “la messa in scena delle personalità complesse degli attori sociali che la compongono”. Perché una cultura può essere raccontata, descritta, ma per essere compresa a fondo deve “dare la possibilità di essere attraversata”, anche solo per un istante in cui alcuni suoi significati possono essere svelati. Come ci dice Appadurai occorre comprendere la cultura come sguardo capace di attraversare i confini e finestra sul mondo.138