• Non ci sono risultati.

Migrazioni femminili e mediatrici culturali in Italia e nel Friuli Venezia Giulia

5.1 L’immigrazione femminile in Italia

Le migrazioni femminili in Italia hanno superato quelle maschili, tant’è che circa il 51,8% di immigrati sul territorio nazionale è composto da donne. Le prime negli anni sessanta - ottanta sono state le cosiddette pioniere della migrazione femminile in Italia, provenienti da Eritrea, Etiopia, Somalia, Capoverde, Filippine, America Latina, sono giunte per canali regolari e hanno trovato un’occupazione lavorativa, sono state per lo più invisibili negli studi e nelle statistiche sulle migrazioni fino agli anni novanta. Nonostante l’aumento delle donne immigrate lavoratrici l’attenzione è stata posta sullo stereotipo della “donna serva” o “prostituta, (soprattutto per la “donna con la pelle scura205”)”, oppure “che segue il marito” (soprattutto per le donne musulmane206), piuttosto che sul loro ruolo di protagoniste nella migrazione. Solo recentemente gli studi sulle migrazioni in Italia si sono focalizzati sulla dimensione di genere, tenendo conto non solo delle donne ricongiunte ai loro familiari, ma di quelle che fungono da “apripista” nella migrazione, diventando anche le principali bread winner a sostegno di tutto il nucleo familiare. Sono per lo più donne provenienti dall’Est Europa (la maggior

205 Il termine “donna di colore” non sembra essere corretto dal momento in cui è stato “il

Bianco” a definire sé stesso “senza un colore” e a “definire i colori altrui”. Per evocare nel modo immediato la percezione della differenza etnica, preferisco ricorrere a termini come “pelle scura”, anche se nemmeno questo risulta essere del tutto corretto, dal momento che il mio modo di intendere la pelle scura, può non essere condiviso da altri che appartengono ad un’etnia diversa dalla mia (europea). Il colore della pelle oggi incide fortemente in tutti gli aspetti della vita quotidiana, per cui sarebbe assurdo negare o “rendere invisibile” questo aspetto.

206 La rappresentazione prevalente nei media e nella società occidentale sulla donna musulmana

è secondo Daniela Conte, ricercatrice presso la Luiss Guildo Carli nel campo dei mass-media nel mondo arabo legata a visioni: 1. Quello di una donna immigrata in Italia vittima di abusi che ha bisogno di uscire dalla sua condizione di sottomissione, 2. Una donna che abbraccia la visione maschilista del mondo e che non vuole essere emancipata, 3. Una donna che vive tutto in funzione del matrimonio. Rappresentazioni fuorvianti che non tengono conto né della personalità delle donne musulmane, né dell’attuale messa in discussione dei modelli femminili tradizionali soprattutto nel mondo arabo-musulmano. Conte D. (2009), Stereotipi forzati, Conferenza di Doha sulle donne e i media. In: http://www.resetdoc.org/story/00000001455

parte di nazionalità Ucraina, Moldavia) seguite poi dall’America Latina (Perù, Ecuador), la maggior parte impiegate nel settore domestico e di cura. Nell’immaginario comune della popolazione italiana e dei media, le donne immigrate sono quasi esclusivamente colf, “badanti”, vista anche la crescente preoccupazione per l’invecchiamento della popolazione autoctona, la riduzione dei servizi di welfare all’aumento della domanda di cura, soprattutto nelle Regioni del Nord Italia. Eppure si tratta di stereotipi fortemente negativi, che dipingono soprattutto le donne dell’Est Europa come fredde, calcolatrici.207 In realtà le donne immigrate in Italia, soprattutto quelle provenienti dall’Est Europa ad avere un titolo di studio medio - alto, un’elevata esperienza professionale nel Paese d’origine, che viene però del tutto “azzerata208”, “declassata” per il parziale o totale non riconoscimento del titolo di studio, attraverso il sotto-inquadramento lavorativo sulla base della tipologia di permesso di soggiorno, la discriminazione di genere, l’appartenenza etnica e nazionale. Infatti, scrive la sociologa Chiaretti che: «Non è, infatti, una questione di genere se le immigrate dal Marocco, ad esempio, non sono selezionate per il lavoro domestico e di cura, se le filippine sono preferite per il lavoro domestico e non per quello di cura, se le donne emigrate dai paesi dell’est sono ricercate e selezionate alla fonte per essere destinate al lavoro di cura degli anziani. Il colore della pelle, l’origine europea, la religione cattolica sono fattori di stratificazione importanti anche se non le preservano del tutto da sottili discriminazioni e razzializzazioni, che le accomunano a tutti gli immigrati».209 Fattori che incidono anche sulla loro possibilità di “integrazione sociale”, che le rendono particolarmente esposte al rischio di una doppia discriminazione, quella di genere e quella etnica. Una discriminazione che non risparmia nemmeno le donne immigrate altamente specializzate, come il personale di cura ospedaliero o le mediatrici culturali. Eppure le donne immigrate hanno un importantissimo ruolo nella società italiana, sia per quanto riguarda la nicchia del mercato di lavoro di cura, che nel contribuire ad innalzare attraverso sia con un’età più giovane, che un tasso di fecondità più elevato, il saldo della

207 Basso P. (a cura di) (2010). Razzismo di Stato. Stati Uniti, Europa, Italia, Milano, cit. p. 402. 208 Scriveva Sayad che l’immigrato esiste per il Paese di immigrazione dal momento in cui vi

arriva, la sua storia, la sua esperienza prima dell’emigrazione, non esiste. Invece, bisognerebbe considerare le migrazioni come “fatto sociale totale”, che deve necessariamente tener conto della “vita precedente” dell’immigrato. Sayad A. (2002), op. cit.

209 Chiaretti G. (2007). La catena globale del lavoro di cura, in Corradi L, Perocco F (a cura di),

popolazione attiva in Italia. Nonostante questo attraverso i mass-media, la politica, il mercato, la distanza economica e sociale, tra le donne autoctone e le donne immigrate aumenta, con l’aumentare degli stereotipi che vedono la donna immigrata come “estremamente distante ai valori occidentali”, che vogliono la donna “libera, svestita, emancipata, di successo,”.210