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L'astrazione (interpretazione estensiva): caso Wilkinson v Dowton (il principio di responsabilità); caso Donoughe v Stevenson

1. Legal reasoning:

1.2 L'astrazione (interpretazione estensiva): caso Wilkinson v Dowton (il principio di responsabilità); caso Donoughe v Stevenson

Nel momento in cui il giudice abbia dinanzi il problema di estrarre da una ratio decidendi una legal rule da applicare al nuovo caso concreto, può servirsi del procedimento di astrazione. Può anche darsi che la regula iuris detti meno di

1 Cit. Sir. C. Allen

2 Lord Wright afferma: “ a good judge is one who is the master, not the slave of the cases”. 3 Felice è l’espressione dello Stone, che considera la pregnante attività ermeneutico-

elaborativa del giudice di common law “more an art than a scince”: più un’arte che una tecnica.

quanto il senso comune richiederebbe, così che il giudice successivo può senz’altro procedere ad una sua estensione, eliminando gli ostacoli superflui che inutilmente vincolano la sua originaria impostazione.

Prima di vedere come l’estensione della norma viene realizzata dal giudice in via di astrazione sul fatto che integra la ratio decidendi del precedente, cerchiamo di delimitare i limiti concettuali dell’astrazione.

L’astrazione è quel procedimento mentale per il quale, cogliendosi da un particolare dato o da particolari dati esperienzali certe caratteristiche qualificanti, si assurge, in ordine a quel dato o a quei dati, ad un concetto generale o, appunto, astratto. E non v’è dubbio che un simile procedimento possa essere spinto sempre più in alto: il cane Tod, che scodinzola per casa, è, ad un certo basso livello di astrazione, un terrier; ad un più alto livello è un cane; salendo ancora è un mammifero, poi un essere vivente e così via4.

Riprendiamo un esempio a suo tempo già esposto per chiarificare come opera nel pratico l’astrazione dopo aver assodato un legame tra determinate fattispecie. Il nostro caso paradigmatico: Tizio, nell’ora di punta guida una Jaguar ad ottanta chilometri orari nel centro cittadino investendo Caio e fratturandogli una gamba.

Ad un primo livello di astrazione si può dire che Tizio sia una persona, che la Jaguar sia un veicolo, che il centro cittadino sia ad esempio una pubblica piazza, ancora che la guida ad 80 km/h sia una guida imprudente e che la frattura della gamba di Caio sia un danno fisico ad una persona. Così pensando il fatto originario diventa quello, ben più generico, di una persona che ha arrecato un danno di carattere fisico ad un’altra per averla investita; ad un livello più generico di astrazione lo stesso fatto può diventare un “colposo danno fisico”, ed ancora, in modo più generalizzato, un “danno colposamente arrecato”.

Chiaro è che più dettagli si accantonano della regola giuridica, più si amplia la fattispecie. Orbene, il giudice successivo è libero, osservando alcuni limiti, di utilizzare la regola iuris del precedente per tutte le fattipecie concrete che si sistemano nella pressoché infinita scala di astrazione relativa a quel

precedente, cosicché, quanto più in alto essa è sospinta tanto più si estende la portata della regula iuris.

Facciamo degli esempi concreti che serviranno a precisare ciò di cui parliamo. In Wilkinson v. Dowton (2 Q.B. 57, 1897), ci si riferisce ad un caso in cui è stato negligentemente dichiarato il falso, arrecando con ciò un danno fisico al destinatario della dichiarazione; in particolare, una signora incappa in un grave esaurimento nervoso perché una amica le ha voluto giocare uno scherzo annunciandole il ricovero del marito. Ripercorendo i vari procedimenti che abbiamo studiato, il giudice, nel risolvere la questione, dovrà creare, mediante l’astrazione basata su una generica identità di ratio, un legame con la fattispecie di Tizio contro Caio. Creato un tale nesso, passaggio successivo sarà quello di estrarre la ratio decidendi dal caso più remoto (Tizio contro Caio) ignorando i vari dicta; una volta focalizzata la ratio decidendi, bisognerà dalla stessa carpire la legal rule e, mediante appunto l’astrazione, appurare se è idonea al nuovo fatto litigioso.

In Wilkinson v. Dowton, il giudice può dunque applicare la legal rule di Tizio contro Caio, nonostante che in quest’ultimo il danneggiamento sia cagionato dalla guida di una macchina. Una differenza di fondo scavalcabile con l’operare con astrazione che permette un’estensione del principio di responsabilità ad ogni fatto che integri la negligente produzione di un danno fisico alla vittima.

In Donoughe v. Stevenson (UKHL 100, 1932) il fatto era questo: il convenuto era un fabbricante di ginger in bottiglia, di un prodotto cioè che, nonostante fosse passato nelle mani di vari intermediari, avrebbe dovuto raggiungere il consumatore nella confezione originaria. Ebbene, tra le migliaia di bottiglie uscite dalla fabbrica, una di esse era avariata perché contenente il residuo putrefatto di una lumaca. Il produttore non se ne accorse, neppure il rivenditore come il consumatore che si ammalò.

La House of Lord decise il caso in favore del consumatore in base a questa ratio decidendi: “il fabbricante di prodotti alimentari destinati al consumo,

venduti con un sistema commerciale tale da far ritenere esistente in lui sia l’intenzione che detti prodotti debbano raggiungere il consumatore nella stessa confezione in cui lasciano la fabbrica, senza che vi sia alcuna ragionevole possibilità di una loro manipolazione a livello intermedio, sia la consapevolezza che una loro non accurata o difettosa fabbricazione potrebbe arrecare danno alla persona o al patrimonio del consumatore, è responsabile per il danno eventualmente cagionato a tale soggetto allorchè risulti che egli abbia violato il dovere, cui è tenuto nei suoi confronti, di comportarsi con ragionevole cura nella fabbricazione del prodotto”.

Determinata, con la decisione della House of Lord, una responsabilità dei fabbricanti di ginger beer e reso possibile un legame tra le due fattispecie (quella dei produttori di ginger, quella della responsabilità dei produttori di generi alimentari) in forza della medesima ratio decidendi, mediante l’astrazione si addiviene ad una interpretazione estensiva della legal rule che avrà campo libero, ipoteticamente, anche per i produttori di limonata, scatolette di carne ecc.

Sintetizzando, l’utilizzazione estensiva del precedente consegue esattamente ad una operazione che si compie sul suo fatto, nel preciso senso che alla sua generalizzazione, con le debite distinzioni, corrisponde di riflesso un allargamento dell’ambito operativo della ratio decidendi da esso stesso posta. La ratio decidendi può essere estesa mediante astrazione, allontandosi dal casobase, nel rispetto di taluni vincoli: principale è il common sense, cioè la ragionevolezza custodita scrupolosamente da ogni giudicante5.

* Donoughe v. Stevenson: (tratto da “ Cases that changed our lives”, a cura di Paul Reed, Philippa Harris).

Chi mai avrebbe pensato che un tenace solicitor, un ratto morto ed una parte di una lumaca decomposta in una bottiglia di ginger beer avrebbero cambiato la

storia del diritto inglese? Ma questo è accaduto una sera d’agosto del 1928, quando May Donoughe, che era una commerciante, entrò nel Wellmeadow Cafe a Paisley, in Scozia. Egli ordinò una bottiglia di ginger beer quando dalla stessa, con orrore, uscì una parte del corpo decomposto di una lumaca che scivolò all’interno del bicchiere. La signora fece causa e così iniziò il suo viaggio dalle strade di Glasgow fino alle alti corti di giustizia ove il caso in essere sarebbe divenuto uno dei più importanti della storia del diritto inglese, così da cambiare per sempre la disciplina concernente i danni derivanti da omissione o negligenza.

Forse in maniera del tutto inaspettata, il fatto alla base delle pretese della signora Donoughe non era dei più importanti e, invero, prima di allora mai venne trattato da una corte di giustizia. In ogni caso, a distanza di molti anni, ciò che avvenne sotanzialmente quella sera d’agosto rimane avvolto in un alone di mistero.

Possiamo soltanto narrare che la sera del 26 agosto del 1928, May Donoughe partì dalla sua casa di Glasgow con destinazione Paisley. Una volta arrivata a Paisley, si incontrò con un amico ed entrambi decisero di andare al Wellmeadow Cafè, di proprietà e gestito da un italiano chiamato Mr. Francis Minchella. L’amico di Mrs Donoughe ordinò e pagò una pera, una bibita fresca e un gelato a base di ginger beer. Quando arrivò l’ordine, il proprietario versò metà bottiglia di ginger beer sul gelato . Mrs. Donoughe mangiò parte del gelato, successivamente l’amico versò l’altra metà di ginger beer nel bicchiere. Fu a questo punto che la signora asserì che una parte decomposta di una lumaca scivolò lentamente fuori dalla bottiglia per finire nel bicchiere. Mrs. Donoughe addusse di aver sofferto per lo shock e per i disturbi intestinali dovuti, rispettivamente, alla vista dell’animale decomposto e all’ingerimento della bevanda contaminata.

La bottiglia incriminata, con la lumaca dentro, era confezionata da una azienda famigliare lontana non più di un miglio dal Wellmeadow Caffè, di proprietà e amministrata da Mr. David Stevenson. L’attore riteneva che l’animale fosse finito nella bottiglia prima che fosse riempita e sigillata da Mr. Stevenson. Per questo il 9 aprile 1929, Mrs Donoughe chiamò in giudizio Mr. Stevenson per

negligenza, sperando di ricevere 500 sterline come risarcimento per la malattia e il terrore sofferti.

Risulta fondamentale, in via preliminare, capire il diritto concernente la responsabiltà dei consumatori e produttori vigente nel 1920 prima di guardare l’ultima decisione della House of Lord in merito a Donoughe v. Stevenson. Precedentemente a quest’ultimo caso, la disciplina concernente la protezione dei consumatori era formulata e circoscitta principalmente ai soli rapporti sinallagmatici. Viceversa, in assenza di rapporti contrattuali, il tort law, la responsabilità civile in sintesi, era in grado di accordare il dovere di protezione, o meglio di ricevere protezione, alla parte in ragione del beneficio ingiusto acquisito da un’altra solo, però, a condizione che i rapporti “di negligenza” tra le parti rientrassero in alcune categorie tipizzate. Tra queste ricordiamo quella inerente i prodotti ritenuti dannosi in virtù di precise circostanze, ovvero quelle in cui una parte danneggiata ha fatto affidamento su un prodotto fraudolentemente etichettatato come sicuro e non dannoso. Questo era lo schema seguito e, conseguenzialmente, se un fatto, più precisamente un comportamento negligente, non poteva essere sussunto in alcuna di queste fattispecie nessun rimedio era praticabile. Uno schema, contestualmente alla erosione della dottrina dei “contratti privati” , che, ad ogni modo, ben presto venne meno nel momento in cui la responsabilità civile si estese gradualmente guardano a nuove ed ulteriori categorie rispetto a quelle ora annoverate.

Altre giurisdizioni di common law erano già andate oltre nel loro approccio alla responsabilità dovuta a negligenza. Esemplificando, attraversando l’Atlantico, negli Stati Uniti risultava cospicuo lo sviluppo della materia della responsabilità civile. Il giudice Cardozo nel caso MacPherson v. Buick Motor Company, abolì l’intervento della disciplina inerente i contratti privati, creando, per la questione, un generale dovere di protezione il cui punto di inizio era una assunta negligenza.

Dai fatti allegati dall'attore, dunque, il caso Donoughe si sistemava al di fuori delle categorie tipizzate che giustificavano l’applicazione della disciplina

inerenti ai consumatori e alla responsabilità dei produttori. Ai fini dell’istanza, l’attrice non poteva appellarsi alla regolamentazione contrattuale poiché tecnicamente era l’amico di Mrs. Donoughe vincolato contrattualmente con l’esercente avendo egli stesso ordinato e pagato la bibita. Inoltre la ginger beer, per le sue caratteristiche, non era classificata come un prodotto dannoso e neppure poteva parlarsi di una falsificazione fraudolenta dei caratteri del prodotto al momento della vendita; in altre parole, tutte le condizioni affinchè il tort law potesse operare non erano contemplate in Donoughe v. Stevenson. Mrs. Donoughe venne raprresentata da Mr. Walter Leecham del WG Leecham & Co. Costui era appassionato della questione avendo già portato dinanzi alle Corti Scozzesi l’istanza in ordine al caso di una creatura (un ratto) trovata galleggiante in una bottiglia di birra di ginger (caso Mullen v. AG Barr). In questa controversia, Mr. Leecham avanzò la pretesa del suo assistito di aver subìto danni facdndo valere la responsabilità del produttore di ginger beer. Tuttavia le corti Scozzesi rigetterano la pretesa asserendo l’inesistenza di una autorità o base legale per stabilire il dovere di protezione come elemento dipendente dalla responsabilità del produttore. Nonostante questa controversia non avesse nessun punto di contatto con quella in parola, Mr. Leecham perseverò sperando di aver maggiore successo con una lumaca decomposta rispetto al caso del topo morto.

Un writ venne rilasciato dalla Corte di Sessione nell’aprile del 1929. In questo writ, la signora affermò di aver sofferto a causa dello schock e di infezioni intestinali e si statuì anche che il produttore, Mr. Stevenson, avesse il dovere di protezione nei confronti della donna. Ovviamente, quest’ultimo negò ogni sua responsabilità.

Una prima udienza ebbe luogo il 30 giugno del 1930. Gli argomenti andarono subito a favore di Donoughe quando il Lord Moncrieff affermò della presenza di casi anteriori (vedi Mullen)per risolvere la diatriba. Lord Moncrieff comparò il caso a quelli in cui sussistono volontariamente o meno strumenti di danneggiamento; così facendo il suo giudizio rientrava nei limiti imposti dal

law tort.

Inevitabilmente, Mr Stevenson fece appello e l’udienza di secondo grado venne celebrata nel Novembre del 1930. In questa sede, il giudice della seconda divisione della Corte di Sessione ribaltò la decisione di Lord Moncrieff e accolse l’appello di Mr. Stevenson, argomentanto che Mrs. Donoughe non aveva le basi legali per azionare la propria pretesa in virtù di Mullen v. Barr che non statuiva nessun dovere di protezione.

La pretesa di Mrs. Donoughe pareva senza speranza , poiché per ben due volte la Corte di Sessione aveva stabilito l’inesistenza di basi legali per agire nei confronti del produttore nei casi di carenza di un rapporto contrattuale ovvero di fraudolenta rappresentazione del prodotto.

Da ultimo Donoughe decise di appellarsi alla House of Lord.

Anni dopo, il ragionamento giuridico in ordine al caso di Donoughe venne discusso per due giorni consecutivi dal Lord Buckmaster, Atkin, Tomlin etc. La questione che la House of Lord doveva risolvere era: Mr Stevenson era debitore verso Mrs. Donoughe di un dovere di protezione per il confezionamento della ginger beer in assenza di una qualsovoglia intrusione di elementi nocivi come una lumaca?

Il legale rappresentate di Donoughe affermò che la disciplina a favore del produttore accordata dai principi dei contratti privati avrebbe dovuto essere rimossa; di contro, l’avvocato della controparte disse che il giudicato dei magistrati scozzesi, che faceva riferimento alla causa Mullen, avrebbe dovuto prevalere.

Il 26 maggio del 1932, la House of Lord emanò la sua decisione e, con una maggioranza di tre voti favorevoli e due contrari, si determinò che Mr. Stevenson aveva il dovere di proteggere gli interessi della signora Donoughe. Nel vedere le motivazioni che sorreggono questa decisione, il punto di riferimento rimane il giudicato di Lord Akin il quale introdusse i c.d. “principi di vicinato” derivanti da quelli di “ama il prossimo” di estrazione cristiana. In particolare, leggendo le motivazioni della sentenza del giudice sopra citato, si pone l’accento che la regola di amare il tuo vicino viene assimilata a quella

legale di non danneggiare il tuo vicino. Da qui la domanda inevitabile di acclarare chi sia il vicino per cosi dire “legale”. La risposta venne sempre fornita da Lord Akin, che individuò il vicino in colui che ripone il proprio affidamento negli atti altrui; in altre parole, colui che ha motivo di contare sulle azioni od omissioni di terzi ha il diritto di essere protetto.

Fatte queste premesse, la nostra vicenda si concluse nel senso di ritenere responsabile il produttore, nella fattispecie Mr. Stevenson, a condizione che i beni che immette nel mercato siano presentati con un confezionamento tale a quella che risulterà al consumatore senza alcuna possibilità di manipolazione intermedia. Precisamente Mr. Stevenson produsse una bibita che raggiunse il consumatore nello stesso confezionameto in cui fu consumata da Donoughe, in assenza di manipolazioni del prodotto da parte del venditore particolare. Questa è la prima condizione. La seconda condizione, dicevamo, era quella derivante dai “principi di vicinato”: Mrs. Donoughe entrando in contatto con il prodotto di Stevenson, maturava un legittimo affidamento sulla bontà dello stesso. Questi i passi del ragionamento logico giuridico di Akin che determinarono la vittoria processulae di Donoughe.

A riprova della verdicità di questo modo di pensare, Akin sottolineò che tutto sarebbe cambiato nel momento in cui il venditore avesse avuto la possibiltà di accertare l’esistenza di ogni sostanza nociva nella bibita; in queste accezioni la responsabilità del produttore verso il consumatore non poteva che traslare in capo al singolo commerciante.

Tirando le somme la House of Lord, ribaltando le decisioni delle corti inferiori, con Donoughe v. Stevenson contribuì notevolmente allo sviluppo della “responsabilità per negligenza”. L’effetto della decisione fu forse quello di liberare la disciplina della negligenza dal legame con la dottrina dei contratti privati, accordando così la necessaria tutela al consumatore in assenza di qualsivoglia legame negoziale (si ricordi che verso Stevenson il contratto di compravendita venne materialmente stipulato non dalla signora Donoughe ma dal suo amico e ciò, evidentemente, è reso possibile dall’introduzione dei c.d. “principi di vicinato”). In secondo luogo, ulteriore effetto fu quello di aver

stabilito che il dovere di protezione nelle omissioni non è solo confinato in schemi tipici, piuttosto è flessibile in grado di estendersi a nuove fattispecie soltanto simili a quelle precedenti (vedi anche pag.84 per quanto riguarda l‘importanza in ambito di astrazione di questa sentenza).

1.3.L'interpretazione restrittiva della Ratio Decidendi, il Genuine