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La nomofilachia oltre le competenza della Corte di cassazione

3. La funzione nomofilattica della Corte di Cassazione.

3.1 La nomofilachia oltre le competenza della Corte di cassazione

Con la nomofilachia l’obiettivo è quello di dare risposta ad una più ampia e generale richiesta di certezza e uniformità giuridica. Per questi motivi il giudice supremo enuncia il principio giuridico che andrà a vincolare il giudice di rinvio e a persuadere tutte le altri corti.

Dunque, ripetendoci, in Italia non esiste alcuna obbligatorietà nel precedente, a parte quella che interessa il giudice nel singolo caso concreto; per cui se di precedente vogliamo parlare, non passiamo che farlo attribuendogli quel valore non molto dissimile da quello manifestato dalla dottrina. Oltre alla persuasività, invero, il precedente da noi non avrebbe motivo di possedere caratteristiche ulteriori: nell’ ambiente di common law, in U.K. specificamente, non esiste un codice e le leggi parlamentari, anche se esistenti e non minori rispetto alla nostra esperienza, qualora dubbie hanno bisogno di un sicuro punto esegetico di riferimento. Da queste istanze e potenziali complessità, solo nella autorità della decisone anteriore è possibile trovare una via di uscita; in Italia i codici esistono, i casi debbono essere sussunti nella fattispecie di cui alla disposizione codicistica e nel caso di contradditorietà di quest’ultima l’unico appiglio non può che essere un’altra disposizione, ossia quella dedicata alle tecniche esegetiche.

Ecco che in Italia il precedente viene a rivestire un ruolo di contorno, di garante della uniformità attuativa e interpretativa di un qualcosa che nasce comunque su basi diverse da quelle giurisprudenziali.

Anche se non ha un ruolo di vero protagonista nella decisione di una controversia, il precedente è sempre più apprezzato dai giudici per la sua duttilità e, talvolta, chiarezza. Ciò spiega il consolidarsi dell’uso di fare riferimento alla sapienza giudiziale posteriore anche in ambiti e materie che sfuggono dalla competenza della Corte di cassazione, sede in cui, alle origini, lo stare decisis ha trovato terreno fertile21 per immettersi nel nostro sistema. In questo senso, il primo caso paradigmatico da riportare è quello del Consiglio di Stato che esercita, nei confronti del T.A.R., le medesime funzioni di nomofilachia previste dall’art. 65 dell’Ord.Giud. per la cassazione.

Prima della istituzione dei T.A.R., la funzione in parola veniva esercitata in un sistema caratterizzato da un giudice unico di legittimità, sicchè la stessa pareva più contraddistinguersi come razionalizzazione della giurisprudenza di un organo diviso in più sezioni che come attività di tutela del diritto attraverso l’unificazione degli indirizzi giurisprudenziali.

Con l’introduzione del doppio grado di giurisdizione, la situazione è radicalmente mutata estendendosi all’intero Consiglio la funzione di nomofilachia. Invero, dall’art. 111 Cost, ricaviamo la funzione del Consiglio di Stato di difesa del diritto obiettivo nel proprio ordine di competenze.

La funzione nomofilattica è svolta dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che interviene nelle ipotesi ove un caso può potenzialmente dar luogo a contrasti giurisprudenziali, su istanza delle parti. In questo momento, la funzione della Adunanza Plenaria non è molto dissimile a quella già appurata della Cassazione: realizzare la giurisdizione e fornire indirizzi giurisprudenziali uniformi per tutelare l’unità dell’ordinamento giuridico.

Nella giurisdizione contabile, la funzione nomofilattica è assolta dalle Sezione Riunite della Corte dei Conti. I componenti di quest’ultima sono tratti da un albo, soggetto a rinnovo annuale, in cui sono iscritti 40 consiglieri, dei quali 20 in servizio presso le sezioni giurisdizionali d’appello e 20 in servizio presso le

Sezioni giurisdizionali regionali; in merito a ciò, va rilevato che il giudice che esercita la funzione di nomofilachia deve essere tratto da un corpo ristretto, perché solo così si puo trarre uniformità nella interpretazione del diritto rispetto ad una platea ampia di giudicanti, spesso sinonimo di visioni contraddittorie.

Tuttavia, in ambito contabile, mancando norme che disciplinino dettagliatamente le condizioni per il deferimento delle questioni e gli effetti delle pronunce, è sovente capitato che i principi dalle stesse Sezioni Riunite dettati sono stati a loro volta, dall’organo medesimo, soggetti a radicali cambiamenti sì da far pensare che la nomofilachia non abbia adepti neppure tra le fila dei suoi sacerdoti. Quanto al deferimento delle questioni alle Sezioni riunite, da intendersi come condicio sine qua non affinchè sia enunciato il principio giuridico poi rispettato da altri giudicanti, ecco che fino a poche pronunzie fa si escludeva la possibilità di sollevare una questione di massima in ipotesi di conflitto (in punto di diritto) orizzontale, tra sezioni regionali, sia a maggior ragione in ipotesi di conflitto verticale, tra sezione regionale e quella d’appello.

Di recente si è verificato un mutamento di indirizzo: si ritiene ammissibile una denuncia di conflitto tra pronunce di sezioni giurisdizionali regionali in ipotesi di difformità giurisdizionale di primo grado e prima che si pronunci il giudice di appello; si reputa che può formare oggetto di questione di massima anche un conflitto verticale tra sezione regionale e quella d’appello.

Altro punto cruciale è quello dell’efficacia di ciò che pronunciano le Sezioni Riunite. Queste ultime hanno ritenuto che le loro pronunce hanno valore vincolante in ordine al caso a quo, cioè con riferimento al giudizio in corso; tuttavia i collegi giudicanti non remittenti, che valutano casi analoghi, dovranno guardare a queste decisioni come opinioni a carattere persuasivo. Da ciò sono emerse alcune peculiari critiche.

Anzitutto deve ripetersi che non esiste alcuna norma di diritto positivo che statuisce l’obbligo del giudice a quo di attenersi alla pronuncia delle Sezioni Riunite; solo criteri eleborati dallo stesso organo prevedono tale osservanza e, non solo, secondo gli stessi criteri un simile obbligo dovrebbe interessare

anche il giudice d’appello nell’ambito della causa che in primo grado era stata rimessa alle Sezioni Riunite, dato che la questioni di massima può essere proposta dal PM o dalle Sezioni all’inizio del processo di primo grado, al fine di ottenere una pronuncia delle Sezioni riunite da applicare tanto nel primo quanto nel secondo grado. Da qui la domanda legittima di vedere a cosa serve celebrare processi se il loro esito è gia praticamente prestabilito dalle Sezioni Riunite che, tra l’altro, non possono conoscere il merito della causa .

Ciò pone il dubbio di una possibile violazione dell’art. 101.2 Cost., poiché si ridurrebbe il giudice ad essere mero esecutore di decisioni assunte da altri. Il problema potrebbe essere superato qualora venisse meno l’incidentalità della pronuncia delle Sezioni Riunite che, allo stato attuale, senza definire il giudizio ad esse deferito, si limitano a fissare, asetticamente, un principio cui un altro giudice dovrebbe poi prestare osservanza e che, nel fissare tale principio, addirittura, prescindono dalla dubbia costituzionalità della norma da applicare, avendo le stesse ritenuto di non potere neppure sollevare questione di legittimità costituzionale, chiamate come sono ad interpretare la normativa vigente fissando principi di diritto da applicarsi nella fattispecie concreta da parte del giudice remittente.

Da tutto quanto fin qui esposto, sembra sia necessaria per la giustizia contabile una nuova e compiuta disciplina dell’istituto da parte del legislatore, in modo che la funzione nomofilattica riacquisti la sua importanza.