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Il principio del precedente oltre i confini del sistema giuridico inglese.

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Academic year: 2021

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Indice:

- Introduzioni storiche

-Parte prima: il moderno principio del precedente

vincolante- Capitolo I: i Judicature Acts del 1875 ed evoluzioni successive

1. Motivazioni che portarono alla grande riforma dell’ordinamento giudiziario…………pg. 49 2. Judicature Acts e la sola distinzione teorica tra Common law ed Equity…………pg. 52

3. Assetto attuale della giustizia in Inghilterra con riferimento ai precedenti vincolanti della House of Lord…………pg. 57

 Capitolo II: Doctrine of Binding precedent

1. La dottrina del precedente e la regola di stare decisis…………pg. 72 2. La teoria dichiarativa o Blackstoniana del precedente …………pg. 77 3. La teoria classica del precedente………… pg. 79

3.1. Operatività della teoria classica del precedente………… pg. 88 4. Cenni sulla teoria moderna del precedente………… pg. 93

 Capitolo III: Operatività concreta del precedente nelle dinamiche del case law 1. Legal Reasoning………… pg. 96

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1.1 L’astrazione: caso Wilkinson v. Dowton; Donoughe v. Stevenson………… pg. 97

1.2 L’interpretazione restrittiva della ratio decidendi, il genuine e il restrictive distinguishing: South

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Straffordshire v. Sharmon; Bridges v. Howkesworth………… pg. 106

1.3 Cases of first impression: Analogia iuris e legis. Caso Hoseldine v. Daw………… pg. 108 1.4 Antinomie tra precedenti………… pg. 110

2. Limitazioni alla forza vincolante del precedente………. pg. 111

2.1 Abrogated decisions……… pg. 113

2.2 Reversal decisions………. pg. 114

2.3 Overruling, West Ham v. Edmonton Union………. pg. 117

2.3.1 Anticipatory overruling…….. pg. 118

2.3.2 Prospective overruling………. pg. 119

2.3.3 Retrospective Overruling………. pg. 120

2.3.4 Implied ed Express Overruling………. pg. 121

2.3.5 Undermining………. pg. 121

2.4 Refusal to follow a precedent…….. pg. 122

2.5 Repeated distinguishing………..pg. 123

2.6 Sentenze emesse per incuriam………… pg. 123

3. Rafforzamento della autorità del precedente………. pg. 124

 Capitolo IV: il law reporting attuale 1 Law reports……… pg. 124 2 Weekly Notes………. pg. 125

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-Parte seconda: il precedente negli ordinamenti di civil

law- Capitolo V: Valore del precedente giudiziale nello scenario giuridico dell’europa continetale 1 La giurisprudenza creativa nei confini dello staute law………. pg. 130

2 Modelli dottrinari di gradazione della forza vincolante del precedente……… pg. 140

 Capitolo VI: Il precedente in Italia

1 Collocazione esistenziale della giurisprudenza: natura creativa come liberta e autorità……… pg. 144 2 Efficacia della regola stare decicis nella nostra tradizione giuridica………. pg. 147

3 Artt. 65 e 68 dell’ Ordinamento Giudiziario: la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione……… pg. 151

3.1. La nomofilachia oltre le competenze della Corte di Cassazione……… pg. 158 3.2 Il diritto vivente…….. pg. 162

3.2. I tribunali debbono attenersi ai precedenti conformi: Legge 69/09……… pg. 164 4 La modifiche del diritto vivente…….. pg. 165

4.1 Retroattività del mutamento giurisprudenziale……. pg. 165 4.2 Prospective overruling…….. pg.171

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Scriveva nel 1979 Leslie Curzon: “… we shall consider the common law as that part of the corpus of English law, prior to 1873-75, was administered by the common law courts, which had its origin in the ancient common custom of the country, and which was largely developed and formulated by judicial decision”1.

Nonostante questa definizione sia inevitabilmente approssimativa e lacunosa può rappresentare, sicuramente, una buona chiave interpretativa delle ragioni che hanno portato all’affermazione del principio di stare decisis nei sistemi di common law come principale ma, ovviamente, non unico fattore discriminante in rapporto ai sistemi giuridici continentali, legati principalmente alla risoluzione giustinianea: “ non exemplis sed legibus iudicandum est”, alla quale fa eco il motto di R. Saleilles in Francia: “au-delà du Code Civil, mais par le Code civil!”

Analiticamente, gli aspetti salienti della predetta definizione sono: la centralità delle corti di Westminster nell’amministrazione del diritto, i Judicature Acts quali riforme che rappresentano un nuovo approccio del giudice verso i precedenti e l’esperienza popolare condensata nelle pronunce giudiziali.

Si tratta soltanto di alcuni degli elementi che ci accompagneranno nel nostro iniziale studio sulla genesi storica della regola di stare decisis e tra questi, procedendo gradualmente, parliamo intanto del c.d. Folkright.

E' noto che il diritto inglese riuscì a trarre le sue origini nelle antiche consuetudini del regno, usanze che, a differenza di ciò che accadde nello scenario europeo continentale, non furono circoscritte all’interno di confini codicistici rigidi e statici, piuttosto ebbero vita propria, cristallizzate nei contorni malleabili delle sentenze delle corti di common law, le stesse decisioni giudiziali che permisero loro di rinnovarsi seguendo lo stesso passo dell’evoluzione culturale, ideologica ed economica del paese.

L’incidenza genetica delle consuetudini locali nella formazione del common law si è realizzata “by virtue of the doctrine of precedent”, ossia per il tramite del rispetto dei precedenti.

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In altre parole è sì, quello inglese, un sistema propriamente dalla genesi consuetudinaria ma, nel momento in cui siffatte consuetudini sono richiamate dal giudice per dirimere una controversia, le usanze perdono il carattere di una mera ripetizione costante nel tempo di un comportamento da parte dei consociati per acquisire una certa vincolatività.

Proprio nell’elemento vincolante possiamo ravvisare la forza normativa del precedente giudiziale inglese in virtù della dottrina dello stare decisis et quieta non movere. Nello specifico, la sentenza obbliga le parti per la regola di diritto che ne costituisce la base ed ha immediata efficacia erga omnes, proiettandosi nel futuro, ossia riguardando chiunque metta in atto un comportamento che rientri nella fattispecie della sentenza.

Con riferimento a ciò che è stato succintamente affermato, non bisogna però credere che tutte le regola di diritto determinate all’interno di una sentenza debbano sottostare alla dottrina dello stare decisis. Come vedremo quando analizzeremo le novità apportate nell’ordinamento giudiziario dai Judicature Acts, le pronunce degli organi della c.d. “bassa giustizia” non obbligano al loro rispetto i giudicanti successivi; anticipando, si tratta delle decisioni delle County Courts, Divorce County Courts ecc.

Tralasciando, momentaneamente, siffatte ipotesi derogatorie, bisogna rilevare la natura del precedente impressa dalle corti in particolare nella loro prima fase storica: la forza persuasiva.

Già nel regno di Hamurabi, (2000 a.c.), principio universale di amministrazione della giustizia era quello che casi simili dovessero essere trattati in modo simile; ciò vale tanto sul piano psicologico, nel senso che colui che è chiamato a risolvere una disputa preferisce decidere appoggiandosi su ciò che è stato deciso nel passato; quanto sul piano pratico, ovvero l’uniformità delle decisioni garantisce un alto grado di certezza nel diritto. Dunque una forza persusiva. Tuttavia, oggigiorno, se negli ordinamenti continentali tutte le sentenze hanno forza persuasiva, nel diritto inglese tale forza esiste solo nelle sentenze delle corti inferiori. Infatti, come già accennato, le pronunzie delle

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corti di alta giustizia sono vere e proprie fonti del diritto corroborate, nella loro forza vincolante e non persuasiva, dallo stesso sentimento dei cittadini inglesi che hanno sempre visto nel common law il diritto osservato dalla società, ossia dallo stesso popolo inglese progettato.

Ecco che un simile nesso diritto- società esclude una trattazione del principio del precedente che prescinda da una ricognizione del contesto culturale, storico, giudiziario in cui la regola in parola nasce, si forma così da giungere fino ai giorni nostri.

Verificando, in prima istanza, il processo evolutivo della regola di stare decisis in common law, per passare poi ad una sua trattazione in equity, partiamo dalle sue radici: il periodo anglo-sassone.

a)Il periodo anglo-sassone va dal definitivo abbandono della Britannia da parte dei romani, nel quinto secolo d.c., fino alla conquista normanna nel 1066 d.c.

Sotto il profilo giuridico, tale momento storico è segnato dal fatto che non esiste un diritto d’Inghilterra, ma tanti diritti delle diverse popolazioni; come è stato asserito “the system of law was localised” 2.

Giulio Cesare, nel 55 a.c., invase la Britannia divenendo provincia dell’impero romano e rimase tale per oltre tre secoli. L’effetto di civilizzazione fu senz’altro imponente, almeno sino a quando gli Scoti, Giuti e Sassoni acquisirono le colonie romane d’Oltremanica. L’opera di devastazione che ne susseguì cancellò definitivamente l’impronta della civiltà romana ad eccezione del cristianesimo celtico, che giuocò un ruolo essenziale nell’attribuire un carisma trascendentale al re inglese come “ vicegerent of Christ” garantendo anche, allo stesso monarca, una classe dotta che si adoperò a redigere in forma scritta le leggi dei re anglosassoni nonché le tradizioni orali e popolari.

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Dopo le devastanti invasioni anglosassoni che dettero vita a tre regni distinti (Northumbria, Mercia e Wessex), dal 787 l’Inghilterrà dovette subire le conseguenze di una seconda pesante incursione: quella dei danesi.

Di fronte a questo panorama storico è facile capire perché l’Inghilterra da allora non ebbe mai, come detto, un ordinamento giuridico ben definito; tale tesi è avvalorata dalla situazione delle fonti normative del tempo: consuetudini locali e ordinanze reali.

Le consuetudini, “the judicial consciousness”, corrispondono al folkright, il diritto popolare, sono le più numerose, le più comuni e variano da villaggio a villaggio, da contea a contea e si distinguono in Dane Law, dei territori del Nord d’influenza scandinava, e Mercian Law, nel Sud, di tradizione germanica.

Si tratta di consuetudini rurali non coscienti della partizione tra materia civile, penale e processuale che hanno, in ogni caso, avuto il merito di sottrarre l’Inghilterra dalla anarchia dello stato di natura Hobbesiana.

Le altre fonti dell’epoca erano le ordinanze reali che riuscirono a circoscrivere, a raccogliere e a fare certezza tra le disparate usanze popolari. Oltre al piano normativo, brevemente, nell’assetto giudiziario di tale periodo storico avevamo i moots di centena e di contea, con i quali si amministrava la giustizia minuta, poi le Hundred Court e le Shire Court con competenze nell’ambito delle varie contee.

b)La battaglia di Hastings, nel 1066 d.c., con lo sbarco delle flotte normanne sulle coste inglesi rappresenta, notoriamente, l’inizio del processo di formazione del diritto inglese. Comunque sia, la conquista normanna ebbe caratteristiche e produsse effetti diversi dalle altre invasioni che l’Inghilterra ebbe a subire da parte degli anglosassoni prima e dei danesi, poichè fu l’affermazione di una classe di governo militare che dette vita ad un processo di rinnovamento della cultura inglese3.

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Per venire al particolare, la conquista portò con se l’uso del francese mentre il latino fu circoscritto agli atti ecclesiastici; nel 1072 si concretizzò, da parte di Guglielmo il Conquistatore, la distinzione tra corti religiose e quelle laiche, incrementando il peso della Chiesa nel Regno Unito.

Fino a quel momento, infatti, il vescovo faceva parte delle assemblee di centena e di contea, assieme all’ealdorman e allo sceriffo, in cui si discutevano cause dal valore tanto religioso quanto temporale. Ebbene, con la anzidetta riforma, il vescovo acquistò giurisdizione propria in ordine alle questioni della cura delle anime e delle ordinanze episcopali, avvalendosi di precetti del diritto canonico continentale e del diritto romano. D’altro canto le corti laiche, raggiunta una loro autonomia, indisturbate poterono sviluppare e raffinare il diritto di common law inteso, oramai, come un diritto tipicamente nazionale. L’indirizzo accentratore normanno si manifestò pure sul piano giudiziario, seppure bisogna rilevare come in questo campo i re normanni toccarono solo marginalmente e con modifiche di aggiornamento il sistema giuridico autoctono , rispettando la massa delle norme sassoni regali e consuetudinarie. Invero il re Stefano, confermando ciò che venne già espresso a suo tempo da Guglielmo il Conquistatore, prese l’impegno di rispettare tutte le libertà, le buone leggi e consuetudini di cui ha beneficiato il popolo al tempo del re Henry (il suo predecessore).

In merito a ciò, non è importante disquisire sui motivi che portarono i conquistatori a non operare una profonda riforma legislativa nel tessuto normativo presistente, basta solo rilevare che le tecniche giuridiche dei normanni non erano certo superiori a quelle dei popoli conquistati e quindi, nel perseguire i loro scopi egemonici, si limitarono ad operare, plasmandolo a loro piacimento, sull’assetto giuridico dei popoli sassoni.

E’ dunque un iter di rivoluzione giuridica che non passa, per così dire, nelle vie ordinarie della normazione, piuttosto interessa l’organizzazione della giustizia e, con riferimento a questa organizzazione, sarà interessante acclarare come, ai fini del nostro studio, i giudici, agli albori della tradizione giuridica

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inglese, si confrontavano con le sentenze previamente emesse dai loro stessi colleghi.

In ordine alla riorganizzazione degli organi di giustizia, fermo restando che le communal courts sassoni rimasero in piedi, continuando ad applicare il diritto consuetudinario, le Shire Courts furono sostituite con le County Courts, ossia le corti di contea. Le County Courts dispensavano protezione in ambito consuetudinario civile e penale, le loro decisioni potevano essere appellate alla Court of Common Pleas e alla Curia Regis; erano poi anche i tribunali dello sceriffo nella sua veste di procuratore legale del re; infine, tali corti operavano come organi delle giustizia amministrata da uno o piu “giudici reali” inviati in loco per dirimere le questioni loro affidate.

I “giudici reali” sono l’elemento cardine dell’organo in parola, difatti costituiscono una prova diretta dell’intervento del Sovrano nelle questioni locali e anche perché rappresentano i progenitori dei giudici itineranti che più di chiunque altro partecipano attivamente al processo formativo del precedente vincolante.

Altri organi giudicanti furono poi le Hundred Courts, Corti di Centena, che avevano, in confronto alle County Courts, competenza per questioni civili e penali minori sorte nel territorio della centena. Le loro pronunzie potevano essere appellate alle Corti di Contea o alla Curia Regis o alla Court of Common Pleas e rimasero in vigore sino a quando non furono privatizzate così da diventare non più organi della giustizia popolare bensì organi di giustizia personale, dando luogo a vessazioni e taglieggiamenti.

Infine vanno annoverate le Seignoral o Feudal Courts, distinguibili in:

-Curia Regis, la Corte del Re, che risolveva le controversie tra il monarca ed i suoi vassalli, ove i suitors costituivano il corpo giudicante. Il sovrano non partecipava al giudizio, ciononostante sono plurime le ipotesi in cui faceva valere la propria influenza; inoltre, la Curia Regis non era solo una corte feudale, ma aveva anche altre importanti competenze giurisdizionali: conservare la King’s Peace nel regno e rendere giustizia a chi non l’avesse ottenuta in altre corti;

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-Baronial Courts, erano corti nelle mani di tenant-in chief, titolari di grossi feudi, conosciuti pure come baronies. La competenza di questo organo ineriva le controversie di carattere fondiario che sorgevano tra i vassalli, nonché questioni concernenti il knight service, cioè il servizio militare di cavalleria; -Manorial Courts, con sede in ogni singolo maniero che comprendeva i poderi del signore, le foreste i pascoli quale microcosmo economico e sociale autossufficiente;

Al vertice della scala gerarchica dell’amministrazione della giustizia, perciò, avevamo il Re, o meglio la Curia Regis.

Guglielmo il Conquistatore portò con sè dalla Francia l’idea che fosse compito del sovrano decidere dopo aver consultato i vassalli di grado più elevato; dall’attuazione di questa idea nacque dunque la Curia Regis derivante dalla Curia Ducis francese; un organo, agli inizi, con funzioni consultive e deliberative che il sovrano decideva di affidargli.

Tra le competenze della Curia regis abbiamo detto della possibilità di amministrare la King’s Peace, ossia l’ordine sociale, e di rendere giustizia a coloro che non l’avessero ottenuta; in tali accezioni parlavamo di “manifestation of the king’s residuary power of jurisdiction”4. Principale

difetto di questo organo che, a ben vedere, non doveva essere inteso come organo d’appello, piuttosto come tribunale al quale chiedere l’aiuto del re, era quello che i privati, nel momento in cui sottoponevano la loro causa alla corte, facevano ricorso non già ad un diritto ma ad un privilegio, peraltro costoso. Ecco dunque emergere i caratteri eccezionali e costosi della giustizia reale, ma chi veniva ammesso ad usufruirne aveva la garanzia di un rimedio relativamente rapido e sicuro in confronto alle insicurezze degli altri tribunali. Peraltro, la Curia Regis ebbe anche un ruolo fondamentale nella creazione di un primario strumento giudiziario denominato writ il quale acquisì, come

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vedremo, un ruolo primario nella costruzione della teoria del precedente proprio nel periodo in cui iniziò a tramontare il suo utilizzo.

Il writ, in latino “breve”, era il mezzo mediante il quale la giustizia regia poteva operare e, sul piano politico, fu attraverso questo che la giustizia regia riuscì ad intromettersi, esautorandola, nella bassa giustizia, ossia in quella delle corti inferiori.

Si trattava di un ordine del sovrano, elaborato dalla officina brevium (ufficio di segreteria del cancelliere), redatto in forma di lettera, scritto in latino su carta pergamena e garantito dal sigillo reale con due destinatari: lo sceriffo e il lord. Se diretto allo sceriffo, quale procuratore legale regio, il monarca poteva intimare allo stesso di eseguire un certo servizio, come il provvedere che il convenuto restituisse qualcosa all’attore che aveva invocato l’intervento del re ed aveva ottenuto il writ .

Qualora venisse diretto al Lord, titolare di una corte feudale, il Lord stesso doveva rendere giustizia all’attore con la minaccia che, altrimenti, il caso sarebbe passato dinanzi alla giustizia reale, poiché l’inosservanza del writ era un’offesa arrecata direttamente al sovrano.

Il writ poteva essere chiesto ed ottenuto, a titolo oneroso naturalmente, per qualsiasi tipo d’azione: esistevano i writs of real actions, writs of personal actions e i writs of mixed actions, cosiddetti perché univano tanto la natura realistica quanto quella personale, basti pensare alle azioni possessorie.

c)Nel dodicesimo e tredicesimo secolo, la Curia regis conobbe un notevole aumento dei suoi compiti e, per esigenze eminentemente burocratiche, dette avvio ad un processo di specializzazione della sua attività, suddividendosi in diverse commissioni che, gradatamente, raggiunsero una loro certa autonomia. Le corti che nacquero da queste commissioni furono: la Court of Exchequer, la Court of Common Pleas, la Court of King’s Bench e le Courts of Assize. Tutte

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quante costituiscono le corti di Common Law e le prime tre sono le corti di Westminster, giacché ebbero sede nel palazzo omonimo sino al 1882.

In generale, come tutte le corti dell’epoca, anche queste si caratterizzavano per l’elevato costo della giustizia dovuto al monopolio professionale dei serjeants at law, quali avvocati che chiedevano parcelle onerose; altri caratteri connaturati a queste corti erano la lunghezza ed estrema tecnicità procedurale nonchè una dislocazione in senso piramidale e territoriale.

Difatti la Corte del Banco del Re, la Court of King’s Bench, inizialmente, prima di divenire indipendente dalla Curia Regis, si occupava delle cause che interessavano la Corona a pregiudizio dell’ordine pubblico che non rientravano nelle competenze delle Corti centrali, cause da trattare con la presenza del re supportato nelle sue peregrinazioni dall’organo in parola anche se il re, a ben vedere, spesso non presenziava in sede contenziosa.

Stabilitasi permanentemente a Westminster, si componeva di cinque giudici non necessariamente giuristi e dal 1268 venne nominato un Chief Justice i cui collaboratori costituivano il corpo dei puisne judges.

La sua era una triplice giurisdizione che si esplicava, pure in appello, in ambito penale, civile e nel controllo nei confronti dell’attività delle corti inferiori e dei funzionari locali investiti di affari di giustizia. Circoscrivendo l’analisi alla sua giurisdizione penale, questa poteva emergere per mezzo di tre tipi diversi di writ: writ of certiorari, mediante il quale il King’s Bench estendeva il suo sindacato nelle materie delle corti inferiori che non offrivano la garanzia di un equo processo; writ of error, per impugnare un errore risultante dal verbale del processo e la motion for new trial, istanza per un nuovo giudizio, utile per qualsivoglia vizio procedurale delle sentenze delle corti inferiori. Questo in ambito penale. In ambito civile la sua giurisdizione era legittimata dal Trespassory jurisdiction, ossia giurisdizione in merito ai casi di trespass che si risolve nell’illecito civile, il tort, ossia nel danneggiamento ingiusto conseguente alla violazione del diritto personale all’integrità fisica, alla libertà di movimento della vittima, al diritto di proprietà e di possesso, come turbative

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alla King’s Peace. Era questa l’attività quotidiana della King’s Bench e nel quattordicesimo secolo i giudizi di trespass erano i due terzi di tutti i casi repertoriati nei rolls; un simile monopolio nella detenzione delle sorti della giustizia civile che fu un ricorrente motivo di contrasto con l’altra corte concorrente, la Court of Common Please.

Concludiamo la nostra fugace trattazione del riassetto dell’ordinamento giudiziario del tredicesimo secolo vedendo l’ultima corte che nacque dalla specializzazione delle funzioni delle Curia Regis: la Court of Assize.

Quest’ultima si annoverava nella categoria delle corti di giustizia cosiddette “circolanti” in quanto esplicava le sue funzioni in loco, precisamente nell’ambito dei sei circuiti in cui era suddiviso il paese ai fini giudiziari. Aveva preminentemente competenze in campo penale variabili a seconda dei mandati reali che venivano di volta in volta emessi per consentire un’amministrazione locale della giustizia.

Finora, nella nostra trattazione sulle origini del precedente vincolante in Inghilterra, ci siamo mantenuti su un piano generico cercando di capire quale furono le basi, come visto giudiziarie e non solo, dalle quali l’opera dei giuristi riuscì a prendere spunto per modellare la regola del precedente che oggi conosciamo. E’ pur vero che sino a questo momento storico di precedente vero e proprio non si possa a tutti gli effetti parlare ma, nel delineare a grandi linee la organizzazione giudiziaria, soprattutto a seguito del riordino delle Corti di Westminster, tre dati sono emersi che non possiamo ignorare. Il primo è quello che il diritto Inglese è un diritto consuetudinario, folkright, e si tratta, a ben vedere, di una constatazione che trova il proprio elemento giustificante nel fattore psicologico e culturale del popolo inglese; il secondo è quello di una strutturazione della giustizia in senso piramidale, un dato che possiamo tradurre più semplicemente nell’esistenza di una bassa e alta amministrazione giudiziaria; il terzo dato è quello di una competenza delle corti talmente

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capillare da garantire giustizia ai cittadini residenti in ogni zona del regno. Proprio questa impostazione sin dalle origini gerarchizzata dell’ordinamento inglese, l’ossequio e il rispetto portati dal giudice inferiore a quello di più alto rango, il contestuale rinvio fatto dal giudice alle usanze anteriori acquisite in loco per risolvere le liti, come è facile intuire furono campi fertili in cui la regola stare decisis poteva tranquillamente germogliare e fiorire.

Quanto agli effetti dipendenti dalle fondamenta giudiziarie che abbiamo finora descritto, vediamo quello inerente alla capillarità delle competenze delle Corti dal quale dipende la nascita della figura dei giudici itineranti e le actions on the case quale rimedio al blocco dei writs.

Fu Guglielmo il Conquistatore che dette vita all’uso di inviare in provincia i suoi emissari con il compito di occuparsi di faccende che lo interessavano; un uso che forse derivava dalla tradizione carolingia quando Carlo Magno inviava, per gli stessi fini, missi dominici nell’impero.

All’inizio i loro compiti erano principalmente amministrativi, tuttavia già sotto il regno di Enrico I ebbero compiti giudiziari e da qui il loro nome di iusticiarii in itinere, intesi come organi di giustizia reali operanti in loco, in forza di un apposito mandato reale, i cui componenti venivano scelti tra uomini di alto prestigio: vescovi, baroni, cavalieri ecc; solo con Enrico II dovevano essere scelti tra professionisti giuridici spesso facenti parte della Curia Regis.

Le sessioni dei nostri giudici itineranti si chiamavano assizes e si tenevano nelle principali città dei sei circuiti sparsi nel territorio.

Questa sorta di processo instaurato dai giudici itineranti è peculiare anche per il primo impiego della giuria, inizialmente composta da giurati che non dovevano giudicare sulla colpevolezza dell’imputato ma limitarsi a testimoniare su ciò che sapevano in base a quanto si diceva nel vicinato; meri testimoni, dunque, lungi dall’essere ciò che oggi rappresentano.

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Tra le varie corti giudicanti itineranti una, in particolare, spicca per importanza: le Commission of the General Eyre, Corte di Giro Generale. Tale corte si recava nei vari circuiti con cadenza settennale, controllava meticolosamente ogni atto amministrativo, fiscale e giudiziario compiuto nel periodo di tempo trascorso dall’ultima visita della medesima corte, imponendo talvolta ammende sproporzionate anche per le più lievi infrazioni5. Pertanto, rivestendo un ruolo superiore a quello delle ordinarie commissioni itineranti, sospendeva l’attività di tutti gli altri “circolanti” quando teneva sessione e, vista l’estrema impopolarità che circondava un simile organo, cessò di operare attorno al 1340 e tutte le sue funzioni passarono alle corti di common law. Il sistema della giustizia itinerante riuscì a sopravvivere nei secoli, fino al 1971 anno in cui entrò in vigore il Courts acts.

A questo punto è chiaro, tornando alla ripetuta questione di fondo, come questo meccanismo d’organizzazione giudiziaria dislocata partecipò attivamente alla costituzione della forma mentis dei giudicanti. Si tratta di considerazioni dal carattere spiccatamente pragmatico.

Gli itineranti, nel loro “giro” in provincia, venivano a contatto con le consuetudini locali, le recepivano e le portavano al centro; ivi tali consuetudini venivano vagliate e selezionate attraverso i filtri della sapienza, dell’esperienza e della critica di tutti i colleghi; dopodiché le consuetudini migliori costituivano la base o il fondamento delle sentenze emesse dalle varie corti di Westminster, trasformandosi in tipici principi giuridici di carattere giudiziale; quando gli “itineranti” ritornavano in missione, essi portavano con sé il frutto di quanto era stato eleborato al centro e con esso soppiantavano il controverso materiale normativo locale.

Nella History of Common law6, si asseriva che giacchè i giudici itineranti erano anche componenti delle corti centrali costoro, che avevano una comune formazione giuridica, nei periodi di lavoro si incontravano giornalmente e, conversando, si consultavano l’un l’altro, in merito ai problemi giuridici

5 Pollock, Maitland, The History of English Law before the Time of Edward, London, Cambridge

University Press, 1968, p.158.

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affrontati informandosi delle sentenze emesse; d’altro canto i loro pareri e le loro risoluzioni espresse nelle sedute di Westminster Hall venivano appresi dai colleghi sia direttamente degli autori sia per riferimento di altri. In questo modo i loro giudizi così come i modi in cui amministravano giustizia acquistavano armonia, precisione e uniformità: con il che tanto i principi di diritto quanto le loro applicazioni venivano garantiti contro la confusione e le antinomie, difetti inevitabili in una giustizia provinciale e non arricchita dall’interscambio delle esperienze giuridiche.

Questi i motivi di fondo per i quali il principio di stare decisis trovò un così alto prestigio e ammirazione nei popoli d’Oltremanica. Tutela dei costumi eterogenei di popoli diversi, costante linea di congiunzione al sapere di uomini dotti di epoche più o meno remote nel dirimere le liti, continuo ammodernamento di principi e d’istituti giuridici consentito dall’incessante scambio dialettico e di idee di chi quella giustizia amministrava; in poche parole, ossequio del passato in una prospettiva ad ampio raggio rivolta al futuro. Questo è per gli inglesi l’adeguarsi ai giudicati.

Dopo aver studiato la prima motivazione che in epoca medievale delineò, seppure ancora in linea di massima, i contorni della regola del precedente vincolante, anche se di vincolante in questa fase storica non si poteva a pieno titolo parlare, lo studio deve ora focalizzarsi sugli effetti derivanti dal blocco della concessione di quella particolare giustizia a pagamento che abbiamo identificato nel sistema del writ.

Via via che il Common Law allargava il suo orizzonte acquistando l’impronta di un sistema normativo nazionale, esso non poteva non interessarsi dei problemi affliggenti l’intera collettività nel suo sviluppo economico, politico e sociale. Un indice sicuro del forte incremento quantitativo dell’emergente diritto comune è fornito dal sensibile moltiplicarsi del numero dei writs. Nel

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periodo di Enrico III il numero dei writs sfiorava a malapena una cinquantina; nel regno del suo successore già se ne contavano più di cinquecento.

Ricordiamo che questi erano ordini emessi dal sovrano, tramite la sua cancelleria, su istanza ed in favore del querelante per consentirgli di adire una delle corti di giustizia reali: ciascuno di essi era anche il presupposto d’avvio di una certa form of action, ossia di un certo tipo di azione con proprie regole di esercizio e con un proprio particolare giudicato finale; da ciò discendeva che un diritto soggettivo poteva dirsi esistente nella misura in cui trovava una accoglienza all’interno di un writ.

Un simile sillogismo writ- diritto soggettivo, come è facile intuire, non era un efficace limite per evitare una proliferazione dei primi. Si trattava, comunque, di una giustizia non gratuita, perciò, per permettere al sovrano di avere nuovi introiti, vennero creati nuovi tipi di writ per diritti inizialmente carenti di questa tutela e adattati quelli già emessi; neppure le Corti di Westminster si frapposero a questa moltiplicazione di writ, visto e considerato che implicava una loro proporzionale estensione di competenza, ribadendo così la loro supremazia sulle concorrenti corti feudali.

L’evento storico che portò all’inversione di rotta radicale furono le Provisions of Oxford del 1258 che sanzionarono il blocco dei writs, stabilendo che potevano operare solo quelli of Course, cioè ordinari, mentre non potevano più trovare corso nuovi writs atipici senza esplicita approvazione del re.

Tra le conseguenze inevitabili del blocco dei writs si ebbe un vero e proprio irrigidimento strutturale di sistema; conseguentemente un rapporto giuridico non ascrivibile all’interno di writs ordinari era destinato a rimanere scoperto, privo di tutela giudiziaria7. In tali fattispecie patologiche l’unica via percorribile era quella di avanzare una supplica al re, il quale, dal canto suo, non applicava un diritto riconducibile a quello di common law, ma decideva secondo il proprio buon senso; non a caso questo intervento, per così dire, dettato dal senso di giustizia regio fu la base per il successivo nascere dell’equity.

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Punto di svolta in questa staticità giudiziaria si ebbe solo nel 1285 con l’emanazione dello Statute of Westminster II, un compromesso tra idee moderne e l’ostruzionismo arcaico8. Il capitolo ventiquattresimo afferma testualmente: “…Ogniqualvolta in futuro accadrà che esista presso la Cancelleria un writ per un determinato caso e nessuno per un caso simile, che abbia identità di ratio giuridica col primo ed esiga pertanto lo stesso rimedio di questo, i chierici funzionari della Cancelleria consentano alla concessione ed alla redazione del writ, altrimenti rinviino i richiedenti al prossimo Parlamento, annotino i casi per i quali non possono consentire e li riferiscano al medesimo consesso affinché venga ivi approvato un nuovo writ, di guisa che non avvenga più per il futuro che la corte adita rimanga a lungo priva della possibilità di rendere giustizia a chi la chieda”.

Così asserendo rimaneva inalterato il principio della impossibilità di formare nuovi writs e si introduceva, al contempo, la regola per cui la cancelleria avrebbe potuto impiegare vecchie formule tipiche per consentire nuove azioni “in consimili casu”, cioè in ordine a fattispecie diverse, ma comunque simili a quelle dei writs già esistenti.

Ricapitolando, si tratta di una regola basata su un rapporto di natura analogica mediante la quale la Cancelleria riusciva a garantire una certa tutela a tutte quelle situazioni giuridiche altrimenti carenti in ragione della sopravvenuta staticità nel creare nuovi writs; è una regola d’impulso alla elaborazione giurisprudenziale, con base il giudicato anteriore, che riuscì ulteriormente a progredire nel suo formarsi soprattutto nel momento in cui la Cancelleria non riteneva sussistente un consimili casu.

In buona sostanza, per evitare una generale impasse dell’ordinamento giuridico emersero tre dati fondamentali che poi furono la costante del common law: l’opera creativa della Cancelleria, l’opera sempre creativa dei giudici e il maturare del sistema equity.

Partendo dal contributo della Cancelleria, il writ of entry si concretizzava in un’azione di rivendica del dominio esperibile da chi ne aveva la titolarità verso chi lo avesse ottenuto da un soggetto non legittimato a trasferirlo. Per

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comprenderlo teniamo conto del seguente paradigma: la donna che andava a nozze perdeva, per il periodo del matrimonio, l’amministrazione dei propri immobili in favore del marito e la riprendeva solo nel caso di premorienza di questo; secondariamente poi, nel caso di premorienza della moglie il marito conservava l’usufrutto legale sugli immobili della defunta consorte fino al suo decesso, avvenuto il quale gli stessi beni dovevano andare agli eredi della donna. Ebbene, se il marito alienava, senza averne i poteri, i beni della moglie o come amministratore e come usufruttuario legale sia la moglie che i suoi eredi non avevano alcuna possibilità di recupero degli stessi illegittimamente alienati9. Perciò, la Cancelleria con il writ of entry in consimili casu vuole rimediare a questa lacuna, perché si estende alla moglie rimasta vedova come ai suoi eredi la tutela dell’ordinario writ of entry; ritenendo, dunque, sussistente tra la posizione del soggetto garantito da questo writ e quella della vedova e dei suoi eredi una somiglianza tale da chiedere una parità di trattamento giuridico.

Dall'esempio si capisce che il sistema presentava delle lacune nel campo dei rapporti familiari, non solo, ma anche in quelli connessi alla terra; ma proprio qua, come anticipato testé, si inserisce quell’importante opera creativa dei giudici che ha come fonte imprescindibile il giudicato anteriore, un’opera che si apprezza nella sua singolarità soprattutto qualora si fosse manifestato un rifiuto della Cancelleria al rilascio di nuovi writs in consimili casu.

I giudici, nel rispetto dei writs esistenti, riescono a far figliare dei brevia formata, nel senso di riconoscere come derivati da essi, con espedienti e finzioni, alcune forms of action a carattere generale.

Queste forms of action presero il nome di action on the case, derivanti in larga parte dal writ of trespass concesso a chi avesse subito le conseguenze dannose di una illecita trasgressione della sua sfera giuridica personale e patrimoniale e tutte le nuove actions on the case da esso derivate portarono il marchio di azioni delittuali; si tratta del: trespass upon the case, ejectment, trover, assumpsit.

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In definitiva il common law riuscì a superare la crisi legata al blocco dei writs grazie all’opera creativa giurisprudenziale. Nel concreto si verificava che i tribunali regi sfruttando la competenza loro conferita dal writ già esistente, potevano estenderla un po’ oltre così da prendere in esame la nuova fattispecie in considerazione delle speciali corcostanze enunciate dall’attore. Tutto dipendeva dal convincimento della corte e l’obiettivo primo dell’attore era quello di addurre una minuziosa descrizione del suo casus, sì da mettere in luce l’opportunità e la coerenza dell’auspicata estensione di competenza del tribunale nei confronti della nuova fattispecie.

Nella parte iniziale della nostra trattazione in merito all’evoluzione del precedente, abbiamo posto una preliminare suddivisione delle sua evoluzione in ambito di common law e in quello di Equity. Sinora, ci siamo occupati di come questa regola si sia rapportata all’ordinamento giuridico e alle sue evoluzioni in Common law, con un particolare riguardo a quella funzione di impulso scaturente dall’irrigidimento del sistema dei Writs.

A questo punto lo studio deve vertere sulla evoluzione, ancora embrionale, della regola stare decisis in equity.

Concettualmente per Equity si indica quel corpo di norme integrante un sistema di diritto positivo, la cui fonte si rinviene nei principi di equità inizialmente intesa come “giustizia secondo natura” o “giustizia morale”. Rimanendo sempre sul piano concettuale sono plurime le definizioni di Equity, ed hanno tutte quante come minimo comun denominatore il fatto di porre l’accento su una visione comparativa con il concorrente sistema di common law.

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L’Equity può essere concepita come una appendice o una glossa al codice del common law10; oppure come quel complesso di norme elaborate dalle corti di common law che, se non fossero stati emanati i Judicature acts, sarebbero state chimate corti di Equity 11; ma forse la definizione più chiara del sistema è

quella del prof. Kiralfy: si compone di tutte quelle norme emanate dal Cancelliere nella sua qualità di custode della coscienza del re per rimediare con interventi dalla valenza morale i difetti tecnici del common law12.

In definitiva, possiamo sintetizzare asserendo che l’equity è quel complesso di principi giuridici di creazione e di elaborazione giurisprudenziale che presentano le caratteristiche di avere avuto inizialmente natura etica, di essere stati posti per integrare o correggere determinati principi di common law e di essere stati, in origine, di competenza del Cancelliere prima e della Court of Chancery poi; principi tutti confluiti nella common law con i Judicature acts. Inevitabilmente dall’Equity discendono alcuni pregi e difetti ineludibili. Tra i primi, si tratta di un sistema di giustizia essenzialmente elastico e perciò pronto ad adeguarsi alle necessità del singolo rapporto preso in considerazione; invero, la Corte di Cancelleria esiste perché le azioni umane sono così numerose e diverse che è impossibile che esistano norme generali che prevedano e regolino ogni ipotesi particolare senza essere inadeguate e insufficienti in determinate circostanze; il compito del cancelliere è quello di intervenire, guardando alla coscienza dei responsabili, nei casi di frode, abuso di fiducia nel trust, illecito ed approfittamento di ogni genere, nonché di addolcire e mitigare la rigidità del sistema ordinario13.

10 Maitland F.W., The Consitutional History Of England, Cambridge University Press, Cambridge

1968. L’autore, in questo testo parla dell’equity in questi termini: “to think of Equity as supplementary law, a sort of appendix added on to our code, or a sort of gloss written round our code”

11 Maitland F.W., The Consitutional History Of England, Cambridge University Press, Cambridge

1968. L’autore, in questo testo parla ancora dell’equity in questi termini:Equity is a body of rules administreted by English Courts which were if not for the operation of the Judicature Acts , would be administreted by those Courts which would be know as Courts of Equity

12 Kirafly A.K.R., The English Legal System, London 1990. Si Parla cosi dell’Equity: is a system

of rules enforced by the Chancellor as keeper of king’s conscience, designed to alleviate, on moral grounds, technical injustices of the common law”

13Citazione di Lord Ellesmer, tratta da: Dolores Freda,“Una dispotica creazione”. Il precedente

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Tra i difetti, l’equità è inevitabilmente un criterio soggettivo e discrezionale nelle mani solo di colui al quale è affidato il compito di gestirla, ossia il Cancelliere.

Il suo carattere morale è dunque evidente. Una moralità ch’è quella del Cancelliere il quale dovrà essere invocato “for the love of God and in the way of charity”, che si contrappone alla giustizia legale del Common law.

Tali caratteristiche verranno meno con la Restaurazione degli Stuart nel 1660, momento in cui si parla più propriamente di rigor aequitas: ogni cittadino assume il diritto di accedere alla giustizia di equità, perdendo quest’ultima il suo carattere di giustizia concessa per grazia di Dio e, come appresso studieremo, l’equità, in tale contesto, non è più ancorata ad una giustizia naturale, quindi arbitraria del giudicante, piuttosto comincia a seguire la strada del rispetto del precedente, plasmando quel complesso di norme equitative la cui evoluzione si fermò solo nel diciannovesimo secolo.

Per quanto a noi interessa, vediamo subito alcune pronunzie giurisprudenziali che provano un simile passaggio, cioè il passaggio dalla giustizia morale al rigor aequitas incardinato nella regola del precedente binding. In Fry v. Porter (1670), il Chief Justice osserva ”…that equity is an universal truth and there can be no precedents in it”; ma il custode del Gran Sigillo, a riprova che i tempi erano già maturi, si oppose a questo ordine di idee ritenendo che i precedenti siano i mezzi tecnici che consentono di fare affidamento all’Equity, cioè a quella struttura che ha costituito la regola per un lungo periodo di tempo.14

Fatte queste considerazioni preliminari, non possiamo prescindere da una più minuziosa descrizione del sistema in generale; per questo opportuno è, ai fini chiarificatori, suddividere il processo formativo dell’equity in quattro momenti diversi.

14 Lord Notthingham, Sir Henry Hobart’s reports, London, 1671: “…in them we may find the

reason of the equity to guide us; and, besides, the authority of those who made them is much to be regarded. It would be very strange and very ill if we should distruts and set asidewhat has been the course for a long series of time and ages”

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Un primo momento è quello della formazione del sistema; il secondo è quello che va dall’affermazione di una equità eticamente intesa sino alla Restaurazione degli Stuart; il terzo periodo è quello che va dalla Restaurazione del 1660 ai Judicature acts del 1865, ovvero il momento della traformazione dell’equity da sistema libero a sistema non più discrezionale; ultimo periodo è quello dell’equity moderna di competenza non più della Court of Chancery.

a)Partendo dalla genesi del diritto d’equity, non stupisce che quale sistema alternativo nasca proprio dalle stesse carenze della common law, la quale spesso si mostrava con un’impalcatura giuridica limitata non potendo offrire garanzie come ad esempio nell’ambito dei c.d. “uses”, in quello contrattuale o nel settore della traditio rei. Conveniente, in tal senso, è vedere come il common law parlasse della consegna dei beni; utile non tanto ed esclusivamente ai fini meramente cognitivi, bensì per capire come uno stesso interesse, seppure nei secoli successivi alla nascita dell’equity, potesse trovare una difforme disciplina nell’equità e nella common law.

Se un soggetto si era obbligato alla traditio di un bene, il common law riconosceva il diritto alla restituzione della cosa prestata. L’unico rimedio accordato al creditore per l’inadempimento della controparte era il risarcimento del danno; l’equity, ispirata a valori di fondo eterogenei a quelli cardine del concorrente sistema, non solo ammetteva un risarcimento ma anche una integrazione in forma specifica .

È chiaro, perciò, che tra i pregi dell’Equity abbiamo il suo carattere di giustizia alternativa, in quanto il sovrano poteva intervenire equitativamente per correggere le ingiustizie conseguenti all’applicazione o al rispetto dello scrictum ius, dato ch’egli era fonte di giustizia.

Nella realtà, tuttavia, l’Equity si mostrava come una giustizia nelle mani del Cancelliere, organo burocratico a capo della Cancelleria, che si avvaleva di abili sottosegretari, taluni con il titolo di Master of The Rolls perché deputati alla tenuta dei rolls dell’ufficio. Il Cancelliere era un organo religioso e

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soprattutto era il keeper of the royal consience, ossia il custode della coscienza del re; peraltro, il Cancelliere era anche organo politico-amministrativo, il segretario di stato per tutti i dipartimenti 15, influenzando, come è intuibile, la direzione politica dell’intero regno. Ciò che a noi preme sottolineare è la sua funzione giudiziaria dal carattere “speciale” e “latino”. Latin Jurisdiction in quanto i records erano scritti in latino; giurisdizione speciale perchè si occupava di limitate materie come quelle in cui erano coinvolti i funzionari della Chancery, quelle che coinvolgevano la corona e quelle attinenti alla ripetizione dei possedimenti indebitamente sottratti dal sovrano ai querelanti.

b)Altro punto centrale come detto, il cui spartiacque è la Restaurazione del 1660, concerne il passaggio dell’idea dell’equity come giustizia naturale ad una giustizia condizionata dai precedenti. Attenendoci ora unicamente al periodo anteriore alla Restaurazione (la seconda fase sopra menzionata), tra i cancellieri più illustri possiamo ricordare Thomas More, Nicolas Bacon, Thomas Egerton, Lord Ellesmere; inoltre, questo periodo è segnato da una estensione delle competenze della Chancery Courts dalle questioni propriamente equitative a questioni più specificamente commerciali, marittime ed ecclesiastiche sottratte alla giustizia ordinaria.

I rapporti di iniziale cordialità tra la Corte di Cancelleria e le Corti di Common Law precipitarono al tempo del cardinale Wolsey, nel 1515. Il motivo di fondo del conflitto stava nel sempre più accentuato sfruttamento dell’assolutezza discrezionale della giustizia equitativa in concorrenza con le gelose corti di common law, anche se non fu solo economico il motivo del conflitto, visto e considerato che un maggiore lavoro della Corte di Cancelleria corrispondeva ad una proporzionale limitazione dei profitti delle Corti di Common Law, ma anche politico. La Chancery Courts, la Star Chamber e la Amiralty Courts erano corti legate alla persona del re, il quale per loro tramite faceva giustizia;

15 Cit..Bentham J., An introduction to the Principles of Moral and Legislation, Londra, seconda

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sul piano politico, da ciò derivò la dicotomia tra giustizia reale impersonificata in tali corti e il potere parlamentare delle corti di common law.

La conflittualità tra le corti rafforzò l’alterità tra i sistemi e il diverso modo di concepire due situazioni giuridiche identiche: si ha l’emergere di una duplice giustizia, non molto dissimile da quella pretoria e civile dell’antica Roma; per esempio della proprietà esisteva un duplice significato: quello di equity e quello di common law.

Con il passare del tempo la moralità tanto elogiata dell’equity venne progressivamente limitata come è comprovato in un saggio intitolato “The replication”16 in cui si pone l’accento sulla incertezza e arbitrio derivanti dalla

ignoranza del Cancelliere nello sfruttare il tecnicismo di Common Law. In quest’opera il germe della dissacrazione dell’Equity era oramai gettato e svaniva la sua concezione di diritto divino sotto la massima “divers men, divers consciences”.

Conseguenza ulteriore del cambiamento di valore dell’Equity, preludio di quello che sarà poi il rigor aequitatis, si ha nella stessa compagine della Corte di Cancelleria la quale, da questo momento, non era più dei cancellieri ecclesiastici ma di cortigiani, di abili giuristi e ciò implicò anche una interruzione nell’opera di recepimento delle massime del diritto romano-canonico e dell’idea di un diritto scritto.

Il mutare successivo dell’essenza dell’Equity, sempre anteriormente alla Riforma del 1660, si verificò in uno scenario che, tra alti e bassi, conosceva della oramai storica rivalità tra le corti dei due sistemi diversi. Quando tale contrasto, a causa di concorrenti conflittualità politiche- istituzionali, diventò insostenibile, nacque la necessità di trovare una soluzione che, ben presto, si tradusse nella prevalenza dell’Equity sulla Common Law.

16 Scritta da un Serjent at law in risposta al Doctor and Student di St. Germain, opera notoriamente

esaltante il valore dell’equity. Nella Replication si legge: “…io non posso non esprimere tutta la mia meraviglia nel riflettere sul tipo di autorità che il Cancelliere accampa per emettere in nome del re il writ of injuction e sul modo in cui egli ardisce emettere tale writ per impedire ai sudditi del sovrano di invocare l’applicazione delle sue leggi , cosa che neppure lo stesso re potrebbe potrebbe legittimamente fare, avendo egli giurato il contrario , per cui nei suoi confronti vale la regola noi possiamo solo ciò che la legge ci consente”.

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Di estrema rilevanza risultano essere le opposte vedute di due massimi esponenti rispettivamente della Common Law e dell’Equity: Sir Edward Coke e Lord Ellesmere.

“The king is subjet to God and the law”, in queste poche frasi è condensabile l’intero pensiero di Coke (a riprova di ciò si veda il Dr. Bonham’s case) e a questo ideale egli sacrificò tutta la sua carriera e tutto il suo potere. Coke non si limitò a negare la supremazia dell’Equity, contestando i provvedimenti ispirati ad un simile diritto, ma spinse oltre la sua attenzione operando anche in via preventiva minacciando gli avvocati, dichiarando loro che egli non avrebbe più ammesso al patrocinio legale innanzi alle corti di common law quelli di essi che avessero prestato la loro opera e la loro abilità difendendo clienti in Equity17.

Quindi con un decreto datato 26 luglio del 1616, di Giacomo I, la querelle venne definitivamente chiusa e il re sancì la prevalenza dell’Equity e della Chancery Court; ciò detto, tuttavia, non significa una supremazia assoluta di un diritto nei confronti dell’altro, invero il successore di Ellesmere, Francis Bacon, ebbe il merito di non far pesare la differente importanza tra i due organi agevolando un nuovo clima di concordia e di scambio culturale tra gli stessi. La riappacificazione che susseguì all'emanazione del decreto regio, fece si che le due corti seppero iniziare a vivere nel rispetto delle proprie e altrui competenze, in un reciproco e continuo scambio di conoscenze, precetti e tecniche guiridiche e, in questo solco storico, non solo notiamo questo mutare del carattere intrinseco della Corte di Cancelleria, quale organo legale e non più etico, ma abbiamo delle novità che saranno, in un certo senso, l'anticipazione degli sconvolgimenti che interesseranno i nostri sistemi dopo la Restaurazione.

Anzitutto, in Equity, si fa largo, sempre a piccoli passi, l’idea di fare riferimento ai precedenti: i cancellieri sentono la necessità di motivare i loro

17 Earl Oxford’s case, 21 ER 485, 1616. Era il caso in cui il Merton College aveva una

locazione con oggetto il Covent Garden contro il pagamento di nove sterline annue al nudo proprietario. Dopo cinquant’anni la costituzione di un tale diritto il College lo alienò. Subito dopo, però, il College affermò della inefficacia della vendita poiché in contrasto con uno statuto che vietava

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giudizi e trovano utile e comodo appoggiarsi a decisioni già prese, come scelta giurisprudenziale guidata da un evidente spirito equitativo. Sia ben chiaro che in tale momento abbiamo sì in Equity un primo, per così dire, impiego della regola del precedente, ma era sempre un impiego arbitrario, poiché una regola impegnativa in tal senso fu sconosciuta prima del cancellariato di Lord Nottingham. In ciò si risolve il limite al perfezionamento della regola di stare decisis nel momento in cui l’equity, seppure in modo ridotto, continua ad essere sostanzialmente equità etica. Quale eticità è per eccellenza giustizia per ogni singolo caso concreto il che male si concilia con una generale uniformità di decisioni per tutti i casi futuri.

Altra ragione che impedì un rispetto obbligatorio del precedente, non può che essere l’inesistenza di repertori completi e accurati. Le prime raccolte di casi trattati in Cancelleria sono i Lambert’s Cases risalenti solo al 1604 e, antecedentemente, in assenza di sicure fonti di cognizione non poteva che derivare l’inesistenza delle fondamenta necessarie affinchè la regola del precedente potesse costruirsi.

c)Una svolta d’importanza cruciale nella vita dell’Equity si ebbe con la Restaurazione degli Stuart (1660) che segna il passaggio ad un rigor aequitatis; tale passaggio di consegne può cogliersi nelle sue peculiarità mantenendoci su un piano dottrinario e giurisprudenziale.

Nei confini strettamente giurisprudenziali possiamo rinviare alla causa Fry v. Porter del 1670, in cui l’aggancio alle decisioni passate era ancora motivo di perplessità; tutto mutò in Cook v. Fountain, ove Lord Nothingham superò l’ostacolo definitivamente asserendo che indubbiamente i precedenti sono indispensabili per la società poiché la stessa può trovare nella loro essenza le ragioni con cui l’Equity è governata. Un’espressione che fece scuola tanto che un secolo dopo Blackstone concepiva l’equity come un complesso sistema

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sorretto da precise regole e diretto da precedenti dai quali non può scindersi, nonostante le loro ragioni possano essere talvolta passibili di critiche.18

In termini dottrinari ricordiamo alcune figure portanti della Corte di Cancelleria: Lord Notthingham, Lord Hardwik e Lord Eldon; e molte opere letterarie di primaria importanza per l’operare concreto della nostra regola. The father of modern equity, così era definito Lord Notthingham che va menzionato per aver dato all’equity quel decisivo colpo di timone che, facendo abbandonare al sistema la sua originaria impostazione discrezionale, ne incanalò l’evoluzione nella diversa e vincente prospettiva dell’equity come a kind of ruled justice, ossia come giustizia governata non più dalla coscienza personale del Cancelliere, ma dai precedenti .

Ma se Lord Notthingham fu un precursore, Lord Hardwicke fu un ordinatore soprattutto in ambito reportistico. Le conseguenze di quest’opera di assestamento si riflettono direttamente sul sistema che assume verso l’esterno una maggiore individualità ed autonomia. Molte delle sentenze di Lord Hardwicke furono considerate dai posteri leading cases in materie di notevole spessore.

Lord Eldon è invece il Cancelliere che pilotò l’Equity nel periodo della sua maggiore decadenza, in un certo senso accelerando il suo declino come confermato dalle parole di Charles Dickens nel suo romanzo “Casa desolata”: una lunga satira alla rovinosa e costosa amministrazione della giustizia in Equity che prese spunto dal caso Jorndyce v. Jorndyce. Una causa ereditaria interamente assorbita dalle spese legali che provocò la morte del protagonista. Questo stato di cose poteva evincersi anche dai Law Reports come gli Year Books, i già citati Lambert’s cases, i Choice Cases in Chancery ed il Tothill’s digest. Opere, comunque, dal carattere poco affidabile almeno fino a quelle di Peere Williams pubblicati nel 1740.

18 Blackstone, nei Commentaries è così intesa la nuova Equity: “a labuored connected system,

governed by established rules, and buond down by precedents, from which they do not depart, althought the reason for some of them may perhaps be liable to objection”

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Ad ogni modo, uno dei principali difetti del sistema che portò alla sua decadenza si ricollega alla struttura monocratica; esso, come sappiamo, era formata da un solo giudice, il Cancelliere, il quale dovendo prendere cura di tutti gli affari statali, dedicava troppo poco tempo all’attività giudiziaria, anche se le cause minori, dal 1729, vennero affidate al Master of the roll.

Nel 1700, oltre l’appesantimento della procedura di giudizio equitativo, altra nota dolente fu quella del venir meno della integrità morale della corte. Non erano di certo episodici casi in cui talune concessioni venivano agevolate da regalie; la corruzione, pertanto concerneva anche le sfere più elevate ed evidenti erano anche gli abusi dei c.d. clerks adibiti alla redazione degli atti: ben presto, costoro capirono la loro centralità nello svolgimento processuale trovando il modo, visto e considerato che il loro stipendio si misurava al quantum di atti giudiziali, di moltiplicare senza ragione i documenti con evidenti ripercussioni negative sui tempi per raggiungere una definitiva decisione.19

Inevitabilmente un universo giuridico così problematico e talvolta, per coloro che decidevano di entrare a farvi parte, ambiguo, non poteva che abbisognare di una riforma, in virtù della quale potesse riacquistare quel carattere di specialità e di affidabilità che si era posto, agli albori della sua storia, quale obiettivo primo e discriminante rispetto alla giustizia ordinaria. Per non sconfessare le stesse ragioni che accompagnarono la nascita dell’equity, il Parlamento, nel diciannovesimo secolo, emanò una serie di “acts” come il Bankruptcy Act, Chancery Acts ecc. Il prodotto finito fu: al livello più basso avevamo tre vice Cancellieri ed il Master of the Rolls che sedevano separatamente come giudici monocratici; venivano poi i Lord justice in Chancery che riuniti in collegio formavano la corte di appello anche per casi fallimentari; al culmine della gerarchia avevamo la House of Lord che operava come corte di appello finale.

19 Cosi Charle Dickens nel suo romanzo “Casa Desolata”: “…sarebbe arduo dire su quante

persone estranee alla causa Jarndyce v. Jarndyce abbia steso la sudicia mano per guastarle o corromperle. Dal giusperito, nei cui trfiggenti uncini di ferro si sono tristamente accartocciate in molte fogge risme di ordinanze in J v. J, giù fino al copista nell’ufficio dei sei impiegati, che ha copiato dieci migliaia di pagine in folio della Gran Corte sotto quell’eterna rubrica, non s’è migliorata l’indole di nessuno. Nella frode, nell’evasione, nella spoliazione, nell’oppressione vi sono influssi che non possono condurre mai a niente di bene”

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In questo solco storico, si riscontra la presenza della tecnica giurisprudenziale di rifarsi ai precedenti che, come detto, in Equity da meramente discrezionale è divenuta poi tendenzialmente obbligatoria. Una trasformazione graduale che ha plasmato una base dogmatica e istituzionale non già statica e intrappolata nell’ossequiosa riverenza alla decisone, ma ricca e dinamica: un patrimonio giuridico come nuova linfa per un futuro e innovativo sapere.

Illuminante, nel senso di chiarificare l’anzidetto iter dinamico di sviluppo dello stare decisis, può risultare la verifica di taluni istituti.

L’istituto del trust, nato nel 600 dai c.d. Use, in ragione del suo contenuto reale ed obbligatorio può essere definito come diritto equitativo di proprietà fiduciaria spettante a chi (cestui que trust) è il destinatario di tutti i vantaggi che provengono da un bene che in common law è oggetto di un altro pieno diritto di proprietà il cui titolare è il trustee; può anche essere definito come quella particolare obbligazione equitativa propter rem imposta sul trustee, che ha la piena e legittima proprietà di un bene in common law, avente per oggetto l’attribuzione ad un beneficiario, cestui que trust, di tutti i profitti e vantaggi che da quel bene derivano.

In sostanza il trustee è investito in common law della proprietà di un qualsiasi bene del dante causa, settlor, ed è pertanto un legal owner, ed è tenuto in equity ad amministrarlo a vantaggio non proprio, ma di un beneficiario che può essere lo stesso dante causa o un terzo e che, come equitable owner, può far valere il suo diritto di proprietà fiduciaria contro il trustee.

Abbiamo, dunque, un legame tra due soggetti, ciascuno dei quali titolare di un distinto e diverso diritto di proprietà, cioè uno in common law (il trustee, con un diritto di proprietà sui beni conferiti dal settlor) e l’altro in equity (il cestui que trust, con un diritto di proprietà fiduciaria verso il trustee). Una concatenazione di due realtà dominicali inerenti al medesimo bene.

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Il carattere polivalente dell’istituto in questione, può essere apprezzato nel suo impiego analogico in settori che, altrimenti, sarebbero rimasti scoperti da qualsivoglia protezione giuridica; ecco che i giudici fecero di questo, come di molti altri istituti cardine dell’equity, un notevole impiego in via analogica, andando, mano a mano che la giurisprudenza evolutiva basata sullo stare decisis iniziava a dare i suoi frutti, a creare meccanismi in linea di massima impeccabili.

La ratio del trust era di garantire una rendita sottraendo al suo destinatario la titolarità e la disponibilità del cespite fruttifero e da ciò le implicazioni erano innumerevoli. Il ragionamento analogico del giudice che, dal trust , crea una nuova regola, un nuovo istituto, destinati a migliorarsi con la giurisprudenza evolutiva ancorata ai precedenti, si può carpire nel divieto posto, almeno fino al 1540, di disporre per testamento dei fondi rustici. Con il trust si riuscì ad aggirare questo ostacolo, consentendo al proprietario di trasferire inter vivos la propria terra a persona di sua fiducia che accettava di diventare in common law un proprietario apparente, assumendo in equity l’obbligo di amministrare il bene a totale vantaggio dei soggetti designati dal suo dante causa.

I contributi evolutivi (basati sulla analogia e, in via di approsimazione, sui precedenti) della giurisprudenza di Equity possiamo apprezzarli anche in ambito del pegno di immobili, istituto tutto inglese, per quanto concerne i contracts, i titoli di credito e i diritti delle persone.

La forma mentis del giudicante era fondamentale, come è logico intuire a questo punto, per la nascita del diritto di Equity e soprattutto risultò indispensabile per conservare quel carattere di alterità in ordine alla giustizia di common law; era un operare psichico in prima istanza tendenzialmente arbitrario, cioè il giudice rispondeva unicamente alla sua coscienza e secondo la sua coscienza decideva di operare o meno in via analogica ovvero di liberarsi o di non liberarsi da una sentenza anteriore e ciò lo abbiamo visto

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con l’esempio del trust; poi, con la Restaurazione degli Stuart, la tendenza si invertì d’un colpo: il cancelliere divenne un tecnico, non doveva decidere per coscienza ma in modo prestabilito, cioè trovando supporto in decisioni già emesse e consolidate.

In tale momento, segnato da una certa tecnicizzazione dell’Equity, nacquero alcune massime20, condensate in formule icastiche ed esprimenti idee generali

e canoni programmatici quali linee direttrici della giustizia della Chancery. Si tratta di guide lines, d’estrazione giurisprudenziale, che stabiliscono canoni assoluti ma al contempo generici, perciò non vincolanti; massime che neppure debbono essere intese come logicamente connesse tra loro, potendosi sovente sovrapporre.

Quelle attualmente ripetute nelle aule giudiziali, sono risalenti al 1700 circa quando un avvocato del Middle Temple, Richard Francis, pubblicò un volume di Maxims Of Equity che riscosse notevole successo per il fatto di sintetizzare alcuni versi latini ben noti e principi giurisprudenziali della Court of Chancery.

La fortuna delle maxims dipende dalla loro trasparenza in una materia normativa che si era venuta accrescendo in modo del tutto disomogeneo; in secondo luogo, furono strumenti di certezza giurisprudenziale contribuendo ad assestare il sistema sul rispetto di precedenti. Le principali sono dodici:

-Equity will not suffer a wrong to be without a remedy: l’equity non sopporta che le ingiustizie non vadano giudizialmente rimediate; nel senso che è carattere fondamentale dell’equity porre freno all’ingiustizia di common law; -Equity follows the law: vuol dire che l’equity rispetta il diritto esistente, ovvero il common law e lo statute law, correggendo peraltro le sue lacune; -Where there is equal equity the law shall prevail: ci si riferisce alle fattispecie in cui sullo stesso bene esistono due titolari e due differenti diritti, cioè uno di equity e l’altro di common law: in questi casi è il diritto legale a prevalere;

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- Where the equites are equal the first in time shall prevail: cioè quando sullo stesso bene sussistono due diritti equitativi, si ritiene prevalente quello sorto per primo, secondo il latinetto “qui prior est tempore, potior est iure”;

-He who seeks equity must do equity: l’attore che chiede un rimedio equitativo deve essere diposto a comportarsi con senso di giustizia nei confronti del convenuto; e ciò non può evidentemente verificarsi nel caso, ad esempio, in cui Tizio si accorge che Caio edifica su un terreno del primo lasciandolo consapevolmente fare. In questi casi egli non può vittoriosamente agire dopo che la costruzione è ultimata per la restituzione del suolo e di quanto è stato sopra edificato in base alla regola “superficies solo cedit”, tranne che sia pronto a rimborsare a Caio le spese sostenute per la costruzione; -He who comes to equity must come with clean hands: se la massima precedente è impostata con riferimento alla condotta futura, questa, invece, si riferisce alla condotta passata. Chi chiede un rimedio equitativo lo può ottenere solo se abbia le “mani pulite”, nel senso che deve essere nel giusto e deve aver tenuto, in rapporto al fatto controverso, un comportamento sotto ogni profilo corretto. In termini paradigmatici, nel 1956 in Gill v. Lewis , si affermò che se il titolare di un lease, cioè la locazione, subisce da parte del nudo proprietario l’esproprio di tale diritto per il mancato pagamento del canone annuo, egli non può opporsi in Equity contro l’esproprio se non risulta che non ha usato la casa nel modo indicato dal comune vivere civile;

-Delay defeats equity: chi desidera essere tutelato in equity deve dimostrare di essere stato vigilante e non indolente nell’esercizio del proprio diritto: “vigilantibus non dormientibus aequitas succurit”.

L’indolenza è considerata, come la negligenza, come sinonimo di acquiescenza e di accettazione della situazione antigiuridica;

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